I -^ OPERE DI TORQUATO TASSO COLLE CONTROVERSIE SULLA GERUSALEMME l»OSTB IN MIGLIORE ORDINE , RICORRETTK SULl' EDIZIONE FIORENTINA , ED ILLU- STRATE DAL PROFESSORE GIO. ROSINI , VOLUME XXL PISA PRESSO NICCOLÒ CAPURRO MDCCCXXVIII. 519525 ,i 9a I CONTROVERSIE SULLA GERUSALEMME LIBERATA TOMO QUARTO, PISA PRESSO NICCOLÒ CAPURRO aiDcccxxviii. ALL' EMINENTISS. E REFERENDISS. SIGJNOR C ARDII^ALE CARLO BARBERINO MARIO ZITO f/edutomi necessitato a correre il rischio , che suole incontrarsi nelle stampe con la puhblicazio ~ ne degli scritti , e conoscendo questi pochi fogli pili meritevoli di taccia^ che capaci d' encomj ; ho voluto appoggiarli alla forte protezione dì V. Ern., poiché non senza gran giudizio parago- nò Lipsia gli scrittori alle viti , perchè non inen di esse i tralci , che degV ingegni i germogli frut- tificare mal possono , se vengono privati di ap- poggio . E quando ella si compiacerà di coprire la nudità di queste carte con V ammanto glorioso della sua protezione , non temerò che i critici e gli Aristarchi con dente accanito prendano a lacerarle ; perocché il suo solo nome sarà baste- vole a chiuder le bocche di quanti Momi e ma- levoli sapesse mai partorire una detestabile invi- dia . Egli è vero , che al riflesso della di lei por- pora io mi arrossisco , venendole avanti con co- sì picciolo dono; ma so pur anche ^ che non i- sde guano i Numi le povere offerte di rustico contadino; ed il Sole non ischi/a illustrare le pro- fondità delle valli palustri . E poi è V . Em. così J'eciuida di meriti , che non sarà gran fatto che qualche stilla se ne riversi in questi fogli \ essen- 4 do io sicuro , che continuando gli atti della sua naturale grandezza , sia per ricevergli con genti- lezza non inferiore alla divozione , con che glie li presento . Lascio qui di fare ^ ali uso di chi de- dica, il panegirista ; poiché è /^. Em. così cobna di glorie ^ che il volerne apportare le pruove^ sarebbe sciocchezza niente inferiore , che intra- prender a pruovare con argomenti lo splendore nel Sole . Sono così note le porpore , i dominj , i triregni , /' armi e le lettere della sua Casa , che non han bisogno di testificazione maggiore ; e veggonsi oggi /' Jpi Barberine in tanta altezza di volo , che pare obbligo quel che fu uso della natura, cioè di seminare anime grandi nella sua Casa. E sia questa volta a me lecito vaticinare , che non avendo meta fin ora sufficiente la di lei gloria^ abbia a posare di nuovo un giorno su la sede del Praticano, facendo adorare lapersona di F. Eni. moderatrice del mondo, del glorioso Urba- no rinnovando le memorie; perciocché^ quantun- que Ella meriti quanto ha ottenuto, non ìia finora ottenuto quanto merita. Ma io mi arresto dalle lodi, percciochè la grandezza dell animo suo, unita alla modestia, vuol maggiormente la degnità delle a- zioni^ che il senso degli encomj ; ed io son tanto a darglieli inabile , quanto ambizioso in voler- glieli dare. Si contenti solo eh' io dica , che ma- lamente lagnisi la nostra età per povera di Me- cenati , sapendo ella sola ben compensarne il di- fetto ; poiché non meno sa Ella esercitare le let- tere, che amare i letterati. Gradisca in fine questa picciola offerta , di' io le presento ; e sic come da una sola linea d' Apelle seppe altri co- noscere l eccellenza di quei dipintore ; così F. Em. dalla picciolezza di questo dono congetturi l immensità , non dico del mio talento y che ben corto in me lo conosco ; ma della mia inaltera- 5 bile divozione . Ed oh quanto avrà da confessar- misi tenuto questo libretto , che V abbia saputo provedere del fregio perspicuo del glorioso suo nome . Ed oh quanto mi conoscerò io allo stesso parimente obbligato , se saprà impetrarmi il pa- trocinio ragguardevole di P. Em. ^siccome ha po- tuto portarmi occasione di mostrarle il mio divo- to ossequio , col quale riverente m' inchino al ba- cio della porpora e della sacrata mano . Capua . LA BILANCIA CRITICA DI MARIO ZITO In cui bilanciati alcuni luoghi, notati come di- fettosi, nella Gerusalemme liberala del Tasso^ trovansi di giusto peso ^ secondo le Pandette della Lingua Italiana . P R O E M 1 O X* u un gran miracolo della divina Sapienza nel brere spazio del volto umano racchiuder tanla di- versità di sembianze; ma non minor maraviglia eir è , elle ninna tra l'anime ragionevoli uniforme già sia, e dello stesso ingegno dotala . Quindi inse- gnarono i Platonici, che l'anime nello spiccarsi dal- le stelle per discendere ne' corpi , bevessero nella coppa di Bacco eh' è situata in Cielo fra il Leone ed il Cancro, e che fatte ebre e piene d' oblivione , non sapessero poi dar giudizio sincero delle cose . Da cotale incostanza degli umani giudizj si trasse per conclusione costante, che negl' ingegni sia diva- rio \ non potendosi prescrivere regola certa e co- mune a tutti nel giudicare. E sarà sempre impos- sibile di arrivarsi alla tempra d'uno inchiostro co- sì purgato, che finisca di soddisfare alla veduta di tutti; non polendosi aguzzar lauto bene 1' ingegno , che ferisca universalmente tutti gli affetti. Da alcu- ni si ricevono applausi : da alcuni reticenze: da al- cuni ghigni di poco gradimento. Così addivenne cel teatro ^ dove ritrovossi una volta P'iloue . Mea- V li.* 8 BILANCIA CRITICI tre rccitara uno soiiftore alcuni suoi compoiiimea- li , vide egli molli coli' applauso dar segno di soddi- sfazione: altri colla stupidità palesare il poco di- letto: altri col turarsi 1' orecchie dichiarar 1' odio conceputo per le sciocchezze, come credevano, di quell'autore. Insomma i pareri song diversi: ed hau soggiaciuto a queste It^ggi tutti coloro che hau fatta gloriosa la Repubblica delle lettere ; poiché lìiuno de' più rinomati scrittori ha riportata giam- mai lode netta nelle sue lucubrazioni , quantunque Mudate alla lucerna d'Aristofane. Omero è paruto a molti il Platone dei poeti , 1' o- ceano del sapere^ onde acquistossi appo alcuni scrit- tori il titolo di divino: pur da Lodovico della Gar- da e dallo Scaligero sono notate mille imperfezioni ne' suoi poemi : sorte toccala a tutti gli altri scritto- ri , cosi in poesia , come in prosa , siccome va notan- do minutamente uu moderno(1); poiché non son mai mancati nel, mondo i critici sfaccendati, che si han- no usurpata licenza di slndicare altrui, contaminan- do il balsamo prezioso d' un inchiostro erudito con putride gocciole di biasimo velenoso. E sempre so- no stati coloro, che in ogni rosa hanno scosse le frondi per trovare il vestigio delle cantaridi; ed in ogni fabbrica sono andati scalcinando la tonica per ritrovarvi il pelo. E verissimo adunque , che non ad ognuno piena- mente si piaccia ; poiché Giove stesso non può sod- disfare a ciascuno, come avvisa Teogni: Ncque Jup- piter ipse swe pluat , sive non j unicuique placet . Non tutti hanno i talenti di Nicostrato , che piaccia universalmente alla Grecia ; né può ciascuno aver del Roscio, che soddisfaccia a tutti i Romani. La lingua si esercita secondo la passione che la spin- ge, non secondo la verità. Ciascuno giudica secon- do Il proprio affetto : Ex alienis nffectihiis cestiina- mur j disse il Teologo di Nazianza . Due cagioni furono assegnate alla facoltà del poe- (i] Battis. Gìor. Accad. DI MARIO aiTO 9 tare, naturale 1' una, avventizia l'altra. La naturale è una certa felicità dell' ingegno, 1' avventizia è l'impulso dell'arte che, secondo l'opinione dei matematici giudiciarj , dalla costituzione de' piane- ti deriva. L' una e l'altra, al credere degl'inten- denti, si trovò perfettamente nella grand' anima di Torquato Tasso; polche così nell' ailluenza del ver- so, come nell'arllHcio del poetare diede gran mostra di eccellenza . E pure s' incontrò nella critica di molti ingegni; e la sua Gerusalemme provò 1' armi d'un' Accademia intera, che afFaticossi per demolir- la: alla quale intrepidamente si oppose , perchè re- stasse liberata, una schiera d'uomini valorosi. Né cessano fin' ora i rimbrotti contro quel nobile artifi- cio di ben tessuta epopea. E benché resti oggimai chiarito fra' dotti, quanto in quel poema venga os- servato il costume, e quanto ammirabile sia nell in- venzione, nell' imitazione, e nell'unità; pur altro non potendo un moderno (è forse un di quei , che va cercando il pelo nell'uovo), dà taccia a questo fa- moso scrittore di poco osservante delle regole della italiana favella. Ed appoggiato ad una delle Lettere Discorsive di Diomede Borghesi dirizzata a Matteo Botti , in cui dice del Tasso : Non reputo già che esso, 'Versificando o pi osando , scriva in tutto se^ condo le regole e con intera purità di lingua ; va di questo nobil poeta notando alcune voci, che sem- brano al suo intendimento difettose e poco regolate secondo la purità della purgata lingua italiana. Troppo si mostrano severi questi slndici di Par- naso (per così dire) in annotare sì leggieri errori (quando errori pur siano ) in un poema , che per o- gni altro rispetto vien riputato degno di lode. E no- to bene con quanta fatica i poeti si ingegnino nelle lor favole , e con quale industria le materie dispon- gano; onde sembrami troppo gran severità l'andar dietro a minuzzoli di parole; e penso che ciò solo sia fatto per mostrar sottigliezza d'ingegno . Pure sentasi quel che di ciò dice Orazio: Sunt delieta tamcnj quibus ignovisse velimus ; 10 BILANCIA CRITICA Nam nec chorda sonuni redditi queni vult tnanus et meri s : Posccntique gravati perscnpe remittit acutum; Nec seinper feriet qaodcumque minabiturj arcus. (1 ) K veramente pare ad Orazio stesso (quantunque se- verij..siruo giudice de* poemi) perdonate qualche co- sa , dove molte , come buone rilucono: f^crurn uhi plura nitent in cannine j non ego paucis 0£cndar muculis etc. ]Ni' volle mancar Quintiliano di rendergli scusabili in quelle parole: In inagnis quoque auctorihus inci- dunt aliqua vitiosa , et a doclis inler ipsox etiam mutuo reprehensa (2). Ed avea prima detto: Ncque id statini ledenti pcrsuasum sitj omnia quos magni auctores di.verintj utique esse perfecta . Nam et la- buntur aliquando , et oneri ceduiit , et indulgent suoruin ingenioruni votuplati ; nec semper inten- dunt aniniuin y et nonnunquam fatigantur : ciim Ci- ceroni dormiiare interdum Demosthenes , Horatio 'verb etinni Homerus ipse vidcatur . Ed è pur trop- po vero clic .... Qu'.m loqu ' bonus dormitat Homerus . (in') Ma ciò non bastando per la difesa del Tasso , an - dero portando lutti i luoghi notati dall'avversario colle sue opposizioni distintamente, e procurerò al meglio , che alla debolezza del mio ingegno sarà conceduto, difendergli e dilucidargli, col mostrare che non fu senza regola, o almeno senza la scorta de' migliori, posta linea (per cosi dire) da quel gran- d' uomo in quel suo nobll poema . Né posso credere , che r affetto ch'io porto alle composizioni di quel- 1 ingegno rarissimo , mi abbia potuto far veder tor- to in quello ch'altri riputa d' errore, non essendo tanto disordinato l'amore, che mi abbia tolto dal dritto conoscimento . E comecché io in ciò non pro- ceda per mnlvpgila d^animo, che da me fu sempre lontana , procurerò di ribattere 1' oppositore con tut- ta quella modesiia che sia possibile, lasciando i (i) Horal. de Art. (?,) Quitit. L io, cap. •?. (3) Ilorat. ibid. DI MARIO ZITO 11 inotti , l'arguzie e la vivezza del parlare a' critici ed a' malevoli . E quantunque per ragion di educazio- ne e d idioma non sia obbligato a sapere tutte le minuzie d'una purgata favella; pure, scrivendo in pura lingua italiana, procurerò di mostrare che purgatamente il Tasso abbia scritto (ro;itro l'altrui opinione), e con ragioni autorevoli e roB gli esem- pli de'buoni . Ed eccomi sull'opra . OPPOSIZIONE I. (C 1. St. 23.) « Espugnar di Sion le nohil mura ». iVo^// riprendevolmente si dice dal Tasso. Giro- lamo Ruscelli ne' suoi Comentarj della lingua italia- na, nel libro secondo , al capo decimoquinto, vuole che ninno scrittore di rima, o di prosa possa accor- ciarci nomi nel numero del più, ch(; finiscono in / . E quindi si oppose al Dolce, cìie più fiate il facesse nella sua traduzione d' Ovidio. E Jerouimo Muzio nelle sue Battaglie al capo decimosesto emendò quel verso : Rotto fra picciol sassi il correr lento, con dire : Mormorando fra^ sassi il correr lento ^ non piacendogli quell' accorciamento yp/cczo/, RISPOSTA Che si fosse ingannato l'oppositore Ruscelli, e che si fossero parimente ingannati i calunniatori dell'A- riosto, che biasimar lo vollero, ch'el dicesse — I gio- vami furori — ^r immortai trofei, chiaro il dimo- stra Diomede Borghesi: né sia nojoso il rapporto di sue parole. Die' egli : // Biisce/li troppo arditamen- te dice ne"" suoi Commentnrj della lingua italiana , che i nomi che hanno nell' ultima sillaba la \ ^ non possano essere accorciati nel maggior numero, e perdere V ultima vocale . Perocché, quantunque ciò si verifichi ne^ più , e specialmente in quegli 12 SILAWCIà CRITICi. che hanno la a nella penultima sillaba; non addi- viene già che tal volta anco nel numero maggiore non si possa d'alcuni di essi tor via l'ultima voca- le, e fargli terminare in 1 (1). E pure il Borghesi fu uomo di sano giudizio nelle materie della lingua. E forse Jeronimo Muzio non aveva osservate le ri- me di Gino da Pistoja , di Dante , del Petrarca , e di altri eccellenti scrittori , che si son resi degni atie- statori dello scrivere regolato. Sentasi Gino nel prin- cipio d' un suo sonetto : Gentil donne valenti (2) . E di tal modo anche Dante: Ma pregia il senno, e li gentil coraggi (3). Ed il Petrarca , che è forse il più degno poeta che abbia la nostra favella, non ischlvò tal mozzamento nelle sue vaghissime poesie: Tanti lacciuol j tante impromesse false (4). Ed altrove ancor disse : Con voce allor di sì mirabil tempre (5) . Ed in altro luogo: Giunto in un corpo con mirahil tempre (6) . E così parimente: E di lacciuoli innumerahil carco (7). Colle cui autorità, se non resta appieno chiarito il Tasso, ed appieno riprovala la stiratura del Ruscel- li e del Muzio, mostrinsì alcuni altri luoghi di au- tori di rima , ma di attestazione degnissimi, che an- che si sono compiaciuti di usare bene spesso un si- mile accorciamento. Guido Cavalcanti: Questa virtù d'amor, che ni" ha disfatto, Da^ vostri occhi gentil presta si mosse (8), E Francesco Coppetta nelle sue poesie: O catene gentil, lucenti, e chiare . E piacque di seguir si nobili scorte a Giovan Batti- sta Attendolo, dottissimo nostro cittadino, che mor- to nel fine del caduto secolo , coli' eccellenza delle ( I ) Borghesi^ Leit. par. J. {i)Cin. da Pist. Rini. (3) Dani. Canz. (4) Petr. Son. 53. (5) eCanz.'i^. (6) e Son. 201. (7) e Trionfo d' Amore, cap.. i. (8) Cavale. Rime. BI MARIO ZITO 13 sue virtù ha collocato il suo nome sull'altare del- r immortalità con gran gloria della nostra patria, dicendo : Per mezzo il lume innumerahil cuori {\). E cosi mille altri autori , onde poi il Tasso vaga- mente si servì di tal troncamento in più luoghi . Pur io nella prosa non istimerei che fosse lodevole, sic- come mostra parimente sentire M.Pietro Bembo (2), che solo a' rimatori il concede ; poiché si arrogano i poeti questa licenza , rompendo la regola per com- piacere al suono, come saggiamente notò Lionardo SalviatI ne'suoi Avvertimenti di lingua (3), ene'suoi Trattati Benedetto Buommattei (4); quantunque mi ■ricordo aver lette senza divario in tutte le buone stam- pe del Decameron del Boccaccio queste parole : E da parte di lei ne gli Jacea tal volte (ó). Ma uoa perdiam 1' oppositore di vista . OPPOSIZIONE II. (St. 59.) K Matilda il volse j e nutricollo, e instrusse « i^eW arti regie ^ e sempre eifu con ella ». Tutti i maestri della lingua hanno dato avverti- mento circa il pronome ella: ed han voluto, che re- golatamente sia caso retto , né che debba in modo alcuno usarsi nell'obliquo, avendosi a servire della voce lei. E vogliono gli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario, che mai elli j o egli , ella j o elle possano usarsi in altro caso, che nel primo. E ciò notando Francesco Alunno nelle ricchezze della lingua, andò dicendo: Ella sempre si trova nel ca- so retto, e lei ncH' obliquo. Cosi parimente avverti- sce il Buommattei , e ne discorse prima di lui appie- no Giovan Fi'ancesco Forlunio nel capo do' prono- mi. Sicché, venendo in questo luogo usato ella dal Tasso in sesto caso , par che riprendevolmcnte se {\)/htend. Rime. (2) Bembo,Pros.l. 2.(i)Sah: Awertìm. di ling. lib. 3. par. 37. (4) Buoinmat. Trai, di lingua, (5} Boccac, Decani. 14 BlLAjrCIÀ CRITICA ne sia servilo, secondo le accennate regole della lin- gua j se pure a ciò non gli fece forza la rima . RISPOSTA Questi pronomi egli, eglino j ella ^ elle ^ o elleno, egli è certo che vengono a' casi retti assegnati j vo- lendo 1 maestri della lingua italiana , che negli obli- qui dir si debba di lui , a lui , da lui j ec ; e così di lei ^ a lei j da leij ec. E nel maggior numero dì /o- ro j a loro t da loro, ec. Ma pur questa è regola, che dee osservarsi solamente dagli scrittori di prosa, siccome avverte Niccolò Tani negli avvertimenti so- pra le regole Toscane, dicendo: Ella, ed tWe furono usate da' poeti in tutti li casi , fuor che ne^terzi(\). E l'Alunno e la Crusca, portati dal censore, se dis- sero non usarsi questo pronome in caso obliquo, nella prosa intendettero E se ben si leggono le Pro- se del Bembo (2) , troverassi il tutto ben chiaro . Ed il Ruscelli (quantunque sempre siasi troppo dimo- strato severo) di tal modo va dicendo: Dicesi e?' el- la, e con ella alcune volte nel verso ec.(3)E benché paja che la danni negli altri modi , come per ella ^ ad ella , appo ella, e simili j pur credo che non si fosse bene avvertito, ritrovandosi nelle poesie di Dante e d' altri poeti degnissimi con ogni arti- colo e preposizione usitato questo pronome. Disse Dante : . . . p girossi intorno ad ella (4) . Io però non intendo qui di criticare il R.uscelli^ ma solo è mio pensiero far chiaro, che il Tasso non ab- bia errato , avendo in ciò avuto nobilissime scorte. E se l'Alunno (5) nelle osservazioni, che fa sopra il Petrarca, vuol che solamente colla particella con l'abbia accompagnato quel poeta 5 pur mi fa cono- scere che con poca attenzione avesse lette le di lui rime, osservandosi ancora aver egli detto : (1) Tani, Awerlini.{i.) Bembo, Pro LZ. (3) Ruscelt. Cunim. ling. Lib. II, e. 11. [^) Dan. Par. Can. 26. (5) y4' luniio, sopra il Pelr. DI MARIO 7.ITO 15 Da qui a poco tempo tu ■*/ saprai Per te stesso, rispose, e sarai d' elli (1). Avendo forse cosi detto ad amitazìone di Dante, che disse: * di' alcuna gioja i rei avrehher d' elfi (2^ • Ad o^ni modo colla particella con , ad uso del Pe- trarca , r accompae^nò il Tasso , siccome nota il cen- sore . E fu cosa assai famigliare a molti eccellenti poeti r usar questo pronome anche ne' casi obliqui ; onde Serafino Aquilano, antico ed eccellente poeta, anco disse : Ch^ io vedo il mio destin regnar con elle (3); ed altrove : T^edo troppo alto paragon con ella (A) . Né sdegnarono con qneste nobilissime scorte molti altri buoni poeti della nostra lingua di usar questi pronomi nelle loro poesie in caso obliquo. Così il maestro della lingua , il Bembo: P^ivere eterno ancor spero con ella (5) . Ed AnnibaI Caro: Fu pari al mondo, e già mori" è con eìla . Onde si tirarono dietro costoro quasi tutta la turba de' più moderni rimatori , che in gran numero po- scia fiorirono, ed osservanti e di buon grido. Quin- di , se tanti e sì gravi autori in un solo sonetto , o in una sola canzone hanno ciò fatto; perche niegheras- si dal nostro censore al Tasso in un lungo poema , come è la Gerusalemme ? Ed in ciò , a parer mio , ti- rollo l'uso , e non la forza della rima , com' egli cre- de, ben essendo facile a quel grand' ingegno mutar le desinenze a suo piacere . E che ciò sia vero, vede- si molte volte, e da molti scrittori di stima essere stato usato questo pronome nel mezzo de' versi la tal modo , senza necessitr: di rima . Né mi starò preu- dendo brighe in addurne copia di esempli , bastan- do a confermarlo due Innahi del Petrarca , che fu 1' oracolo (per così dire) della lingua. Die' egli : (i) Pelr. Trionfo d' Amore. (2) Dan'e, Inf. e. 3. (Sji'e- raf. Rinie^ Son. i. (4) Son. 33. (5) Bembo, Rime.. Gontroy. T.IF. % 16 BILANCIA CRITICA Girnieti con ella in sul carro d" Elia (1); e cosi parimenie : .... che senz' ella è quasi §enza fior prato, o senza gemma anello (2). Anzi diròdi vantaggio, che furono bene spesso in- difìerenltMiiente usali questi pronomi , senza fare ec- cezione di casi . Il Sannazzaro usò lui j che è voce del caso obIi(juo , in caso retto : ylnzi ^lie 7 ^nnsi, e lui non volea cedere (3). Ed il Casa: Noli già eh' io, ratio lui,, dal career esca (4). Concedo , ben è vero , che in prosa questo uso è ri- prendevole; dovendosi in essa usare severamente la regola lasciataci da' maestri . E se Benedetto Varchi nel suo Ercolano ha per cosa famigliare il dire con ella , e con elli , detto se l'abbia ; che io non istimo bene il seguitarlo. Quindi con ragione viene notato dal Muzio in quelle parole : Nelle rime alcune rare 'Volte appresso il Petrarca si ritrova ella ne^ casi o- hliqiii , ed egli (del Varchi parlando) va per cosa familiari- il dir in ella, con ella, con elli ec. (5) Pur ciò non viene negato al versificatore, siccome ab- biam dim(>;iir;ito : e questo può bastare per la chia- rezza di questo luogo . OPPOSIZIONE III. (C. 2. St. 9.)« O pure il del qui sua potenza adopra ». Poco intendente par che si sia mostrato il Tasso di questo avverbio qui, mentre non 1' ha differilo dal quivi j usandosi quello nel presente , e questo nel lontano e remoto; oud' egli , parlando ora di luogo a lui lontano, servir doveasi delle voca quivi- La for- za di queste due parolette ci esplicò assai bene il Bembo al libro terzo delle sue Prose , dicendo : So- no adunque di queste voci j che io dico qui e qua, (i) Petrarca, Canz. 34 (2) Son. 29 5. (3) Sannaz. Ar~ cad. ( ^Casa , Rime, (5) Muzio, Bai. cap. 7. DI MARIO ZITO i 7 che ora stanza , ed ora movimento signi/ìcono , e dannosi al luogo j nel quale è colui che parla. E (jirolamo Ruscelli ne'suoi Comentarj al libro quin- to lasciò scrltio: Nella parola quivi moltissimi com- mettono errore j usandola nello stesso significato ^ che la parola qui, e dicono: mentre noi siamo ora quivi , le nostre donne si ricordan di noi . E così in ogni nitro esempio , il che è gravissimo errore ; perciocché fra quivi e qui è grandissima differen^ za ; che qui 'vale il medesimo che in questo luogo ; e quivi il medesimo che in quello j onde dire- mo : Io sono stato in Alemagna , ed ora sono in Italia : conosco quanto sia miglior inver quivi j che qui. RISPOSTA Non vi ha dubbio che fra gli avverbi qui e quivi sia la diilorenza assegnata dal censore del Tasso, né bisognavagli in questo andar mendicando autorità; ma non è da tacciarsi per ciò quel poeta , se dell' u- no in vece dell' altro siasi servito , potendosi dire che sia questo un moJo bellissimo di parlar poeti- co, anco dato da' rettorici come parlar figurato: ed una tal figura chiamarono Ipotipo si , la quale de- scrive un luogo lontano, come presente . E questo è stato in uso anche ne' secoli più antichi; onde nei poemi latini di ottimi scrittori cento volte questo modo di parlare si osserva. Ovidio , parlando di luo- go lontano , disse in persona di Penelope che scrive ad Ulisse : Hac ihat Simois .- htc est Sygeia tellus : Hic steterat Priami regia celsa scnis . Nel qual luogo un Gramatico spositore nel suo com- mento soggiunse: Ita enim ista narrantur , quasi loca sint ante ocm/o.?(1). E così trasportollo un volga- rizzatore nell'italiana favella: Quindi correva il Simeonte ^ e quinci Era il monte Sigèo, e qui l' immenso (i) Jan. scop. in hunc locinn. 18 BILANCIA CRITICA, ^llto seggio real del vecchio e santo Priamo (1 ) . E del modo slesso ì' quel luogo di Virgilio, in cui parlando il poeta in persona di Enea, che ritrovan- dosi in Cartagine , i suceessi di Troja cantava ^ disse : /Jir Dijlopion nianus, hic scevus tehdehat. AchilUs: Classihus lite locus, hic acies certare solebant (2) . ^iel cui luo^'O lo spositore Servio per maggior nostra chiarezza soggiunse: Hic /;ro illic dicitur \^ìi). E tulli due questi poeti furono imitatori d'Omero, quando ia tal mudo aneli' egli disse in lingua greca: Ì^Tv^x ixiiv Aixi nurx: oìpi^jcs i'vdx S' A)(^iX\iùi 'E'v^oL SÉ UoiTpox.Ko'; (4) trasportato nel latino: Hic tendit Ajax hellicosus , hic ylchilles , hic nutein Patroclus . E se paresse troppa stiratura il ricorrere alle ligure rettoriche per difesa di questo luogo; quantunque poco saggio é quel poeta che di figure non adorna le sue poe- sie , essendo elleno come i fiori che abbelliscono un prato ; dirò pur di vantaggio, che questi due avverbj di lungo vengono presi senza dilFereuza da- gli scrittori. Porterò un sul luogo del Petrarca, per non far lungo ra(;conio, dove si serve dell'avverbio qui j in vece di quivi. Die' egli : Qui dell' ostile onor /' alta novella Non scemato con gli occhi a tutti piacque . E si conosce chiaro, che di luogo lontano parlasse questo poeta, mentre prima avea detto: Indi fra monte Barbaro ed Averno L" antichissimo albergo di Sibilla Passando j se ne andar' dritto a Linfe rno . In così angusta e solitaria villa Era il ^rand'uonij che d'Affrica si appella. Perchè prima col ferro al vivo aprilla . Qui lì li poi segue , come di sopra ; Qui dell' ostil onor ec, (i) Remigio Fiorent. Epist. di Oi'idio ifolg. (2) T^irg. j^lncid. lib, 2.(3) Scrv.in kunc loc.[:\)Oinero^ Odissea l. 3. DI MARIO ZITO 19 Non voglio qui servirmi dell'esemplo de' moderni, che lroi)UO di questi avverbj stma distinzione si so- uo serviti. Pur veggansi le poesie JNomiche del Mar- chese di Villa , che fra' moderni le regole degli an- tichi osserva con grandissimo studio; che troverassi ntii invece di ^/«tVi usitalo allo spesso . Nelle rime Ajorali vieu detto , dopo aver descritta una spe- lonca : Quivi un dì giunse il sole (1) ; e poi nella stanza che siegue , dice: Qui (li iHitj metalli i duri ^5) . E pur egli si poneva allora nell' Inferno , di cui ra- gionava . Ed in tutti quasi gli altri luoghi si serve di questa particella, come di luogo lontano. E pure altra volta disse : Qui vidi gente pili eh' altrove troppa (4). Così anche si trova l'avverbio ivi parimente osser- vato in congiuntura di descriver luogo presente, che, per non essere *al proposito, tralascio. OPPOSIZIONE IV. (C.2.St.6h)(^ Cominciò poscia, e di sua bocca uscieno (iPiìi che mei dolci d'eloquenza ijiuinin. Non so con quanta regola venga nel verbo ascia- no cambiala la lettera a, e detto uscienoj pure per la necessità della rima, che ha fatto dire delle stravaganze a^poveri poeti, può ciò perdonarsi al l'asso . RISPOSTA Non può cader il perdono , dove non fu prima la colpa. E troppo oggimai chiara la parentela , che tiene la lettera a colla lettera e , per li trattati che (i) Dan. Infer. Cane. 3. (2) e 4. (3) e 5. (4) e 7. Df MARIO ZITO iJI ne han dati i j^rand' uomini della lingua intenden- ti. E l'esperienza , che ne haii recata gli scritti al- trui, ci Ila fatto cUiarainente conoscere, che 1 una coir altra beoe spesso ta cambiauienio , usandosi di dire grave e grci^e, piatoso e pietoso j danari e denari, e cosi simili . Il Petrarca servendosi di cfuesto canibiatneiìto di lettere disse grei^e in vece di grave, onde poi lirussi dietro quasi tutti gli altri rimatori appo lui : Al dolce aere sereno, al fosco ^ al greve (I). Né, come si perstiade il censore del Tasso, fu ciò fatto per necessita di rima ^ poicliè nelle prose dei grand'uomini cento volte l'istesso si osserva. Il D Decamerone di Giovanni Boccaccio, che in materia di lingua è molto autorevole, ne sta quasi pieno: leggcsi sanzn, in vece di 5e«za , dicendosi : sanza altro dire i^2). Cosi ancora guerire per guarire : In- cotilanente si confortò di dover tosto guerire (3). E parimente disse greve ad uso del Petrarca: Duro e greve a comprendersi (4)y e così molte volte. E nc- gl' imperfetti de' verbi , siccome usò questo cambia- mento il Tasso , si trova usato dagli scrittori di pur- gata favella moltissime volte . Ed il Bembo lungamen- te di ciò va parlando, soggiugnendo poscia al nostro proposito : Ed è di tanto innanzi questa licenza passata, che ancora s^ è la di che necessariamente pare che sia richiesta a queste voci, cangiata nel- re 5 ed essi così anticamente, e toscanamente nelle prose detto avieno , morieno , e contenieno , e ponie- no ec. (5) E oltre Tosservazione del Bembo, per più chiarezza del Tasso porterò qui alcuni esempli del Boccaccio medesimo, in cui hassene dovizia gran- de. Dic'egli neir introduzione del suo Decamero- ne : Quasi abbandonati da per tulio Innguieno . E così parimente poco apjiressu : Li quali da grossi salari tratti servieno . E questo cambiameulo di a in e nella terza voce dell'imperfetto nel maggior (i) Pctrar. Son. i i^. (2) Bocc. Decani, nov. i5. (3) e nov. ic), (4) e no^. 98. (5) Bembo^ Prose l. 3. 22 BILANCIA CRITICA mimerò, per ordinario usasi in que verbi, i di cui iufìnili hanno la teiinina/ione in ire, come langui- re ^ morircj uscire, e sintili; ed in alcuni leinpi del verbo .vowo, dicendosi sieno, fieno, ec ; e nelTuna e nell'altra maniera cosi nel verso , come nella prosa spesso osservato si scorge. Concludo, che non abbia erralo il Tasso nella voce uscieno, aven- do la scorta di ottimi scrittori: e che non forza di rima, ma o vaghezza di parlare^ o uso comune così l'abbia fatto usare, se anche nelle prose più purga- te non fu schivato questo cambiamento. OPPOSIZIONE V. (Stan. 90.) ((.Dal magnanimo lor duce Goff rido ». Non averebbono detto Goffrido i più goffi parla- tori de' contadi di Cicilia, essendo voce sconveuevo- lissima: né so come possa salvarsi il Tasso, che vol- le usarla . RISPOSTA Troppo arditamente ( mi conceda, che io '1 di- ca) si oppone al Tasso questo nostro censore, sa- pendosi bene che spesso trovasi negli scrittori la lettera e mutata in i, e si é detto desiderio e disi- de rio ; eguale e iguale , e così altre: come altri dis- sero sorpriso , intiso, biltate, decreto , e simili ; sic- come può osservarsi in Giovanni Villani, in Guido Cavalcanti , e in altri; come anche fu osservato dagli Accademici della Crusca nel lor Vocabolario. Dan- te disse nella Vita nuova : che meco piangìa . E così vedesi conoscìa, ridìa^ vivìuj e altre simili che usarono Dante , Ci no, Guido Cavalcanti , e altri poeti de'secoli passati : e pur non parlarono ne' con- tadi di Cicilia, E quantunque creder vogliamo, che Goffrido venisse detto dal Tasso per gran forza di rima, avendo egli sfuggito, anziché no , le voci di quel secolo aulico, che pajono recare qualche scon- DI MARIO ZITO 23 venevolezza; pur ciò colla scorta del Petrarca da lui si fece , il quale disse ne' suol Trionfi : Poi viìiìa solo il buon duce Goffrilo (1). Oltreché si può dire che i nomi proprj abbian cer- ta regola diversa dall' altre voci , che accrescendo loio una lettera , o mutandola in altra, non paja commettere così ^rave eccesso , che se ne possa bia- simo meritare, come si ha dato a credere il nostro censore . OPPOSIZIOINE VI. (St. 94.) « Indi tolto concedo, è da lui ditto « Al suo compagno » ce. La voce ditto non è inferiore all'altra accennata poco dianzi. Quanto fa la rima! E pur altra volta usò questa voce il Tasso nel canto 17, nella stanza 32, dicendo: ed ove ditto Fu pria Clemente t or Emiren s^ appella . RISPOSTA Egli è certo , che la necessità delle consonan- ze fa dire delle gran cose a' poveri poeti : ma io sti- mo perciò il Tasso assai degno di scusa ^ perciocché questi modi di dire furono da' nostri moderni dai più antichi scrittori, e da' più eccellenti ancora, imparati: quindi non solo ditto , per detto; ma an- cora j'espittOj in vece di rispetto mi ricordo aver os- servato ne' libri de' buoni autori. Di questa livrea medesima è despittOj, che disse Lodovico A.riosto , iu cambio di dispetto , nel suo Furioso : Di timor j di cordoglio e di despitto (2) ^ rimando con scritto , e con diritto. E veramente par che vengano molle volte da' nostri moderni richia- mate quelle voci, il di cui uso fu prima lasciato al- (i) Petrarca, Trionfo della Fama .{t.) Ariosto, Fur. can. 3o, stan. ji). 2\ J51L\NCIA CRITIC k r antichità , siccome venne esplicato vagamente da Orazio nella Pistola a'Pisoiii : Multa renascentur, quce jocahula , si volet usus, Quem pene s arbitriuin est , etjus, et norma loquendi . E Lionardo Salviali ci avvertisce a non in tutto bandire simili voci : Non per questo ne seguirebbe ^ che le non così vacche si dovessero scancrlldre ; tnn usarle, quando o le pili vaglie ci mancassero , o la materia a vaghezza non ci astringesse , o che per variiire fosse ben fatto a riceverle [\y\L se Diomede Borghesi dice, non si dover seguitare gli antichi in parole di simll livrea; pur egli afFerm,T esser com- portevole, che vengano usate da' compositori di ri- me nella fine del verso ^ come appunto se ne servì il Tasso. Ecco l'autorità del Borghesi : Non a[fermo IO giù , che non sin comportevole, che compositori di volumi di rime usino alcune di queste, o altre simili t>oci ( parla egli dell'antiche) una volta, e solamente nella fine del verso (2). Pur assai più pa- rt)lc di tal f;itla si leggono negli scrittori; e tal volta hanno eglino scritto certe voci cosi barbare e di rozzo suono, che non si direbbono nel più rozzo contado o goffo villaggio d' Italia , le quali potreb- bono muovere le risa , se le leggessero , anche agli Eracliti piangenti. Il Petrarca, oracolo (per così dire) della nostra lingua, anche molte ne scrisse nelle sue rime. Usò egli ne' Trionfi sinestra in vece di sinistra, dicendo : E 'l ferro ignudo tien nella sinestra (3) . Così parimente Deo per Dio : Colui ch^ è fililo Deo (4); voce, che forse egli riportò da' più antichi rimatori italiani, da' quali solcasi parimente dire me.o,eo, reo, e slmili , per mio, io, e rio : il che può chiara- mente vedersi in un libro stampato in Roma dagli Accademici della Puoi un , in cui sono raccolte le {ì) Salif. ylvver. ling. lib. Ily e. 12, voi. 2, (>,) Borgh. leu, p. I. (3) Pctrur. Trionfo d' Amore, e. 2. (4) ^ cap. ^. DI MAHIO aiT« 25 riaie de' poeti di quel primo secolo della favella ita- liana (1). Ma senza partirci dal Petrarca , dissesi al- tresì da lui Tibro , in vece di Tehru : Fra i altre la Festal 'vergine pia^ Che baldanzosamente corse al Tibro (2) . E cosi corno per come: Quattro ca\'ai con quanto studio corno (3). Quindi poi in tali , o simili voci fu seguito da' più moderni , negli scritti de' quali in t.inta copia se ne osservano ,clie si rendono nauseanti . Poiché non fu mai stimalo per bene l'usar voci così sconce, ed in particolare da alcuni moderni rimatori , che cac- ciando fuori una Diano di sonetlucci rappezzati, e di canzoni mal conce , credono di gareggiare (se non si pensano averlo superato ) col Petrarca, o se pur altro non ve u'è migliore. E siccome è comporte- vole nel Petrarca e in altri eccellenti poeti l'uso di taluna di queste voci -, così non sarà conceduto ad uno de' poetastri che corrono in questa età , i qua- li ad uso delle sanguisughe vanno ricercando sem- pre il peggiore ne' >alent' uommi per imitarli ; e dicono : Ciò si è fatto ad imitazione del Boccaccio j dell' yl riosto, ec. Che perciò si disse dal Borghesi neir autorità di sopra allegata : Non affermo io giàj che non sia comportevole, che compositori di volu- mi di rime usino queste voci te, intendendo egli del Petrarca ; confermando appresso assai bene questa opinione, con dire: Perchè qual persona giudiziosa può senza risa leggere, o ascoltar le composizioni di que"" moderni, i quali come le ven- tose de' medici tirano a se il peggior sangue , così n e W imitare questo nobil poeta fanno elezione del- le sue nien pure, e men graziose, e men vaghe pa- role (c.(4)Pure non può questa autorità abbattere il Tasso, perchè, oltre ch'egli compose un poema lunghissimo , si stima pariuienie uno de' più eccel- lenti pccti ch'abbia avuto la nostra lingua j né è da (i) Raccoi. de' Poet. antich. (2) Petrar. Trionf, della Castità. (3) Trionf. del Tempo. [!\) Borgk. loc. alt 26 BILANCIA CRITICA Stimarsi della condizione di coloro che intender volle il Borgliesi , perciocché egli stesso avea gran conto di lui , siccome scrisse iu una delle sue lette- re: ònza dubbio io tengo il Tasso per solenne Ut- terntOj e per gran poeta (1). E, per conchiudcre, scusabile egli mi pare, se ad imitazione degli olli- rai scrittori, come egli parimente, taluno di questi vocaboli ia un sì lungo poema abbia usali . OPPOSIZIONE VII. (G. 3. St.9.)<( Dalla cittade intanto un di' alla guarda « Sta d' alta torre » ec. La voce guarda in questo luogo è un notabile e- quivoco 5 perciocché cosi anche si dice nell' iiupera- tivo del \erho guardare . Lascio poi di notare la sua sconvenevolezza, potendola da sé conoscere ogni leg- gente,non essendo stata usata da altri buoni scrittori prima del Tasso . RISPOSTA Io non ritrovo l'equivoco^ perciocché, sebbe- ne la voce è delTistesso suono dell'imperativo del verbo guardare j il senso è quello che toglie l'equi- vocazione della voce. Non mancano nella nostra lingua parole , che danno 1' esistenza a cose diverse ; ad ogni modo la forma del parlar le distingue. Le voci serica e sen^i sono comuni così al verbo, come al nome ; ad ogni modo , trovandosi nelle composi- zioni, il modo del parlare le distingue, e ci dà a conoscere la loro forza: e cosi di molte altre, delle quali non è in tutto priva la lingua greca e la la- tina . Ed in quanto a quel che si dice , che rassem- bri sconvenevole il d'ir guarda, in vece di guardia; rispondo che sia uso della nostra lingua , die alcu- ne voci, le quali richieggono li innanzi all'ultima lettera, senza di qucll t parimente scriver si possa- (i) Lett.p. 3. DI MARIO SITO 27 ìio y come imperio , da cui togliendosi 1' ultimo i , sì vi(;ue a dire impero . Così emisperio, emispero; me- moria ^ memora / materia, materaf monisteriOj mo- TiisterOj e con questi compagniaj compagna^ iìifa- miaj infatua, e altre : e così guarda per guardia , usala dal Tasso . E ciò fecero gli scrittori per ser- virsi della figura chiamata da' Latini Syncopa, che altro non è , se non un toglier di mezzo le parole qualche lettera : ed é stata questa figura spesso usa- ta da' nostrali poeti , per agevolarsi il verso ad uso de"* Latini , a cui fu famigliare l'usarla. Né staro io ad apportar molti esempli , perchè troppo starei a bada, trattenuto in cosa di cui basta semplicemente averne chiarezza. Dlssesi irjfama per infamia àa. Guitto ne d' Arezzo : In ciòj che a lei giammai recasse infama (1). K guido Cavalcanti disse anche memora per me- moria : In (juella parte dove sta memora (2) . Così Dante in una canzone di.sse lado per laido'. Perdi è a dire lado (3) . E più volle nella sua divina Commedia usò di porre simili voci. Disse matera pev materia: Perocché forse appar la sua matera Sempre esser buona (4) . E altrove parimente : fieramente piìi volte appajon cose. Che danno a dubitar falsa matera (5). Né schivarono quest' uso i prosatori . Al Villani furono troppo famigliari simili voci. Diss'egli vica- ro per vicario : Fi lasciò per suo vicaro Guglielmo Canario (6). Così anco salaro per salario'. Ed elli con grosso snlaro (7) ec. E si servì parimente di ma- teraj usala da Dante nel verso : Tornando alla no- stra filatera (8). Cosi ancora d' infama per infamia : {\)Guii(. raccolta dì Rimp.{'ì.)Cah'alc. Rime, (ò) Dante, raccolta di Rime, (4) Purg. can. 18. (i) ecan. 11. (6) Vili. ht.l. 1 1 , e. 97. (7) e lib, 1 5, e, 1 1 7, (8) e Uh, \ i, e. 129. 28 BILAA'CIA CRITICA Questa è infama forando dì inali cittadini (1 ). E tulio (Questo può bastare, per far conoscere che non Tu senza la scorta di molti usata dal Tasso la voce guarda: né è tanto sconvenevole, (juanto l'opposi- tore la stima 5 essendovene di molle assai più barba- re e stravaganti , delle quali puossi avere contezza nell'Ercolano del Varchi, il quale a Sufticienza ne tratta. Dirò solo, che siccome gii antichi toglievano la lettera i da molte parole , siccome già ho dimo- strato; così parimente a molte altre 1 aggiungevano . E se alcuna volta dissero Alessandra per Alessan- dria , dissero anche Europia per Europa, fraile ^e,T frale, e altre simili , siccome anche venne nota- to dal Salviati , dicendo: E talora anche v^ assiu- gne una vocale se^za altro discaccianieìito _, sic- come in Europia, e splendiente, che quasi sempre scrissero in quel buon secolo (2); apportandone cento altri esempli, che si tralasciano , sì per non essere a questo proposito, si ancora perchè ne fa anche ca- talogo il Borghesi (3). OPPOSIZIONE Vili. (St. 14.)« Un Franco stuolo addur rustiche prede, « Che fconie è l^usoj a depredar precorse j « Or con gregge ed armenti al campo riede : « Ella ver loro » ec. Pone Franco stuolo nel numero del meno , e re- golatamente l'accoppia colla terza persona singolare del preterito precorse : e poi , uscendo fuori di rego- la , dice; ella ver loro, volendo significare che Clorinda corse verso lo stuolo . E quantunque il nome stuolo sia collettivo^ e completta numero di genti ; niente di manco le regole della gramatica latina non sono somi^lievoli all'italiane. o (i) F/7/. Ist. tiù. 12, e. 72. '2) Salv. Avv. ^ol. I. /. 3, e. 2, p, 7.'i. (3) Borgh. Leti. disc. SI MARIO ZITO 20 RISPOSTA Poco è stalo inteso dall'oppositore il sentimento di questi versi del l^asso ; perciocché dicendosi dal poeta : Or con gregge ed armenti al campo ricdcj Ella iicr loro ec, intendesi che Clorinda corse verso lo stuolo e la preda , clic uniti insieme fanno il numero del più. Ma quandi» avesse anche inteso il poeta ver loro, cioè verso Io stuolo^ non avrebbe^ errato signitìcan- do detta voce numero di più persone. Né v verOj che questo modo sia ricusato nella lingua italiana, perocché la nostra gramatica dalla latina dipende , come ben potrei dimostrare. Ma per non dilungar- mi, con gli esempli proverò il tutto. Dice Giovanni Villani: Lo''ngrato popolo di Bologna noli' aveano a fare (1) . Dove si xede popolo at'-i numero del me- no, e ai'eano in quello del più . Così parimente l'i- stesso storico: E così furono morti e presi quasi tutta la detta infortunata compagnia . E questo di- re, secondo il Salviati,é ornato ^^2)e domestico;e da- gli esempli da lui addotti scorgesi essere usitatis- simo nel parlar nostro. OPPOSIZIONE IX. (St. 26.) iiCosì me' si vedrà j s' al tuo s' agguaglia •» . Quanto sia sconvenevole la paroletta me'' , posta qui ( siccome credo ) in luogo di meglio, ben fa cono- scersi da se stessa , essendo un troncamento di mol* to difetto *, perciocché viene a togliersene la mag- gior parte delle lettere, ed ha bisogno d'interpetrc per intendersi . (i) Vili, neirist. (2) Salii al. yévi'ert. voi. 2,/. i, ci. 30 BILANCIA. CRITICA RISPOSTA Molti troncamenti di voci io ritrovo, a' quali non si può in guisa alcuna ragion di regola assegna- re; ma stimo che siano siali latti dagli scrittori, se- condo i proprj capricci , o pure secondo la necessi- tà del verso , questi esscudo per lo più i poeti . Né si dia il censore a credere che il Tasso gli abbia u- sati senza 1' esempio degli altri . Furono soliti alcu- ni antichi poeti di dire mei per mr^lio^ siccome si vede In Buonagiunta da Lucca : Perchè la gente mei me lo credesse (1). E M. Gino da Pistoja : Dunque sarebbe meij eh' io fussi morto (2). I qua' luoghi vennero anche notati dal Bembo ne' suoi trattati di lingua (i). Furono poi di coloro, che togliendone la lettera i, si compiacquero di dir me^, del modo che di quelli ^ quei e ^ae' parimente si dice . Così fece Dante : Sei savio j e intendi me' , eh io non ragiono (4). E volle seguitarlo il Petrarca: Me' v' era, che da voi fosse il difetto (5) . Né lo sdegno Lodovico Ariosto : Quanto me' finger san pittori industri (6). Onde poi il Bembo stesso , che ne diede gli esempli , volle dopo costoro anch' egli servirsene per farci conoscere che ben fosse l'usarlo ne' versi: Ed era il me', eh' io le foss'ito astanti (7). Ho detto tuttociò, afBnchè si accorga il nostro cen- sore che non fu detto dal Tasso senza la scorta de' primi poeti, che nella nostra favella scrivessero. Pu- re a maggior chiarezza , ed a soddisfazion de' curiosi soggiungo, che nella stessa guisa si disse dagli anti- chi f. per figliuoli, come dall'autorità di Dante si può chiaramente comprendere: Per esser fi di Pietro Bernardone (8) . (i) Raccolta de' Poeti antichi. {i) Nell'istessa.{Z) Bembo, Prose, p. 3.(4) Dante, Inf. e. i.[5) Pe.tr. e. 2^. {&)' Arias. Fu- rioBOyC], st. i ì.i'j) Bembo, Ri me. {&} Dante, Paradiso, cu. DI MARIO ZITO 31 N^ può dirsi che ciò quel porta facesse per necessi- ta di verso , poiché ad uomo di si alto ingegno man- car non potevano i modi di versificare senza storpiar le voci. Fu in questo modo usata questa parola sin dalla nascila della lingua Italiana appo gli scrittori di que' tempi; e usa vasi di ò'wcji Ridolfi, fi Giovanni, cioè a dire figliuoli di Ridolfo, figliuoli di Giovanni: e questo nelle prose altresì ho letto più volte. E per maggior difesa del Tasso recherò alcuni altri accor- ciamenti di voci , usati dagli scrittori, che assai più stravaganti rassembrano. Dissesi da Guitton d'Arezzo o'o' per voglia, che non molto differisce dal we'detlo dal Tasso, mancandoci l'ìstesso numero di lettere: Durar cantra sua vo^, cantra suo stato il). E si disse parimente da Dante uo^per uopo: Più non tè uó" y eli aprirmi il tuo talento (2) (*). L'imperadore Federigo li, che imitò i poeti del suo secolo colla penna, in una canzone accorcio la voce sopra, e disse sor: Valor sor V altre avete (3) . La qual voce così tronca piacque ancora a'prosatori^ onde Giovanni Villani disse: E ""/ sorpiu pagare de- nari (4^;. Quindi poi si usò questo sor in composizio- ni , dicendosi: sorci^lio, sormontare, sorprendere, invece di sopracciglio, te. V. così parimente sorgiun- gere , che con vaghezza usò il Tasso medesimo: Quando nuova saetta ecco sorgiunge (^5) ; avendo forse per guida Guido Cavalcanti , che pri- ma avea detto: Non può coperto star , quando è sorgiunto (G); il che poi sì arrogarono i più nioderui con molta va- ghezza . Ma tornando alle parole , che vengono sen- za regola accorciate, dico che anche il Petrarca tal- fi) Scelta di Poeti antichi . (a) Dante, Inf. e. i. (*) Nota che questa lezione non è legittima, mentre eoi" la l'diz. di Crusca, e colle anticlic migliori, dee dirsi — Più non t' è uopo aprirmi ec. Ma quest' autorità di meno non scema la forza alle ragioni addotte. L'Edit. Pis. (3) Scelta di Rime antiche. {^] nil. Ist.{5)Gerus. cii. (6) Guidale. Rime. Contro^. T. IF, :> 32 BILANCIA CKIIICA. mia ne abbreviò con qualclie stravaganza. Diss'eglI in una canzone ere'' per credere: Come ere'' che Falihrizio Si faccia lieto ec.{\) . E n(;ll' istessa canzone si legge accorciato il verbo chiedere, dicendo : Ti cUier mercè da tutti i sette colli^. Sopra i cui luoghi , bcnclié potrei alcuna cosa ap- portare, non mi di d'ondo, menile accortamente fu- rono osservati dal jMn/.io. Pur io ho notalo nel poe- ti medesimo coni" detto per come: Coin perde agevolmente in un mattino (2); avendo seguito in questo i più antichi, a cui era fa- migliare l'usarlo. Pier delle Vigne, a tutti noto e per la sua dottrina, e per la grande autorità che si acquisto in tempo di Federigo II imperadore, di cui questa patria mia va gloriosa, ed io porto vanto per lo congiungimento del sangue che ha la mia casa con fiiniiglia cot>i illustrissima ; in una canzone , a cui ci siamo con)piaciuti aggiugnere alcune chiose per intendimento de'curiosi , va dicendo : Ch' eo dico, ahi lasso menci coni farà e^ìo (3)? Né bisogna dire che la necessità del verso a quesli accorciamenti tirasse quegli scrittori \ poiché ninna slrettczza , ma un vero uso di scrivere a ciò loro indusse ; il tutto potendosi conoscere dalle composi- zioni di cento degnissimi scrittori di prose , veden- dosi anche in esse l' istesso modo infinite volte usi- lato. E per non perdere più tempo in apportar mol- ti esempli , che frequenti se uè hanno, ne diro solo uno del Boccaccio, come di cui può essere sufficien- te l'autorità per comprobare cose di nostra lin- gua. Disse egli ca' per casata. Madonna Lisetta da ca' Quirini {^A) •, seguito dal Villani, che disse: ^/ insegnare i fanciulli da ca' Quirino (5). Pur Dante si st;rvì di ca^ per casa: £ riducerni a ca" per questo calle (6), (i) Petrarca, e, l i. (2) Sonel, l'^o. (3) Pier delle P'/gnCf canz. Scelta di Rime, (4) Boccac. ìVo^eL 32. (5) F'illaniy Istor. (G) Daiit. hif, e. \ 5. DI MARIO ZITO 33 Quindi chiaro si scorge non esser meritevole di cen- sura il Tasso neir accorciamento nie^j come viene notalo. OPPOSIZIONE X. ( St. 56.) « Se non se in quanto, olirla sci miglia^ un bosco » . Non ho mai osservato ne* buoni scrittori questo modo di dire ^e non se : e quanto sconvenevole sia , oltre al non essere usato, ben da se stesso si conosce. Qual buon suono potrà mai partorire nel verso la duplicazione del se? RISPOSTA Sf non *e è V istesso , che dire eccetto o fuori: né è maniera tanto disusata, quanto il nostro critico si crede . Disse il Petrarca : Se non se alquanti , e'' hanno in odio il Sole. Ed in questo luos;o del Tasso , a mio sentire , non solo sconvenevole non si rende; ma forma il verso molto leggiadro e corrente, contro l'opinione del censore . Circa il duplicar le voci »tiì resta molto da dire; ma si riserba da me ad altro luO£jo. Per ora ba- sterà conoscere non avere errato il Tasso , n<' altri pia moderni , che l'hanno usato anche neile prose. OPPOSIZIONE XI. (St. 62. ) « Non è chi tesser me^ bellico frodo ». Ritorna ad inciampare nell' accorciamento me . Pur qui noto di vantaggio la \ oce frodo , come non solita ad essere usata da' buoi scrittori , sapendosi be- ne che frau de, frode, e i^\or froda sia in uso di dirsi ; se pur non vogliam dire die nelle prose , in cui più sta in osservanza la nettezza della lingua , so]o fraude possa essere ammessa , essendo l'altre due tutte del verso-, ma né ia verso, uè in prosa^ro- 34 BILANCIA CRITICA do si dice. E se fu ripreso dal Muzio il Castel VPtro, che avesse detto dota, dir dovendosi dotcj a x-agione dee riprendersi il T:issu , avendo àtilo frodoy e non frode o froda j mutando il genere a questo nome , non clic il suono. RISPOSTA Molti nomi da' buoni scrittori della nostra lin- gua usali si veggono ora con terminazione di ma- schio, ora di femmina: e quantunque nell'uscita mutino rllresi il gtuiere, non perciò nel significato nulla perdono. E perchè bene spesso per comodità della rima i nostri poeti gli usarono di cambiare, a creder si da taluno facilmente , che piuttosto siano da biasimarsi come licenziosi , che da imitarsi co- me regolali: il che non è vero, venendo chiamati questi nomi eterocliti j cioè che nel torcersi e nel variarsi vanno diversi. Tre ne assegno di specie il Ruscelli (1); e fra le altre vi annovera quella de'no- mi , che hanno doppia terminazione ed un solo si- gnificato, CDme lodcj loda, lodo; e co?>\ frode , fro- da, frodo , e cento altri che dall' istesso Ruscelli vengono registrali. Io lascerò qui di apportare tutte le specie di questi nomi eterocliti^ sì perché non in- tendo iodi trattar generalmente delle cose della no- stra lingua^ ma solo di rispondere a ciò che viene notato di errore nel Tasso ,• sì anche perchè di questi nomi appieno da' maestri della lingua si discorre ne'loro libri . Ed il Salviali (2) molte cose partico- lari andò su questa materia diligentemente notando. Basterà adunque eh' io solamente faccia vedere che da molli buoni scrittori , cosi di rima , come di pro- sa , assaissimi di questi nomi siano stati usilati : e credo , per uscir dall uso cofnune, e perchè la no- stra favella conoscendo scarsissima di vocaboli , ar- ricchir la vollero di nuove voci . Il Boccaccio dis- se dimando per dimanda: f^i prego, eh' util consiglio ( I ) Ruscelli, Coment, libro 2, cap. 1 3. (2) Sah'iatiyAvvert, voi, 1 , lib, \ , car. 1 5. ^ 1)1 MA ino ilio 35 diate a miei dinuirifii (^Ì).E se n' era servito nel ver- so prima di lui Dante : Questa chiese Lucia in suo dimando (2). E lo stesso poeta si servì parimente di lodo: Che visse/' sanza infamia^ e sanza lodo (3). La cui voce usata si trova in molte prose d'approva- li scrittori, di cui gli Accademici della Crusca nel loro Vocabulario apportano più d' uno esemplo. Pur fu così tamigliare a Dante il mutar genere a tali no- mi , che sino candelo disse in vece di candela : Per far disposto a sua Jianima il candelo (4). Di questa stessa specie parmi clie sia dimoro, detto per dimora bene spesso da Giovanni Villani nelle sue storie; come quando disse: per lungo dimoro ( )\ Ed anche Matteo suo fratello più volte disse biado per biada, come: Jl biado costava il ruggio da lire quattro. Ed indi appresso: Tanto che ^l grano e""/ biado fu fuori di campi (6). Dire adunque possiamo, che del modo stesso sia preghiero per preghiera u- sato dai moderni, e frodo posto dal Tasso. Né si dia il nostro censore a credere , che senza gli esempli degli altri egli se ne servisse; perciocché in tal ge- nere più d'uno scrittore ha usato questo nome. Cosi r Ariosto nel suo Furioso : Perchè virtute usar volse, e non frodo (7). E nelle storie del sopraccitato Villani più volte que- sta voce si trova , per conoscere che non solo della rima, ma della prosa altresì sia questa voce. Die e- gli: sagacemente j e con frodo (8) ec. Il che venendo osservato da Giacomo Porgami no, questa voce a'poe- li concede nel suo Memoriale, come voce ammes- sa da' più buoni scrittori di nostra lingua. Ed il Tasso, che forse tultociò egli ancora ben' osservato avea,più volte volle servirsene: come nel canto ot- tavo della sua Gerusalemme alla stanza 79, nelcan- (i) Boccac. Filocolo (2) Dante, Inf. caiu 2. (3) e can. 3. (4) Farad, can. 3o. (5) Già. Villani^ Tst. Lib, i , cap. SS. (6) Matteo Vili. lib. i , cap. 56. (7) Ariosto, cani. 8. (8) Gio. Fili. Uh. % cap. 58. 36 BILANCIA CBITICA lo decimonono alla stna/.a 89, ed altrove ; conchiu- deudo che senza i.ufia d'errore potesse egli ciò fa- re. E mostrossi troppo rigido il Muzio in ripren- dere il Castel vetro che avesse dello dota; perciocché dote e dola trovasi scritto iie'buMiii autori. Disse il Boccaccio : E qiwLlo, che stato fosse suo , Le dessi in dota (1) ec. E ciò può vedersi nel Vocabolario del- la Crusca chiaramente^ OPPOSIZIONE Xll. (C. 4. Si. 9.) « Spinse il gran caso in questa orribil chiostra ». Par che il Tasso volesse mutare i generi de' no- mi a suo capriccio: e se nel luogo antedetto mutò il fem(ninile in maschile , nella voce chiostra in questo verso ha cambiato per lo contrario il ma- schile in femminile. RISPOSTA E questo parimente è del numero di que' nomi, da me poco dianzi accennati: e gli Accademici del- la Crusca, dai quali vien data vera regola nelle voci della nostra lingua, non gli vollero dare eselu- siva dal loro vaghissimo Vocabolario. Poiché sicco- me si mutò il genere femminile in quello del ma- schio ; cosi si fece per lo contrarlo , cambiando ge- nere al maschio in quello di femmina. Dante mutò il genere maschile al nome costume, dicendo co- stuma : E Niccolò y che la costuma ricca Del garofano al mondo discoperse (2) ; seguito dall' Ariosto : .^ provar mena lor costuma ria (3) . E di tal modo cento volle , non solo dai poeti, ma (i) Boccacc. giorn. 5, novel. 5. (•2) Dante Inf. can. 2(). (3) Furioso, can. 37. DI MARIO ZITO 37 da' prosatori ahri-sì. Disse Matteo Villani: per an- tica costuma (^1) ec. Del modo medesimo é simil- mente la voce ghiaccia usata da Dante : Erari l' ombre dolenti nella ghiaccia (2); il quale parimente disse travaglia per tra^'aglio, e senza forza di rima : ^hi giustizia di Dio ! tante chi stipa Nuove travaglie e pene (3) . Né la schifo il Villani slesso nelle prose delle sue purgatissime storie , con dire: stando in queste tra- vaglie (4) ec. Né mancano cento esempli. Del modo islesso é la voce chiostra usata dal Tasso , e notata in lui per errore. Né l'usò egli senza gli esempli degli altri. Si disse da Dante: Quando noi fummo in su rultima chiostra (5); e dal Petrarca poscia : Per questa di bei colli ombrosa chiostra (6) . Se ne servirono anche con questo esemplo i più mo- derni, e fra loro il Guarino nel suo celehralo Pastor- fido, e senza necessita , o forxa di rima: Ben rari sono in questa chiostra ì sassi (7) . Olire a ciò nel Vocabolario della Crusca trovasi ci- tata un' autorità , in cui si conosce bene che possa usarsi questa voce anche in prosa: se^l cuor mio potesse rinchiudere dentro la chiostra della propria volontà (8) ec. Pur io (sia detto con pace di quel- la illustrissima adunanza di Eroi ) non slimo degna tale autorità d'esser seguitata: né mai in altra prosa, così degli antichi , come de' moderni , mi ricordo a- vere osservata questa voce , se non nel genere di maschio. Pur non errossi dal Tasso potendo bene u- sarsi nel verso colla scorta di Danic e del Petrarca . (i) Matteo Fili. hf. ( .) rnfern. Cam. 3 i. ( 3^ e Cant. 7. (4) Ist. Uh. 9. (5) Dani. ìnfera. Cant. 29. (6) Petrarca.. Rime. (7) Fast. Fid. Alio 4 - *'«-'«. ert. Uh. ^,pag. '7. SI MABIO eiTO 39 lo leghi: e quegli a queste, ed a maggiori cose è sog- getto . E può ben concedersi qualche licenza a quel \erso, che senza di essa rancido e languido appa- re : perchè se fu miracolo grazioso della divina Es- senza dare il drizzaniento a zoppi; e noi perchè vo- gliamo contentarci , che piuttosto sia zoppo un ver- so, che vederlo diritto e corrente con una minima licenziuccia ^ che è assai meno d un miracolo? Pur io , per dirla , ma spassionatamente , non cono- sco sconvenevolezza alcuna nel troncare questa voce idolo: e diro ( sia con licenza di coloro che troppo scrupolosi si mostrano in materia della lingua), che ogni volta che ingrato suono o rozzo all' orecchie non apporti, anzi più dilettevole si fa sentire, ben far giustamente si possa. Oltreciò Lionardo Salviati (1) , di molti troncamenti parlando , questa eccezione non pose : e pur credo , che non averebbe la- sciato di avvertirlo, se giudicato fosse stato da lui disdicevole; poiché fu egli assai diligente osservato- re, anche de'più leggieri minuzzoli della nostra fa- vella . Conobbe il lutto il Pergamino , e si servì per esemplo nel suo Memoriale dell' istesso luogo nota- to dal nostro censore (2) : che se sconvenevole a lui fosse paruto, non 1 averebbe apportato al sicuro. E se nelle poesie degli altri ciò non si osserva , è ca- gionato, perchè non hanno quegli avuta T occasione di farlo. Pur ne' moderni se ne ha copia doviziosa. Ma se il dire idol ha da sembrare sconvenevole \ as- sai più sembrerà il troncamento fatto dalT Anguilla- ra, nella traduzione delle Metamorfosi di Ovidio, nella parola i;o/o, dicendo voi, che con restar la parola d'una sola sillaba, troppo disdicentc rassem- bra . Die' egli : E ^l fabbro d^ ambi il voi sicuro scorge (3). Or segue l'oppositore: {i) Avveri, lib.'^^'^'j. (2) Pergam. Memor. nella voce Idolo. (3) An^ifll. Traditz. lib. S, sL i63. 40 niLA>Ct\ CBITICV U1>1'0SI7J0NE XIV. (Si. 3 j.) « Ne vi è figlia iV Adamo ^ in cui dispensi » . Troppo mostrò In questo luogo il Tasso ch'ei non avea certa conoscenza del parlar regolato , aven- do mostrato un error fanciullesco, ponendo il vi in vece del Ci;; e pur si sa da' scrittori , assai meno di lui , la differeu/ia che hanno queste due parulette fra loro. Il vi assegnandosi a luogo lontano , quan- do luogo dimostra , ed il ci al presente 5 ond'egli eoa dire : Né vi è figlia d' Adamo , ha dimostrato essere fuori del mondo, dove tutti i tigli di Adamo sono: e dove egli si ritrovava ? Dove- va adunque da lui dirsi : Né ci è figlia d' Adamo , E pure inciampo altre volte in detto errore, dicendo: Né vi è di voi chi mai lor passi arresti . Onde a ragione fu sferrato dall'Accademia della Crusca , e poi dal!' Infarinato Secondo , nelle con- troversie col Pellegrino su il Dialogo dell' epica Poesia . RISPOSTA Sopra questo luogo del Tasso potrebbe bastar per difesa quanto il nostro dottissimo Pellegrino ■ rispose al Secretarlo dell Accademia della Crusca , e quanto poscia replico all'Infarinato Secondo nelle erudite riolle, che ebbe con quell' Accademia per lo suo Dialogo; dimostrando che di luogo loiilano in- tese Il Tasso, quando disse: Né vi è ce, poiché in- tendendo egli d'una bellezza quasi divina, non vol- le includerla nel centro della terra , ove sono tulle le bellezze vulgari . Pur io non voglio lasciare sopra questo luogo tanto vittorioso il censore, che qualche cosa di vantaggio noti voglia soggiungerci , avve- gnaché rozzamente. E dico, che negar non si può che le due particelle vi e ci , quando di luogo ten- DI MARiO ino /^^ gono significazione, ad usar non s'abbiano con dif- ferenza di presente, e di lontano, come assai bea dice il nostro critico. Mas' inganno (mi perdoni quel virtuoso) in questo l'Infarinato Secondo, opponendosi a tal luogo con d'irt: Ed il quale altro per vi non pò- tfva intendere, che in questo mondo ^ che in questo mondo era ancb'e^li^ e certissima cosa è che commise in parlando lo stesso errore, che chi dicesse: venni qui in Bomaj e vi sono stato già da quattro mesi (A). Quindi ilGuastaviui per difesa del Tasso apporto al- cuni esempli, in cui provare intendeva, clie talor vi per ci venga posto dagli scrittori , e fra gli altri porta un' autorità del Boccaccio , dicendo ; // Boccac- cio dice: Per costui (parla d'amore in persona di Venere) la tortora il suo maschio seguita, e le no- stre colombe a^ suoi maschi van dietro con gran- dissima affezione j e niuno altro ve ìi^ è di loro, che dalle mani di costui j ec. Segue poi il Guastavini: Se f^enere insomma per ve n'è , altro non può in- tenderCj che alcuno non è nel mondo, o nel Cielo, o dove ella si pone essere; ed ella pure con essi si ritrosia in quii luogo : ed il Boccacio ha detto vi ; a suo esempio Iha potuto dire il Tasso (2). Ma io so- no di opinione, che l'esemplo del Boccaccio nella Fiammetta, apportato dal Guastavini, della particel- la vi, dinotar non voglia luogo; ma sia una parti- cola riempitiva , conoscendosi ciò assai chiaramen- te ^ perciocché , togliendosi detta particella, il senso in parte alcuna guasto non rimane, dir potendosi: Niuno altro n e di loro, che ec. Quindi senz'altro chimerizzare dell' Istesso modo è il verso del Tasso , usando vi per particella riempitiva , posciachè chia- ro si vede, che ninna forza vi fa, dicendo; Ne vi è figlia d"" Adamo; che tanto è , se dicesse : Non è figlia d' Adamo; essendo il ne , e 1 non d' una forza stessa . E tanto più in questa opinione dobbiamo coufirmarci, quaa- ( I ) /«/. Sec. Repl. al Pelleg. (2) Guastav. dif. del Tasso. 42 r.ir A\CIA CEITIGA. lo che il Bembo, ottimo maestro di lingua, andò di- cendo , che sogliouo slmili particelle usarsi nel! ora- zione per ornamento e vaghezza . dosi dice egli: Tuttocciò egli non è così : Clu-j quantunque ciò che in questi lunghi si dice , dire eziandio senza quella voce si potesse j dico in quanto al sentimento degli scrittori; nondimeno ^ quantop oi all' ornamento ed alla vaghezza del parlare ^ manifestamente veder si può, che ella non v' è di soverchio posta j anzi vi sia di maniera , che non poco di grazia vi s^ arro- ge , così dicendo : E questo nelT altre voci mi , e ti , e vi parimente sifa(^\). E così segue a portar molti esempli che tralascio, per esserne da questo autore apportati. Oltreché la sua autorità è tale, che può bastare per avvalorar quanto ho detto . OPPOSIZIONE XV. (St. >44.) « Quando il mio genitor cedendo al fato ». Questa frase cedere al fato, usata dal Tasso, è co- sì del Latino , che niente dell' Italiano contiene^ on- de latinamente si dice , cedere fato , et fatis . Cosi Livio : Itaque quibus vestruni ante fato cedere , quametc. E quanto debbano schivarsi nella nostra favella i latinismi , a bastanza han dimostrato cento scrittori. RISPOSTA Si sono trovati non pochi scrittori che hanno cercato con ogni accortezza di sfuggire le frasi lati- ne. Altri poi sono stati , che con arte , e senza diffe- renza n' hanno empiuto i fogli . Ambedue queste estremità sono viziose. E troppo si sono ingannati coloro, e con essi il nostro censore , 1 quali si diede- ro a credere, che purgata lingua italiana chiamar si dovesse quella, che dal Latino più si allontani. E chiaro il va dicendo Lionardo Salviali : Lo es- (i) Bembo, Lib. 3. DI MARIO ZITO 43 sersi (die' egli) ti a U^ anno del \^Q^ fino a cento anni appresso^ dal gramaticale uso della latina lingua veduta la nostra imbrattare . Secondochè si corre (juasi naturalmente per lo correggimento al contrario j un falso presupposto dietro alT ortogra- fia ha generato in buona parte de^moderni scriito- ri: cioè j che il primo e piìi sicuro e piti general fondamento dello scrivere correttamente nel fioren- tino idioma j si sia V allontanarsi dalla latina lin- gua (1) ec. Perciocché il non voler che si usi alcu- na di queste frasi, e una strellezza,a cui ligar non si volle uè il Petrarca , uè Dante, né il Boccaccio ^ né vi si dee ligare alcun altro scrittore. Deve in que- sto caso in gran parte operare il giudizio; percioc- ché non si dee far del pedante da commedia con fare una mischia di voci latine e italiane allo spro- j)osito; ma si deono usare quelle frasi che dall'uso e da' buoni scrittori vengono ammessa. Più strano fu l'avere usato il Petrarca la voce Miserere del lutto latina. Miserere del mio non degno affanno (2); troppo al vivo avendo voluto imitar Virgilio: .... miserere animi non digna ferentis (3). E strano sembrar deve, quantunque scusabile , per la natura del verso sdrucciolo , 1' avere il Sannazza- ro usate alcune voci latine nelle sue poesie (4), ar- ditamente avendo detto irascere per adirarsi^ lede- re per offendere j vascoli per vasi piccioli:, Itmula ^et picciola lima ; e altre che se li potriano conce- dere nel verso, se nelle prose astenuto se ne fosse. Pure essendo la nostra favella scarsa di 'voci e di espressioni, stimo io bene ingrandirla colle straniere, e fra 1' altre colle latine, essendo quella lingua molto doviziosa e di vaiiiie frasi e di belle parole. Ond' è che dir possiamo, di taccia alcuna non esser capace il Tasso, anzi degno slimarlo di lode, che taluna ne abbia dalla latina alla lingua uostralo (i) Avert. voi. I, /. 3, e. 2, /?. 4- (2) Petr. Rime Am. (3) Virg, Eneid. i . (4) Sannaz. Afe. 44 BILANCIA CRITICA condotta, come anche fece allorché disse nel canto quinto, alla stanza 7: Te permettente^ i dieci eletti andranno; con bellissimo modo ponendo l'ablativo te permet- tente latino, nell'italiano parlare. Onde, perchè co- nobbero la vaghezza di questi e simili modi di di- re, non han mancato i moderni darcene mille esem- pli , servendosene con bellezza . OPPOSIZIONE XVI. (St. 56.) » Che commettere in me volse egli stesso ». La parola volse vien presa dal Tasso per terza persona del preterito perfetto del verbo volere ; e pur ella è terza persona del perfetto di volgere. Do- veva adunque dire volle ^ questa essendo la vera vo- ce ; ed in questo errore inciampò più d'una volta , come allorché disse: Offerse, e volse in se sola r accorre . E cosi usa egli spesse Hate riprendevolmente. RISPOSTA Non ha dubbio che la vera e perfetta regola in questi preteriti di verbi è la già accennata dal no- stro censore; pure non è perciò da biasimarsi il Tasso, se Volse, e non volle el disse; perciocché molti maestri della nostra italiana favella, e 1' una e l'altra voce dal perfetto del verbo volere hanno assignata. Così il Bembo: Perciocché e volle e vol- se , e dolse e dolfe si dice (1). Così parimente Dio- mede Borghesi : Non dorrebbe esser ragionevole , che si dicesse volsi e volse per prima e per terza voce del preterito perfetto dimostrativo del verbo volere , potendo prendersi per la prima voce^ e per- la terza del medesimo preterito perfetto del verbo volgere (2). Esegue altre ragioni, con oppugnare (0 Bembo, Prost. l. 3. [^) Borgh. Leti. p. 3. DI MARIO ZITO 45 il Zoppio. E Lionardo Salviaii pure a' poeti concede tal voce, dicendo: Se da dolere si forma dolse, da volere s" avrebbe a formare volse ,• tuttavia l'uso noi consente, e bisogna dir volle; perocché volse, che in sua a'ece talora si trova in rima, è licenza di poeti (^1). E parmijche nel modo stesso sia iav<.ce sparso, propria del verbo spargere, e tal volta po- sta per voce del verbo sparire. Così Monsignor del- la Ca.sa : Ove repente ora è fuggito, e sparso 7\io lume altero (2) . TNè voglio perciò che io modo alcuno si dia a cre- dere il censore , che questa voce nel sigulticaio del verbo volere fosse usata dal Tasso senza gli esempli de più degni autori, ch'abbia avuti giammai l'ita- liana poesia. Sentasi il Petrarca, e dirassi che T nostro poetn se 1 prendesse per guida. Quel bel viso leggiadro, in ch'ella volse Mostrar quaggiìi quanto lassa potea (3 ). E cosi altrove : e mai non volsi Altro da te, che'l Sol degli occhi tuoi (4). Anzi ho osservata questa voce anche nelle prose de- gli scrittori stimati, contro il parere del Salviati , che sol per poetica licenza il concede . Eccone un autorità del divino Aligieri nel suo amoroso Con- vivio : Iddio, che \o\se privar noi in questa vita di cotesta luce. Né dopo lui sdegnò di ciò fare il Cro- nista Fiorentino, Matteo \'ì\\àni: E ciò fare non, volse (5). E del modo stesso cento altri scrittori pa- rimente hanno usato di dire; ond' è che possiam dire la voce volse essere così comune al verbo vo- lere, come al verbo volgere ; e che (come abbiam dimostrato) volle e volse possa ugualmente dirsi con regola . E non solo non dessi di ciò dar tac- cia al Tasso ; ma dobbiana dire che egli bravamen- ( i) Ai>vert. voi. I, /. 2, c./\. {i) Casa, Rime, san. 4. (3) Pelr. Rime p. 1, sòn. 127.(4) ^ P' '^> ^^'^- ^"4* (5) MalteoFill. hr. l. 9, e. 144. 46 BILAVCIA CRITICI te avesse investigala questa dislinzlone ,• mentre sa- pendo che anclie nelle prose volse, per volle fosse usalo di dirsi, egli nel mezzo del verso e senza ne- cessità alcuna volle frapponerla; non potendosi cre- dere altrimente di quel grand' uomo . OPPOSIZIONE XVIL (St. 87.) « La sferza in quelli , il freno adopra in questi ». Vogliono tutti que' maestri , che dociimcnti di lingua lasciarono , che siccome questi e quegli nel uuinero del meno hanno i lor casi obliqui di 'costui, di colui; a costui, a colui , ec^ e non si può di que- sti e di quegli regolatamente dire 5 così parimente nel numero del più ne'casi obliqui insegnano, che a dir s'abbia di coloro j^ coloro, di costoro, di costo- ro ec. Quindi, a mio giudizio, errò il Tasso, aven- do egli detto nel caso obliquo in quelli e in questi^ invece di dire in coloro e in costoro. E in questo errore par che bene spesso nel poema della Gerusa- lemme inciampasse, come nel canto decimo, alla stanza Ao : Il sa Clorinda teco, ed io con questi; e cosi ancora nel canto settimo, alla stanza 19: Che toglie a questo ilfier Circasso l'alma, E Clorinda di quello ha nobil palina . E così in cento altri luoghi che lascio di notare, bastando questi soli per nota. RISPOSTA Benché 1' opinione comune sia quella che il nostro censore ha portata, contuttocciò non deve sti- marsi errore l'usar quelli e questi ne'casi obliqui altresì, essendo usitato bene spesso dagli scrittori. E bilanciando il tutto nella nostra Bilancia Critica, vedremo se V usar che ha fatto il Tasso questi pronomi in tal modo , riesca al giusto peso della no- m MARIO EITO 47 stra lingua. Fu il Bembo uno defili esatti investiga- stori delle cose di lingua purgata ^ pur egli sopracciò cosi va dicendo: Comecché quei eziandio in quello del pili si dica, e in ciaschediin caso assai soven- te da' poeti , e alcuna volta ancor (juesti,ecj (1) osservandosi eh' ei dica: fn ciascun caso assai so- vente da' poeti ec. Pur «ìli volesse conoscere che il Bembo si mostrasse rigoroso, anziché nò , in questa regola , concedendo ciò solo a' poeti , legga 1' opere di Giovanni Boccaccio, e vederà chiaro che non meno a' poeti , che a'prosatori comune ella sia. E che non alcuna volta, come il Bembo disse, ma spessi.ssime fiate questi e quelli in ciaschcdun caso si trovi, ne apporterò solo qualche esemjdo, per dar giusto peso alla bilancia , e far conoscere ai cen- sore , che troppo rigido mostrato si sia col Tasso. DiccsI dal Boccaccio nel proemio del suo Decamero- ne, opera in cui egli maggiormente osservò pur- gatezza di lingua ; Io sono uno di quelli , ec. E poi segue appresso: ^ quelli almeno, acquali Ja luo- go alcuno alleviamento portare ec. (2). E così pari- mente dall' istesso altrove si dice: Nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli^ che rimaneva^ no vivi ec. E così altrove: Son nato per madre di quegli di Vallecchio ec. (3). E del modo stesso: Massimamente reggendosi guatare a quelli , che v^ pran t/'mforno ^c. (4). E così auesto pronome ben cento altre volte usato venne dal medesimo scritto- re^ onde scorger possiamo , che non commettasi er- rore alcuno in usar quelli e questi in casi obliqui. E l'opere del Caro, e le prose del Vnrchi da per tutto piene ne sono. Ed è falsa l'opinione d'alcuni, i quali vollero che solo nel numero del più si u- sassero questi pronomi in casi obliqui; perciocché r istesso si vede praticato anclie nel numero del me- no. Né mancano in prova di ciò gli esempli, pieni essendone i libri più purgati che vanta l' italiana (i) Bembo, Prose l. 3. (i) Boccac. Proeni. del Dee. (3) e gior. r , novcl. i 7. (/j.) e novel. 84- Contro^'. T ir. 4 ^iS BMAVCIA CRlTtCA. favella; pure, acciocché in ciò la bada non sìa mol- ta, lasciando di far lungo catalogo di scrittori, por- terò in mezzo un' autorità dal Boccaccio medesimo, il quale siccome è uno de' primi oracoli della buo- na lingua, così una sola sua autorità può bastare e per chiarezza della cosa, e per difesa di ogni scrit- tore, che in caso obliquo anche nel numero del meno questi pronomi usati avesse. Nella canzonetl;i, che si trova nella novella novantesima settima, dice a quegli nel numero singolare : Poiché di lui, y4 mor , fu innamorata j JVon mi donasti ardir guanto temenza. Che io potessi solo una fiata Lo mio voler dimostrare in parvenza A quegli, che mi tien tanto affannata. E ciò basti per rispondere all' opposizione fatta al Tasso, ueir usar queste voci in casi obliqui. OPPOSIZIONE XVIII. (St. 89) « Ad altri poi , eh' audace il segno varca » . Non fu meno errore di questo poeta l'avere usalo quelli e questi l^t.' casi obliqui, essendo voci assi- gnate a'retti , di quello che qui è il à'xre altri, in- vece d' a/frMi,' questa voce essendo regolatamente de- gli obliqui, e quella solamente de' retti : regola «e- veramente dataci da' maestri. E spesso in quest'er- rore egli cadde, siccome allora che disse nel canto quinto, stanza 6. Che''n altri ò providenza, in noi viltate. RISPOSTA E in ciò parimente non erro il Tasso , usandosi il dire altri e altrui indilFerontemente ne' casi obli- qui , rompendo la regola lasciataci da' maestri. Nel- la Raccolta degl' Illustri disse Niccolo Tiepolo : Che tutto quel , eli ad altri saria greve. DI MARIO ZITO 4^ E nella stessa Tommaso Castellani : Ma quel eh" ad altri nuoce , è sol radice Del nostro ben ec. Né ciò schifò Monsignor della Casa : Repente ad altri amor dona^ e dispensa (1). E Benedello Varchi : Cli ad altri rado, e forse mai non feo (2). E se ne servì nelle prose altresì, dicendo neirErco- lano: // Rohortello non ha difeso sé j pensate co- me difenderà altri . E altrove nel medesimo dialo- go : Se «^ altri l'oi., o M. Lelio Bonsi, le direte mai. Conobbe tutto ciò Adriano Politi, onde nella lettera al Pannocchieschi, all'oppositore che '1 con- trario teneva, così rispose: //• censore s^ incan- na air ingrosso, se crede che il pronome nitri nel maggior numero sia del retto solamente, e non ser- va a tutti i casij non solo secondo l' uso nostro di Siena j ma anco degli scrittori antichi, come ben mostra il Borghesi nella lettera al Sig. Ippolito Augustini, dove cita infiniti luoghi j, a questo propo- sito, del Passavantif del Boccaccio , del Petrarca^ e del Casa.K cosi fu moltissime fiate usato dal Caro nella sua Apologia . Ed il Pergamino nella lettera dedicatoria del suo Memoriale pur disse : Non dovevano queste mie fatiche essere da me of- ferte ad altri, che a V. E. ec. E sempre anderà re- golatamente detto ne' casi obliqui del maggior nu- mero, purché vi sia la compagnia dell'articolo, o Regno del suo caso, siccome anche ne avvertì il ci- tato Pergamino. Onde stimo aver chiarito, che non errasse il nostro poeta , usando altri nel numero del più in caso obliquo, contro la regola del censore, che volle in ciò mostrarsi seguace del Bembo . (i) Casa, Rime. (2) Farchi, Rime. 50 siLA?Jci\ cr.nieA OPPOSIZIONE XIX. (St. 93.) « Inforsa ogni suo stato j e di lor gioco w . Abbiamo per buona osservazione, che quando il ragìonnmeritu ha relazione ad una sola persona, il «uo relativo debba assere suo, sua, ce -, e quando a pili persone si riferisce, relativamente abbia a dirsi loro; come per esempio : U uccello Jugs;e il suo ni- rio: Gli uccelli fuggono il loro nido. Quindi fu ri- preso il Gastelvetro dal Muzio nelle Battaglie, ch'e- gli ciò osservato non avesse, avendo detto: Scritto- ri, che pubblicano i suoi poemi . E ne riprese pari- mente il Ruscelli , il quale uso cosi malamente il re- lativo. Sicché, essendosi detto in questo luogo dal Tasso suo stato, che si riferiva agli amanti che di sopra avea nominati, di numero plurale, dicendo: f^er gli amanti il pie drizza, e le parole; jiprendevolmente fu detto, dir si dovendo loro stato. RISPOSTA La sposizion di questo luogo, a mio giudizio, non va come, il censore s' immagina , e come altri anco- ra vanamente si persuasero: ed acciocché resti ben bilanciato, anderò, per chiarezza della cosa , facen- do l"" anatomia a questo luogo del Tasso. Diss'egli: Fra sì contrarie tempie in ghiaccio e in foco. In riso e in pianto, e fra paura e spene Inforsa ogni suo stato, e di lor gioco L' ingannatrice donna a prender viene. Cioè Armida, ingannatrice donna, ponea in forse il suo proprio stato, riferendosi il relativo suo ad Ar- mida , terza persona singolare . Ed acciocché più chiaramente possa dimos.lrare il mio parere, non mi renda spiacevole col ripetere quanto da Goffredo a lei l'u detto, escludendola da' guerrieri ch'ella già dimandava : Se in servigio di Dio, eli a ciò n elesse y DI MARIO ZITO 51 Non s' impii'^asser qui le nostre spade, Ben tua speme fondar potresti in esse, E soccorso trovar, non che pietade. Ma se queste sue gregge, e queste oppresse Mura non torniani prima in libertade. Giusto non è , con iscemar le genti. Che di nostra vittoria il corso allenti. Pur Armida, allettando poscia molti cavalieri del- l'esercito Cristiano colle sue arti: Ma mentre dolce parla, e dolce ride^ E di doppia dolcezza inebria i sensi. Quasi dal petto lor r alma divide. Non prima usata a que^ diletti immensi; prese qualche speranza d ottener il suo intento-, on- de dicesi assai bene, che ponesse in forse ogni suo stato . E perchè or con dolce parlare e dolce riso allettava que' guerrieri , come si disse; ed ora colla mestizia del volto e con pupille lagrlmyvoli invitava i loro occhi parimente al pianto, come si soggiugne: Stassi talvolta ella in disparte alquanto, E '/ volto e gli atti suoi compone e finge. Quasi dogliosa; e in fin su gli occhi il pianto Tragge sovente, e poi dentro il respinge: E con quest arti a lagrimare intanto Seco miir alme semplicette astringe; ben dir doveasi dal poeta: . ... e di lor sioco L^ ingannatrice donna a prender viene; dicendo loro , perchè si riferiva agli amanti, o ptire a quelle parole niili alme, di plural numero, di cui Armida si prendea gioco, facendo loro mutar 1 af- fetto secondo le mutazioni del suo sembiante. Ma affinchè iu modo alcuno non possa esser ripreso il Tascio in questo luogo, potendo anch'essere che l'o- pinione mia andasse errata intorno al seatiinento di questa esposizione , farò conoscere chiaramente che di taccia non sia degno il poeta , se suo iu vece di loro ha usato. Né gli scrittoli , dal Muzio oppu- gnati, biasimo alcuno per ciò aver debbono; posciac- 52 BiL/l)iCIV CBiTICA che la regola dal censore apportata, quantunque buona, non è perciò che, trasgredendosi , in errore si cada; poiché ne' libri migliori di purgata favella tanti esempli n'abbiamo, che appena è che possa dirsi regola . Sentasi il Petrarca : Ed in suoi magisteri assai dispari Quintiliano j e Seneca j e Plutarco ['\). Cos'i Francesco Maria iMol/.a : Siccome augelli sempliciotti e puri Lunge dal suo nativo j almo ricetto (2) . Né se ne allontanò Luigi Alamanni : Non si vedeano allor gli umani ingegni Con mille insidie a pesci, augelli, e fere Romper la pace, e i dolci suoi disegni (3). N('' diasi a credere il censore, che questo modo di dire sia stato schivato da autorevoli scrittori di pro- se; poiché ne sono copiosi gli esempli: ed il libro di Pier Crescenzio ne è così pieno, che citarne l'au- torità sarebbe gran. consumazione di tempo. Pure , per maggior chiarezza di questo luogo del Tasso, ne addurrò alcuni di regolati scrittori: e quantunque il Crescenzio n'abbia pieno ogni foglio, ne porterò sol uno per saggio. Die' egli: Le mele acetose ed acerbe generano Jlemma , e putredini j e febbri per la proprietà del suo umore, e della sua crudità (4). Ed il Boccaccio disse nel Proemio del suo Decame- rone: Pochissimi erano coloro, a^ quali i pianti, e i amare lagrime de\no'\ congiunti fossero concedu- te. E così altrove; Poiché gli arcieri del vostro ne- mico avranno il suo saettamento saettato, ed ì vostri il suo ec. (5). De' quali modi copiosissimo si rende il Boccaccio in tutie T opere sue . Né mancano per- ciò degli altri autori, che di questo modo serviti si siano . Giovanni Villani trovasi frequentemente essersene servito. Dice in un luogo: / Fiorentini per far restituire a^ loro mercatanti la sua merca- (i) Petrarca, Trionfo della Fama, e. 3. [i) Raccolta di Rime dell' À(anagi.[%) Alaman. Elen. 3. (4) Grescen. libro 5fCap. }?.,(5) Boccac. Decam. noi'el. ^i. ni MARIO ZITO 53 tamia (1). E Maileo suo fratello non Ischivò usarlo nelle storie, che piscia segui ; I Fiortntini manda- l'Olio i suoi soldati (2). E del numero di costoro an- cora è Dante: Ma quelli, chi*^ compongono parole armoniose j chiamano le opere sue canzoni (i) . Ed acciocché si vegga, che non solo con gli esempli , ma parimente coir autorità possa difendersi il Tas- so , e riprovarsi la severità del Muzio, sentasi che ne dice il Borghesi in una delle sue lettei^e discorsi- ve ad Ippolito Agostini: E^ vero ( scriv'egli ) che loro in tal modo sen^e lo pili delle volte al se- condo numero; ma è falso che talora i poeti e pro- satori, e specialmente i tre padri della nostra Un- gua (^benché non ne facciano menzione la Fabbrica del mondo ^e glialtri f^ocabolarJJ,non faccian ser- vire anche al primo numero suo , sua, suoi , sue(4)« Quindi cento esempli ne porta cosi nel numero del meno , come in quello del più de' migliori autori di lingua, italiana. Onde conoscer chiaramente polras- si , che in ogni modo che si prenda la voce suo , nel luogo del Tasso , dal censore notato, attribuirsi ad errore non possa. Non voglio lasciare contuttoccio di soggiungere, che l uso di dir suo in vece di loro fu preso dalla lingua latina, chiamato da' grammatici reciproco; e dicesi: Cives defendebant snam pa^ triam. Cosi Gelilo: Trium poetarum illustrium E- pigrammata^ Cn. Nevii j Plauti, M. Pacuuii, quoe ipsi fecerunt^ et incidenda suo sepulcro relique- runt (5). E così in questa lingua ben cento esempli. OPPOSIZIONE XX. (G. 5. St. 1 0.) « Te dunque in duce bramo , oue non caglia V. A te di questa Sira esser campione ». Non so quanto ben si dicesse dal Tasso Sira invc (i) Gio. Vili. lìb. 6, cap. 1. (2) Matteo Villani ,Ist. Uh. i , Cé 23. (3) Dante, della Volg. Eloq. l, ?,, e. 8. i^4) Borgh. Lett, p. 3. {S)Aul. Gel. llb. i, e. 24. r'»4 jiiLA.NciA i,umeA ce di signora^ formando il uome sostanlivo ieinmi- nile dal sostantivo macellile sire: voce portata nella nostra favella da' Francesi , che vai l'islesso che si- gnora, di cui anche si servi il Tasso, dicendo nella stanza 67 del canto (juiiiio: Sirr, il dì slabi t ito è g/à trascorso; non sempre potendosi dal nome sostantivo del ma- schio formar quella della femmina, come han vo- luto i maèstri . RISPOSTA Non ha dubbio, che la voce sire dalla Francia al- l' Italia fece passaggio, come dice il censore j pur da altri popoli la si presero i Francesi . Dicono gli E- brei more in significato dì maestro e di signore; i Caldei mar: gli Arabi mir^ e in significato di fe- mina mar o Maria (1). Quindi si disse parimente sar in significalo di Signore, e sarà in significalo di signora. Da sar dissero gli Arabi sir nello stes- SO significalo: da' quali poi presero i Francesi que- sta voce, e i Turchi dissero da sir similmente visir. E da questa anche, come gli Ebrei e i Caldei e gli Arabi, ne formarono il feminile sira. E che possano bene spesso formarsi i nomi sostantivi di femmine da' nomi sostantivi di maschio, in altro luogo, per più chiarezza di questo, faremo difFusamente ben chiaro. Pur in questo luogo la voce sira, notata dal- l' oppositore, a mio giudizio par che non voglia dir signora: né parmi formata da sircj com' egli si ha dato a credere; e, se mal non mi appongo, par che voglia dinotar piuttosto donna di Siria, ovvero Siriana. Così anche il Petrarca, nella voce Perse, intese donne di Persia o Persiane, allorché disse: Tutte vestite a brun le donne Perse (2) . E questa esposizione, per dirla , parrai più al pro- posito . (i) Vedi Cornei, a Lap. in epist. ad Corinth. cap. i6. {T^Petrarca, Trionfi. CI MARIO eiio 55 OPPOSIZIONE XXI. (St. j6. ) « Tu di condurlo, e proveder t' ingegna ». In questo luogo vieti tolta la particella di al secon- do verbo, doveiidosi dire, e di proveder ec.j mentre si era antecedeutetiienle detto. Tu di condurlo . E chiaramente si scorge la particella di esser richiesta dal senso grammaticale, tanto più che prima della copula vien posta 5 onde dopo la detta copula dovea seguirsi lo stesso modo di dire . E altrove inciam- possi ancóra dal Tasso in questo scoglio, come al- lorché disse nella stanza seltantunesima del canto tredicesimo : iS' a mortai mano già virtù porgesti Bomper le pietre , e trar dal monte aperto Un vivo fonte : ricercandosi la particella di avanti al verbo infini- to i e dovea dirsi , Se virtù, porgesti di romper le pietre j di trarre ec. RISPOSTA Sembra questo, a mio giudizio, piuttosto un vezzo della nostra favella, che un errore , come credesi il censore, e molti con lui si credettero 5 perciocché il senso, rotto o guasto in modo alcuno non rimane: e 1 istesso sarebbe a dire^ Credo ottener grazia dal nostro Re ec, spero andare in Napoli j che se si di- cesse. Credo di ottenere j spero di andare. E accioc- ché non parliamo senza qualche autorità , vediamo quanto sopra ciò va dicendo il Borghesi in una let- tera , ch'egli scrive al Signor Jacomo del Signor Gi- l'olamo Delfino^ ove dice, Non poco s" ingannan co- loro, che riprendendo il Signor Antonio, dicono di' egli fuor dell' uso d'ogni approvato scrittore ta- ce in questo verso la particella di; a Se gli occhi j, e' han vigor cangiarmi in selce »•, perciocché, avvegnaché secondo il parlar comune 56 BILANCIA CRIIICA sia da dircj e haii vi^or di cangiarmi; nondimeno la predetta particella non si vien tacendo per lui senzaesempj di suprema autorità (1). E vi porta da cinque bellissimi esempli di VI. Giovanni della Ca- sa , i quali , perchè Uà il Borghesi registrati , trala- scio di riportare. Ed in quanto all'articolo Iacinto dal Tasso nel verso; Tu di condurlo j e proveder t^ ingegna; parendo che necessariamente ci voglia, mentre al primo ci era posto ; così dovendo scriversi dopo la copula, come si è scritto prima di quella; soggiun- go che s' inganna 1 oppositore, e s' ingannarono eoa lui parimente tutti quegli che ciò han notato in altri autori . Vien biasimato il Varchi dal Mu- zio nella Varchina per aver quegli detto: Lingua^ ovver linguaggio non è altro j che un favellar di u- noj o pili popoli; volendo il Muzio, che si dicesse; o di più popoli. Ed il Giannetti appo del Politi aven- do detto , Negli annali e istorie ec. (2)*, dice l'op- positore : 3/a«ca V articolo alla parola istorie ec; volendo egli che dir si dovesse, e neW istorie . Onde par che da costoro si venga a concludere, siccome vuole il censore del Tasso, che ponendosi più nomi in un parlar continuato, gli articoli o segni di casi debbiano stare a tutti i nomi, o a niuno. Questo non è vero , e proverò con chiarezza che tutte 1' accuse di costoro siano senza fondamento di verità; percioc- ché molte fiate i buoni sciiltori non hanno posto l'articolo ad un nome; e seguendo la medesima ca- tena, l'hanno posto ad un altro appresso. 11 Pe- trarca : Gloriosa colonna, in cui s' appoggia Nostra speranza^ e 'l gran nome latino. E pur dovea dire, secondo la regola di costoro, la nostra speranza, e "'/ gran nome ec; che se pia- ciuto gli fosse, ben dir potea : La nostra speme, e l gran nome latino. E Dante pur disse: {i)Dorgh. Leti. p. -i. [ì) Politi, lei. al P aniiocchicsi . 1)1 MAHIO 2ITO 57 (Crepata per lo lun^o, e per traverso (1) j dovendo dire, e per lo traverso . Ma di questi esem- pli sono pieni i fogli de' buoni scrittori : ed io mi riserbo in altro luogo a discorrerne di vantaggio. Per maggior chiarezza della verità porterò sola un' au* torita del Boccaccio nell' Ameto , che tolse parimen- te la particella di avanti al verbo infinito, dicendo : Temo morire, e già non saccio r ora; dovendo dire, secondo il censore. Temo di mori' re ec. E parmi che assai bene resti bilanciato que- sto luogo del Tasso. OPPOSIZIONE XXII. (Si. 83.) « Ma qui stese la mano, e si frappose « La tiranna dell' alme in mezzo ali ire » . Questa voce tiranna, formata dal sostantivo del maschio tiranno, non piacque alla Crusca nelle Ri- sposte al Dialogo del Pellegrino 5 e l'Infarinato se- condo, acerbamente all' istesso si oppose, che ab- bracciò la difesa del Tasso, dicendo nelle sue Repli- che : Così diremo anche uno strego, una poggia, u~ na soldata, una negromanta ec., perciocché mala- mente ad uomo si attribuisce il nome della femmi- na, 0 alla femmina il nome eh' esprime officio d'uomo. RISPOSTA Non sempre dal maschio sostantivo può formarsi il nome della femmina^- ma solamente allora che non viene impedito da una sconvenevolezza, gene- rata o per ragion di suono 0 d' altro j e nella forma- zione di detti sostantivi fa piuttosto di bisogno di buone orecchie, che d'altro. Rerum enim verbo- rumque judicium prudentice est ; verum autem et numerorum aures suiit judices (2): documento da- toci da Aristotile, e seguito da Cicerone e da Quin- (i) Dante, Pur». Cant. 9. (2) /Iristot. Reth. »b BILANCIA CRITICA liliauo.E il medesimo afFerinò Aulo òellio in per- sona di Probo Valerio: Si aut versa m pangisj aut oralionem struisj at.que ea verba dicenda suntj non finitiones illas prcerancidas , neque scrutinas grain- rnalicas spaclavcris^ sed aureni tuam interroga, quod quo loco convenint dicere: quod ilici suascrit,im per spina in quel verso : Fu colta questa dalla spin natia; essendo non solo fuori della regola, per esser nome finieiile in a; ma anche riuscendo di brutto suono, per restar di una sillaba sola. Ma fu sempre il pove- (0 Stigliano, Occhiale, censura lyS, neW Adone, can.^. {i) Salv. Avveri, di ling. (3) Borgh. Let. p. i. »I MARIO ZIT» ()7 to Dolce soggetto alle censure, e fra gli altri del suo contrarlo, dico del Ruscelli : il cjuale anclie tacciol- lo in uu troncamento in n, avendo detto nella sua traduzion di Ovidio: E pili che mille testimon ragione ; dicendosi dal Ruscelli ; Ove voi dite testimon nel maggior numero :, in vece di testimonj 5 che la- sciandovi poi masticaj'lo a modo vostro ^ mi ba- sta di dirvi insomma^ eh' è grandissimo errore di lingua^ non solamente di lingua toscana e regola- ta, ma di qualsivoglia contado d^ Italia (1). Ora per far chiaro che nella voce immagin non errasse il Tasso, come il censore si persuade, diciamo che que' troncamenti in n riescono disdicevoli , che in certo modo mostrano asprezza nel verso. Ma conob- Le assai bene il Tasso , a cui non posso credere che questa regola non fosse nota, che con tal mozzamen- to dolcezza, anziché no, il verso ricevesse j onde a bello studio il fece, dir ben egli potendo : Sotto r imago sua d' uscir son certa^ non guastando in cosa alcuna 11 verso : sapendosi bene , che la voce imago j quantunque latina, sia sla- ta da tutti gli ottimi scrittori usitala. Così il Pe- trarca : Ch" io senta trarmi dalla propria imago (2). E prima di lui Dante: Fecer malie con erbe e con imago (3) . Pur riuscendo al poeta assai più languido il verso, si contentò di romper la regola per compiacere al suono: se pur regola può dirsi quella . che i buoni scrittori non usarono. Disse l'Ariosto: Senza pensar^ che sian l' immagin false (4) . Ma per far conoscere che molto appannato fu dello Stigliano 1 occliialc , e che troppo stiracchiato mO' stressi il Ruscelli ,con gli altri che ebbero la slessa opinione , per maggior difesa del Tasso parimente, molto più vogliamo soggiugnere. Volle Tommaso (i) Ruscelli, dis. 3 al Dolce. (2) Petrarca, canz, 4- (3) Dante, Inf. can. 20. (4) /J n'osto, Fur. e. 8. 68 BILAIICIA CRITICA Stigliano fare il riprensore del Marino, quando nou seppe emendar se slesso . Non diss'cgli, inciampan- do nello scoglio, die altrui aveva avvertito , ort/m per ordine? E forse noi mostrò all' islcsso Marino, a cui egli risponde? J'occai con tasca man l' ordin sonoro (1 ). E quanto dolce suono faccia man l' ordin, altri se'l Tegga. E se il Tasso si servì della medesima voce ac- corciata, mostrò di aver orecchio maestro, mostran- do dolcezza nel suono: Ordin di logge i demon fabbri ordire (2) . Egli è vero , che malamente si mozzano que' nomi che finiscono in anno , poiché facendogli terminare in w , se ne hanno da togliere due lettere, e rendono poco piacevole il suono. Onde non ben si dirà un , per anno j ajfan, per affanno^ tiran , per tiranno, come malamente detto hanno alcuni . Ed in ciò con ragione fu dal Ruscelli il Dolce ripreso (3), avendo detto: Se tiran di signore ei non diventa . Il che si fece da lui spesse fiate . Nel quale scoglio urtò parimente il Grillo , dicendo . f^a r alma errando j ove il tiran r appella (4). Che se in alcune stampe del Furioso dell'Ariosto si legge: // signor e^l tiran di quel castello; per errore di stampa fu avvertito , avendo a dire: // tiranno e ""/ signor di quel castello . Ma veggiamo con quanta poca ragione l'oppugna- tor Ruscelli tacciasse il Dolce, che detto avesse testi- mon; che non riuscirà vano a questo proposito, an- che per difesa del luogo del Tasso di già censurato . Si diede il Ruscelli a credere, che sempre a dire s' a- vcsse testimonio , e testimonii , e nou mai altrimen- te ; ma s ingannò, perciocché dir si può anche testi- mone e testimoni, siccome parimente si dice demo- {ì)Stigl. Rime. Ritp. al Marino. {'2) Canto 16. sf. r. (3) Ruscelli, disc. 3 al Dolce, (4) Grillo, Rime spirituali, san, 22. hi MARIO TATO G9 hìo e demone. E ini maravii^lio assai , clie un uomO che faceva tanta professione di lingua, e clie aveva taute fiate lette e rilette le rime del Petrarca, e ri- formalo il Decameron del Boccaccio , non osservas- se questa voce così tronca poter benissimamente stare , coli' autorità de' maestri. Si dice dal Petrarca in una canzone: O poggij o valli, o fiumi, o selve, ò campi ; O testimon della mia grave vita (1) . Ed il Boccaccio in una canzone altresì nel fine dell* giornata nona disse: Ma i sospiri non san testimon veri. Ed il Bembo, che fu ottimo maestro delle cose di nostra lingua , se ne servì ancora egli nel minor nu- mero -, dicendo : Che non sia testimon del mio cordoglio (2)^ Del modo stesso dissesi da Dante demon: Maestro, tu che vinci Tutte le cose, fuor che i demon duri (3); imitato dal Tasso nel verso antedetto: Or din di logge i demon fabbri ordirò. Egli però è certo, che i nomi che terminano in on- tCj non debbano in gtiisa alcuna accorciarsi, e farli terminare in ii . Si persuase uno studioso di belle lettere, leggendo nel Furioso dell' Ariosto : Ed era sparso il tenebroso rezzo Dell ori zon fin all' estreme cime (4), che orizon fosse voce accorciata da orizonte : il che è falsissimOj essendo accorciata da orizone, voce usa- ta da Dante, il quale disse parimente Caron: E^l Duca a lui: Caron, non ti crucciare (5). Ed altrove : E però se Caron di te si lagna (6) ; la qual voce viene accorciata da Carone^ siccome vien notato dal Mazzoni, dall' Alunno , e da al- tri . Ma difender io non saprei Dante, quando disse {\)Petr.canZi i8. (2) Bembo, Rimc.{3) Dan(c^ Inf. e. i4« (4) Can. 3i, st. 9/2. (5) Dante, Inf can, à. (6) Ibid. 70 >ILAI«CI A CHIl'lCA Fcton per Fetonte, se non iscusarlo per la necessi- ta della rima, che fa dir delle strane cose a' poveri poeti. Diss egli: Che mal non seppe carreggiar Feton (l)| rimando con Sion. Pur trovo che Giovanni Villa- ni abbia detto Laumcdon per Launiedonto, nelle prose delle sue storie (2). Da tutta questa mia di- gressione conoscasi, che di miglior peso riesca 1' ac- corciamento fatto dal Tasso nella voce immasin , che gli accennati di così ottimi scrittori. E benché si sia detto da molti maestri di lingua , che le voci sdrucciole non debbano troncarsi ; pure 1' uso inse- gna il contrario: ed io per non più dilungarmi so- pra ciò, non rapporto qui copia grande di esempli . Termino con questo dell' Ariosto, che mi si fa pri- mo davanti : j4lla giovin dolente persuade (3) ; troncando la soce giovane con maggior sconvenevo- lezza , che di immagine non fece il Tasso . OPPOSIZIONE XXVI. (St. 92. ) a Col durissimo acciar preme ed offende {( // delicato collo » ec. Non mi ricordo aver mai letto ne' purgati libri de' buoni scrittori , da cui norma prender dobbiamo, acciaro j ma sempre acciajo; onde il Tasso, con aver detto acciar j\\di non picciolo errore commesso, a mio giudizio. RISPOSTA Egli è vero, che regolatamente dir si debba ac- ciajo; pure il dire acciaro si concede talvolta a' ri- matori , per la necessità che tengono ne' versi . Il Pergamino che ben 1' osservò, ce ne diede il parere, dicendo: In prosa sempre si è scritto acciajo, ed in (i) Purgai. Cari. 4. ('2) F'ilL lib. i, cap. f3. (3) Ariosto, Furioso^ Can. 24 • DI MARIO 2ITO 71 "verso si trova ancora acciaro (1). Né mancano cen- to esempli per difesa del Tasso, ed io ne apporlerò taluno per soddisfare di vantaggio il censore, e mo- strar che questo luogo del poeta non riesca di scar- so peso, come egli si crede. Si disse da Luigi Ala- manni neir Avarchide: Le solerttte pria del più. sicuro Acciar, che porti il Norico terreno. Gli arnia di sotto i piedi (2) . E poco appresso nel medesimo modo : Poscia alla regia gola ha guardia messo Di saldo acciar, che non le noccia offesa (3). E se leggcrassi il Furioso di Lodovico Ariosto, il quale con ;gran purgatezza ed accortamente fu rive- duto e corretto dal Ptuscelli , Lroverassi che in cen- to luoghi egli abbia detto acciaro . Die' egli : L" osso e V acciar ne va^ che par di ghiaccio (4). Ed altrove parimente : Dun bel muro d' acciar tutta si fascia (5). Ed è pur V€ro,che nel verso riesca più acconcio e dì maggior vigore il dire acciaro j che ncciajo , co- me veder si può, e particolarmente allora che biso- gna troncarlo , e dire acciar; del quale essendosi servito i poeti , perciocché loro fa conceduto da co- loro che regole al ben parlare imposero, volle pari- mente il Tasso servirsene, come poeta eh' egli era degnissimo, siccome viene slimato da tutti coloro che spassionatamente dan giudizio delle fatiche al- trui . E come tale conceder se li debbono quelle li- cenze, che agli altri suoi pari furono concedute. OPPOSIZIONE XXVIL ^St. 96.) « La vocefemniinil sembiante a quella ». Noto in questo luogo la voce sembiante , presa, sic- come pare , invece di simile o somigliante , allorché (i) Pergam. Mcmor. (2) Alamari. Avarch. Uh. 16. 5^.4» (3) e sM>.(4) Ariosto, can. i,st. io. (5) e ca/i.4- <^. i^» '?2 BILAirCIA CEITICA il SUO proprio significato è volto o aspetto : né so con qual esempio ciò si abbia fatto il Tasso. RISPOSTA Egli è vero, che la voce sembiante per lo volto 0 aspetto bene spesso vien presa, come dice il cen- sore ; né si può negare che i buoni scrittori in tal significato serviti se ne siano ; ma non perchè volto significhi , non può simile o sirnigliante parimente significare. Né mancano nella nostra favella , sicco- me la greca e la latina lingua n'è piena, voci di doppia significazione. Lascio di apportarne taluna , essendo cosa da se stessa bea chiara . L'Accademia della Crusca che fu scrupolosa , anzi che no, in am- metter le voci italiane, non escluic dal suo purgato Vocabolario la voce sembiante , in significato di so- migliante ; siccome pur dicesi sembianze e somi- glianze. E parrai strano che il censore voglia es- ser più rigido con il Tasso, di quel eh' altri non fu col Petrarca. Più volte si servì questo poeta della vo- ce sembiante^ nel significato in cui il Tasso la pre- se altresì , come: Di beltade e di lumi sì sembianti j Che anche il elei della terra / innamora (1). E parimente altrove: Quel fiore antico di virtude e d' arme,, Novo fior d' onestate (2). Ne' cui luoghi ben si conosce che per simile venga presa la voce sembiante; né mancherebbono esempli di altri celebri scrittori. Ma se al Petrarca, che co- munemente si stima il principe de' poeti italiani , ciò fu conceduto, non potrà concedersi al Tasso an- cora, che ad; imitazione di lui e d' altri buoni auto- ri parimente ciò fece? (i) Petr. San. ii8. (ì) e Son^ i54' PI VARIO ZITO 73 OPPOSIZIONE XV. (C. 7. St, 69.) « E lascia che degli altri inpicciol vaso (( Pongali si i nomi, e sia giudice il caso » . Noto in questo luogo» clic Goffredo ordina che in un picciol vaso siano posti i nomi de' guerrieri cri- stiani , che dovevano stare a fronte d^Argante, che a singoiar tenzone disfidati gli aveva j e poi si soggiu- gne nella stanza seguente: Neir elmo suo Goffredo i brevi accoglie .^ Onde , non facendosi più menzioue del vaso , ma dell' e/wo j parmi che dal poeta l'elmo istesso si prenda per vaso . E quanto malamente diasi nome all' elmo di vaso, ben può conoscersi da chi ha sano intelletto. RISPOSTA Per intelligenza di questo luogo, e per recar chia- rezza all' oppositore, fa d'uopo bilanciar nella no- stra Bilancia questo nome vasoj che forse ritrove- rassi di giusto peso anche in significato di elmo. Deve adunque sapersi , che la voce vaso è generale a tutti gli stromenli atti a ricevere qualche cosa ^ laonde, essendo r c/mo per la sua concavità atto a ricevere qualche cosa, può venir senza taccia com- preso nella generalità di questo nome. E di qual va- so, se non dell'elmo, servissi Tancredi nell'officio pietoso del battesimo di Clorinda ? Sentasi dal Tasso stesso : Poco quindi lontan nel sen d^ un monte Scaturia mormorando un picciol rio; Egli v^ accorse , e V elmo empiè nel fonte ^ E tornò mesto al grande officio e pio (1) . Le campane , che nella forma hanno qualche somi- gliapza coll'elmo , furono appellate 'va^i . Walfrido Strabone,nel libro De exordiis et incrementis rerum (i) Canto 13, st. 67. 74 ktlanCia cEiTieA ecclesiasticaruni j cosi va dicendo : V^asorum auteni usuin primo apud llalos affinnant inuentum, unde et a Campania, c/uce est Italice provinciaj eadem vasa itiajora (jiiidfm campana; dicuntur ; minora veròf quce et a sono lintinahula vocantur^ Nolas ap- pellant, a Nola cjusdem civitate Campanice, ubi eadem vasa primo sunt commentata (l') . Ma per meglio conoscere il peso di r|uesta voce , valer ci voglianio di significato più vicino, e di au- torità più restringente. Osservasi nella Sacra Srittu- ra bene spesso il nome di vaso venir preso in signi- ficato di arme; onde tonando Goffredo ordinò, che si ponessero i nomi inpicciol 'vaso, non altro che le/- mo persuadomi ch'intender volesse: e coli' aggiun- to che li diede di yf?jccio/o , maggiormente specifi- cossi , differendolo dalla lorica e dall' armi che cuoprono le cosce , e dall'altre più grandi. Or che sia vero che ali armi diasi nome di vasi, leggesi nel libro de' Re : Et inspexerunt ad faciem Jonathan; et percussit eos, et portans vasa ejus procedehat post eum (2). E altrove leggesi parimente; Arma vero ejus posiiit in tahernaculo suo (3); leggendo al- tri : p^asa ejus posuit etc. Ne' cui luoghi sempre il nome vaso vien preso in significato di arme^ come osservò parimente il dottissimo Cerda (4). E che i poeti possano , anzi sogllano servirsi delle voci in significato straniero , non fa d' uopo eli' io di provar mi prenda briga ^ essendo fatica dell' eru- ditissimo Mazzoni nella Difesa di Dante, col cui e- qulvoco difendonsi da lui infiniti luoghi di poeti. Sol diremo noi per Difesa del nostro Tasso , che se ogni specie d arme comprender si possa sotio il no- me di vaso; tanto maggiormente intender vi si deve Velino, che di vaso ha più somiglianza. Anzi degno di lode giudicar devesi il Tasso , perchè faccia piut- tosto servir Goffredo del proprio elmo,ciie d'un' ur- na, o d' altro istromento alto a tal mestiero, volendo (i) Walfr. Strabene, cap. 4- (2) J^-^S' l'^- i> <^' '4- (3) e e. 17. (4) Cerda, Adv, Saar, lib, 65. n. 107. it DI MARIO ZITO 75 in ciò dar saggio d'un costume bellico antico, del quale han fatta menzione molti greci poeti , ad imi- tazione de' quali anche esso il fece. Sofocle : Nonfugacem sorteni in medio immittens Huinidi limi calculum; sed eum, qui Ex galea cristatd sit illieo emicaturus (1). Omero: Sortes autem in galea cerata movcbant acci- pientes (2) -, e altrove: Sortes iììjccerunt in galeam Agamennonis A Ir idee. Ed Eschilo nella favola de' Sette a Tebe: . . . tertio Eteocli sors tertia Exilivit ex cerea inversa galea. E quantunque 1' urna usitassero gli antichi negli spettacoli (finnici, siccome per autorità di Svetonio: Sine mora nomen siium in albo profitentium citha- rcedorum jussit adscrihi , sorticulaquc in umani cum ceteris deniissa intravit in ordine suo (3)/ pure Vir- gilio negli spettacoli d'Anchise ciò non osserva, fa- cendo usare ad Enea l'elmo in vece dell'urna: dejectamque cerea sortem Accepit galea (4) ; polendosi dire ch'essendo i Trojani forastieri nella Sicilia, usassero l'elmo come istromento più pron- to, per istarne sempre guernitl, e più uniforme a gente guerriera . Resta adunque chiaro, che il nome di vaso sia generico ; onde Platone appellò 11 corpo vaso dell'a- nima . S. Paolo venne nomato vaso di elezione, cioè stromento eletto da Dio per la conversion delle gen- ti. Simeone e Levi si dicono nel Genesi vasa ini' quitatis (5),- e che ben fece il Tasso in prender que- sta voce per elmo, a somiglianza de' migliori poeti. (i) Sophoclis, Jjac. (2) Homeri Iliados Ub. ìò. {3)Svet.in Nerou. cap. 21, (4) Firgilii jEn. /. 5. (5) Gen. 49. 76 SILAWCIA CRITICA ^ OPPOSIZIONE XXIX. (St. 70.) « NelTelmo suo Goffredo i hre\*i accoglie », Bisognava forzosamente accogliervi i brevi, poi- ché i lunghi malamente capivano dentro un picclol elmo. La voce brevi non si è ancora inlèsa nel signi- ficato , in cui la prende il Tasso. RISPOSTA Parmi che il censore qui parli con qualche livi- dezza, volendo stare su l'arguzia de' motti e delle facezie; pur noi vogliamo , che queste siano tutte sue. bastandoci con ogni piacevolezza rispondergli . Si era prima detto dal Tasso . in picciol vaso Pongansi i nomi; e poi soggiugne: Neil' elmo suo Goffredo i hrevi accoglie; onde pare che confonda le voci nomi e brevi . Pur non è cosi 5 poiché suona in buon senso l' istesso . Breve in questo luogo è nome sostantivo ; ed è per appunto una picciola scrittura, che suol portarsi cu- cita in checchessiasi, nel collo, o nel braccio per di- vozione. Così osservano i Vocabolisti coli autorità del Boccaccio,- ond'io non mi affatico maggiormen- te. Or disse il Tasso primieramente nomi , ma per far poi maggiormente capaci i lettori in qual forma fossero divisati questi nomi, il dimostrò colla voce brevi; cioè , che stavano scritti nelle cartoline , le quali erano a guisa di brevi, voce accettata assai bene dalla nostra lingua , come può vedersi nel purgatis- simo Vocabolario della Crusca (1). Il che viene in- di appresso vagamente esplicato dal poeta, dicendosi : Nel primo breve, che di là traesse ^ Del Conte di Tolosa il nome lesse . (i) Vocab. della Cr. nella voce Brevi. DI MABIO ZITO 77 Solevano gli antichi servirsi in tali occasioni degli anelli, delle monete, e di altre cose simili , come si ha in Sidonio Apollinare , e in altri (1). Bisogna so- lo ch'io confessi, o che il censore sia troppo scru- poloso, o che ahbia troppo a noja le bellezze di que* sto iucomparahil poema; poiché taccia in esso quel- le cose talora, che più si lendono meritevoli di lode.. OPPOSIZIONE XXX. (St-JI .)(( Qual serpe JicT'j all'in nuove spoglie avvolto^^. Farmi che in questo luogo il Tasso troppo abbia trasgredite le regole e i precetti datici da' maestri della buona favella, usando serpe nel genere di ma- schio, sapendo bene che niuno buono scrittore in questo genere l'usasse; ma sempre nel femiuile, di- cendosi nel maschile serpente : e così han fatto tut- ti i buoni rimatori e prosatori, che regolatamente hanno scritto. Il Pergamino nel suo Memoriale non lascia di far questa distinzione di generi tra la voce serpente e serpe ^ il primo al maschio , il secondo alla femmina assegnando. E Diomede Borghese nel- la prima parte delle sue Lettere Discorsive, in una di esse eh' egli dirizza al Sig. F. N,, così lo ripren- de: Avete J'allitOj dando l' articolo del maschio a serpe j che è del genere della femmina, ec. RISPOSTA Buona e accettata comunemente , io noi niego , è la regola e distinzione de' generi nelli nomi serpe e serpente j quello usandosi nel feminile , e questo in quello del maschio \ ma non per questo ella è ta- le, che trasgredir non si possa. Trovansi alcuni no- mi di animali, che avendo quasi per natura nella lingua nostra un sol genere, pur vengono alterati dagli scrittori , dando loro altro genere ; avendo for- (i) Sidon. Jpollinar. carm. 78 BILANCIA CRITICA se riguardo ad ampliar questa lingua, la quale In- vero in troppo augustia di voci si trova; onde poi alcuni moderni per portar voci nuove , e non anco- ra usate, dicono le più fantastiche cose che mai. An- che i Latini seppero ampliar la lor lingua, e in quel- la molti vocaboli da' Greci portarono. Ma tornando a' nomi di doppia significazione, dico che questo genere da' Latini fu dello promiscuum, e da'Greci epicolnon . Simile all' opposizione fatta in questo luogo al Tasso, ne fu fatta un' altra al Marino, aven- do egli detto nel suo Adone: E dimmi, se trovar ^li occhi de^ linci (1); volendosi , che si dovesse dire nel genere femminile delle linci. Pure la voce lynx appo i Latini usata si trova di doppio genere. Nel genere di maschio disse Orazio : .... timidos agitare lynces (2) ; e nel genere di femmina si disse da Stazio: .... effrcence dextrd Iccvdque sequuntur Lynces (3). Il che , come cosa chiara, e per non essere al nostro proposito , tralascio di più lungamente mostrare . Dico però di nuovo , che molti nomi d'animali del genere femminile furono da' nostri scrittori nel ma- schio mutati . Così tigre j che quasi sempre nel gene- re di femmina si trova appo gli scrittori, hanno al- cuni col genere del maschio usato , dicendo il tigre. Si legge nel tesoro di Ser Brunetto Latini , autore per la purgatezza dello scrivere riputato degnissi- mo: fi' cfaan) Firg. Mneid. (4) O^. Metani, lib. 3. (5) Stat. Theo. l. X (6) y^irg. in Bucai. (7) l^ur. Acin. ni MARIO ZITO 81 E con lui Cornelio Tacito : Unam omnino ang^uem in cubiculo visam, narrare solitus est{]).K così cen- to esempli in entrambi i modi. Ad imitazione de' La- lini adunque usò il Tasso il nome di serpe nel ge- nere maschile ^ né ciò fece senza la scorta del Boc- caccio e dell' Ariosto, come si è dimostrato; sicché non è meritevole di quella taccia, che gli vien data dal censure. OPPOSIZIONE XXXI. (St.76.) « frolla r aperta bocca incontra V ora ». So bene che ora, scritta coli' aspirazione e sen- za , o significa una delle ventiquattro del giorno, o è avverbio , che tunc si dice latinamente 5 ma qui vien posta dal Tasso in significato di aura, 0 di au- rora,, né so quanto bene. RISPOSTA Assai bene invero in significato di aura, ma non di aurora j che non va bene, si disse ora^ dal Tasso: ed è questa una voce italiana , che posta nella bi- lancia riesce di molto peso a rimpetto de'buoni scrit- tori . Non errò egli adunque , mentre osservasi spes- so (he aUj essendo dittongo, spesso in o si suole mutare ; quindi si disse tesauro e tesoro j restauro e ristoro j tauro e torOj, mauro e moro, auro e oro, e simili. Quindi Dante mutò anche \' au in o nella voce Paulo, e disse Polo, secondo la necessità che n'ebbe, servendosi di questa regola: Né pur conosce pescator^ né Polo (2). Onde egli è ben giusto che, a somiglianza di questi, da aura dir possasi ora, pronunciandosi coli' o lar- go ed aperto. Né ciò fecesi dal Tasso di propria au- torità, essendo voce usitata da ben cento degni scrit- tori. Si disse dal Petrarca senza necessità di rima: (i) Tao, Annal.{i) Dante, Farad. 18. 82 EII.ANC! A CRITICA Ma pur die V ora un poco Fior bianchi e gialli per le piagge moi'a (1 ). Dove conoscesi chiaramente, che a bello studio il poeta il facesse , ponendola nel verso senza necessi- tà di rima; potendo ben egli dire: 3'/a pur che /' dura un poco. E nel numero del più dissesi da lui altra volta: Panni d udiri a j udendo i rami e l' ore (2). Quindi poi si servirono di questa voce i più moder- ni , tanto che fatta è ad essi famigliare. Il Marchese di Villa , da cui vanta sua gloria 1' Accademia degli Oziosi di Napoli , disse : Replicar le tue glorie i sassi e l' ore (3). Né il Tasso stesso ne fu tanto schivo, che non l'u- sasse altre volte. Eccone un esemplo nella stanza no- vantesima del canto dodicesimo: Piange le notti ^ e n^ empie i boschi e r ora . E così poi fece egli, ed altri più volte. OPPOSIZIONE XXXII. (C. 8.St. 47) « E mandre di lanuti, e buoi rapiti ». Non è piaciuto a molli buoni scrittori , clie il no- me adiettivo si regga da se slesso senza il suo sostan- tivo \ imperciocché i grammatici fanno differenza fra queste due specie di nomi : sostantivo chiaman- do quello che mostra la sostanza della cosa, e sia da se stesso senza altro bisogno di nome ; e dicesi suh- stantiuunij a substantia, come sale, virtù, uomo, e simili : addieltivo quello che da se stesso non istà giammai, ma sempre accompagnato, come chiaro sole , gran virtù, nobil uomo j e lo chiamano adjecti- vum, perchè è cosa che ;id altra si agg'ugtie , e viene dal verbo Adjicio. Or adunque così essendo, malamente si dice dal Tasso mandre di lanuti, ser- vendosi dell' addieltivo in vece del sostantivo. (i) Petr. canz. 26. {1) e Sonet. ì/{^.(?>)Manso, Rimemo- rali, p. 3. t)I MARIt> ZITO 83 RISPOSTA Ritrovasi, contro la grammatica! regola assegnata dal censore, che 1' addiettivo lasci talora di servir di aggiunto, ed occupi in sì fatta guisa il luogo del -o stantivo , che non più per addiettivo si riconosca ; e questo con chiarezza Tarò vedere, a.^;iocchè resti questo luogo del Tasso ben bilanciato. Di più ma- niere può l'addiettivo occupare il luogo del sostan- tivo: una sola ne vien notata dal Ruscelli, ed è quan- do per ragion dell'articolo diventa neutro; onde di- ciamo il belloj il dolce j l'amaro, e simili (1): e ne abbiamo cento esempli ne! Petrarca. Die' egli: Abbaglia il bel, che mi si mostra intorno (2)^ e cosi ancora altrove: E s^ i^ ho alcun dolce dopo tanti amari (.i); in cui si osservano due addiettivi posti in vece di so- stantivi , cioè alcun dolce , e tanti amari , E l' istes- so modo si osserva nella voce mortale appo \' istesso poeta : Se te ne vai col mio mortai su ^l corno (4). E di tal modo in cento altre voci di simil guisa. Può similmente divenir sostantivo, quando saru partici- pio ,e così ben diremo: Si sono sepelliti gli uccisi: Si sono sollevati gli oppressi; intendendovisi gli uomini. E questo modo è familiarissimo non solo della nostra lingua, ma di tutte l'altre; e viene os- servato ne' migliori scrittori che siano stati. E ben di ciò a torto fu ripreso il Caro dal Gastelvetro, che: detto avesse oyt7^/'e^5'i e empì in significato d' iiomr ni oppressi ec. (5). E pure ho letto nelle canzoni an- tiche delli poeti italiani del primo secolo; yilza il cor de^ sommersi ^el sangue accenni (6). E Guitton d' Arezzo : La piacente m'ha messo in tale foco (7)y (i) Ruscelli, Cunimen. Uh. i^cap. t. (2) Petr. canz. 17. (3) ò* son. 43. (4) ibid. i43. (5) Cusielw contro il Caro. (ti} Canz. amie. lib. io. (7) Guitt. Rime. 8 ( BILAItCIA CRITICA. Intendendo la donna che a lui piace. Si uaa simil- mente l'addieltivo senza sostantivo per una tigura d'eccellenza, chiamata da'rettorici Antonomasia, in alcuni nomi, intendendovisi il sostantivo 5 come quel di Dante da iMajano : Perchè eo vorrei piacere All' amorosa, cui servo mi dodo (1); cioè a dire: Air amorosa donna, cui ec. E così an- cora: Rimembrivi ora mai del ^raue ardore. Che lungamente. per voi bella amare M'ha sì conquiso (2). E altrove il poeta medesimo : E la spietata, che m' avea'n tenore (i) . E così parimente Giacomo da Lenlino in una can- zone : Similemente eo gitto A voi, bella, li miei sospiri e pianti (4) • Ma lasciando da parte gli antichi, il Bembo, esat- tissimo osservatore della bella lingua italiana, ancor disse nelle sue rime: Ma tu di pace a che per me ti prive, Omiafedel{5)? cioè : O mia donna fedel . E il Caro stesso, nella canzone che comincia: Fienile ali ombra de' gran Gigli d'oro (6)5 il qual luogo non osservo il Gastelvetro , dice: Quanti forti e gentili. Che SI fer' ben oprando al Ciel la via. E di questi modi di parlare ne è copiosissimo il Tas- so nell'opre sue, come diletta mia, o mio fedel, languidetta mia, risponde la feroce, e altri molti : i quali luoghi non furono osservati dal censore . Bel- lissimo a questo proposito è quelT avvertimento del Salviati, correggendo il luogo del Boccaccio del 27, '00^"^" •• '""tj"^ (1) Dante da Ma/ano^ Rimeant. canz. (2) e san. 16. (3) e son. 25. (4) Giac. da Ls/it. canz. neW istessa rac- colta. (5) Bembo, Rime. (6) Caro, canzone in lode della Casa di Francia . 1)1 MARIO ZITO 8^ itìove dice: Movendolo V umanità sua a compassio' ne della misera donna ce; suggiugnerido il Sal- viati : Conciossiacosaché in ninna dell' altre copie si lesga la voce donn.i, conte nel vero né per inten' dimento di chi legga j né per altro riguardo v^ era punto bisogno del fatto suo; anzi,aggiugnendolin'ij, s\'anisce la virtù e la bellezza di ijuesto luogo, la qual consiste fiel parlar figurato; conciossiacosaché della misera, quasi per una certa figura d' eccellen- Zttj sia detto dall' autore , quasi ella sia tanto mise- ra j che quel titolo sia fatto tutto suo, e che da esso s^ abbia a nomar senz^ altro. E queste guise di par- lare j senzachè hanno più del grai^e e del raro ad esprimere le passioni , o a muoverle j sono acconce massimamente ec. (1). Suole similmente l'addic ttivo oprar da sostantivo, quando essendosi prima fatta menzione del detto sostantivo, dopo si lascia co- me inutile , sotto intendendovisi . Così il Petrarca: Sicché la neghittosa esca del fango (2); intendendo rli Roma^ di cui sopra aveva fatta nien- zione. E il Casoni anche disse nelle Odi : Tenebrosa e vagante , Che negreggi, e riluci (3) ; cioè la lucciola, che aveva nominata di sopra . E r usò di questo modo parimente il Tasso : Arme arme freme il forsennato (4),' cioè j4rgillano^ di cui sopra parlato egli aveva. Pren- de similmente forza di sostantivo l'addiettivo, quan- do essendo particolare aggiunto d'alcun sostantivo, si sia in sì fatta guisa con quello domesticato , che da servo sia divenuto padrone. E questo è avvenuto a molti addiettivi , come per esempio dannato, che essendo addietlivo, onde si disse .v^u'/'tfo dannato, anima dannata, e simili^ pure come sostantivo mol- te volte si trova usato. Così il Boccaccio: Non un bicchier d^ acqua volermi dare, dovecchè a" mici-' diali dannati ec. (5). E fu famigllarissimo a' Latini, ( ì ) Salv. yé'^ver. voi. i , /. r , e. 11.(2) Petrarca^ canz. 1 1 . {6] Gui. Caw od. (4) Gcr, can. S, al. 71. (5) Bocc. novel- la-jf. 8G BILANCIA CRIllCV da cui forse presero l'uso i nostrali di servirsi del- raddi(-itivo senza il sosinniivo. Cosi Virgilio: Quunt plus ArcllciH ns oras ci litora ci>'cuin Errantem Mycone celsdjGyaroque revinxit{\^. Ed Accio parimente: Utinain unicam mihi untistitani yfrcitenens siiain tuetur (2) . Dove si vede jércitenens adjetlivo senza sostantivo , ed operar come vi fosse . Così trovasi ancora scritto: Talari^er eloquens : T/ijrsiger 'viticomus : magnus Tonans; in significato di Mercurio, di Bacco , e di Giove. Quindi a torto fu il Marino dallo Stigliano ripreso, per aver detto nel suo Adone; buretta amica con sonori fiati Seconda il volo de'' canori alati (3) ; intendendo i cigni. E del modo medesimo è quell'al- tra , occhiuta alata j per la fama . Per la rjual cosa chiaro conoscesi che il Tasso non errò, se disse : TI mandre di lanuti ec; essendo questo un modo vaghissimo di dire, forse preso dagli stessi Latini, appo i quali era usitatissi- rao questo modo. Virgilio : Stat sonipes ,ac frcBna ft'.rox spumantia inandit (4)5 dove si vede l'addjettivo sonipes esser posto per so- stantivo in significato di cavallo. E simile a questo è quello di Silio, dove parla del cavallo di Flaminio; Statsoriipes ,vexatque ferox humentia fraena (5). E Plinio, degli uccelli parlando, si servì dell'addiet- tivo^e«^/ataj, dicendo: PcnnatoruininfcBCunda sunt, quce aduncos hahent ungues (6); imitato dal Boc- caccio : Io vidi volare i pennati j cosa incredibile a chi non gli avesse veduti (7). E (juesto modo di par- lare ritrovasi eziandio nella Sacra Scrittura usitato : Frustra jacitur rete ante oculos pennatorurn (8) . Il qual luogo fu di peso tolto da Dante j ()) Virg. Mneid. Uh. 3. (2) Accius, in Astyan. (3) Stigl. Occh. cens. 106, nell'Adone, can. i5. (4) J irg. Acneid. lib. 4. (5) Sii. Jlal. Beli Pan, Uh, 5. ((3) Plin. Uh. 10, e. 5i. (7) Boccaccio^ novcL 60. (8) Provar, e. 1 . DI MARIO ZITO 87 Ma dinanzi dagli occhi de" pennati Hete spiegasi indarno (1). Ond'è che possiamo conchiudere che, benché la ra- gione non permetta che un nome addietlivo l'ufdcio taccia di sostantivo , nieutcùimanco 1 uso che ne tengono gli scrittori ia che altri mente si taccia, perchè (secondo disse Diomede Borghesi ) nelle lin- gue cede la ragione air uso, non r uso alla ragio- ne (2). Quindi per chiara cosa conosciamo, non ave- re in nu)do alcuno erralo il Tasso, se di quella li- cenza si è servito, che gli altri prima di lui presa si avevano. Se pur dir non vogliamo che questo sia un modo bellissimo di dire, mentre ci accorgiamo di quanta bellezza adorni la nostra tavella . E se i Latini, di cui fu maggiore la strettezza della lingua, non vollero stare nell'angustia grammaticale; tanto meno star ci dovevano i nostri Italiani , la di cui lingua dee star tutta sulla vagjhezza . OPPOSIZIONE XXXllI. (St. 58.) « Nacque in riva del Tronto, e fu nutrito >'. Il Bembo, il Pergami no ed altri , che ammaestra- menti di lingua lasciarono, vollero che quando il primo nome coli' articolo fosse posto, alla voce che immediatamente seguiva , l'articolo a dar si doves- se. Portano gli esempli nel Boccaccio: Za roba del^ lo scarlatto j il mortajo della pietra,, rora della ce- na, ed altri ; volendo similmente, che quando non fosse posto l'articolo alla prima voce, la seconda si- milmente di senza ne stesse ; come a dire : ora di cenaj roba di scarlatto , mortajo di pietra, ec. Or dicendosi dal Tasso in riva del Tronto , parml che secondo questa redola abbia errato, dovendo regola- tamente dire, o nella riva del Tronto j o pure in ri- va di Tronto . (i ) DantCy Purgai, e. 3. (2) Borg. Let. p. 3. BILANCIA CRITICA RISPOSTA Per secondare in questo 11 nostro censore, mi pren- derò quel travaglio che esso ha trascurato di pren- dersi ; che é di trascrivere l'autorità del Bembo con gli esempli , che porta circa la regola del primo e secondo articolo delle voci. Dice egli adunque: Che quando alla voce che dinanzi a queste voci del secondo si sta , o dee stare , delle quali essa è vocej si danno ^li articoli ^ diate gli articoli ad esse voci . Quando poi a lei gli articoli non si danno ; e voi a queste voci non gli diate altresì^ siccome in quegli esempj si diedero , e non si diedero y che si son dutti ; e parimenti in questi altri: Nel vestimen- to del cuojo: N'dla casa della paglia: e Con la scien- za del maestro Gherardo Nerhonese , che disse il Boccaccio : ed Alla miseria del maestro Adamo , che disse Dante: e Tra le chiome dell'oro, che disse il Petrarca (\). Pur questa regola, quantunque buo- na , non è stala osservata , come si crede il Bembo, né dal Boccaccio , nò da Dante, né dal Petrarca , né da quanti buoni scrittori ha la nostra favella avuti: ed eccomi alle prove. Dice il Boccaccio: O che na- tura del malore noi patisse ec. (2) . E pur , secondo la regola del Bembo , dovea dire, o che la natura del malore^ o pure, natura di malore. Altrove: tutta la corte di Paradiso ec. (3); e dovea dire , la corte del Paradiso. Così parimente: il carro di Tramonta- na ec. (4),* dovendosi dire, il carro della Tramontana. Ed altra fiata : all'ora di vespero (5)j e pur non disse, del vespero. Erosi '.per la lontananza di inio ma- rito ec; e non did mio marito. De' quali modi tutte l'opere del Boccaccio son piene. Pur dice il Bembo , che il Petrarca abbia detto: tra le chiome dell' oro; ma s'egli ben cercava il canzoniere del Petrarca, avrebbe conosciuto che in molti altri luoghi non si (i) Bembo j Prose l. 3. (2) Boccac. Dee. nel I roem, (3) IVovel. I. (4) nel fine della giorn. 6. (j) e iVoi'el. iH- tìl MARIO ilfO 6C) curò d'osservare questa regola ,• come quando disse: Nostra natura vinta dal costume . Aè giammai neve sotto al Sol disparte. Conserva verde il pregio d'onestate. Vomer di penna con sospir del fianco . E'mhrunir le contrade d' Oliente. Le treccie d" or, che devrian fare il Sole. Come farfalla ai lume ^ che la sface. E cesi infjulte altre \olte, dove si vedono gli artico- li non andar mai corrispoudenti. Lascio gli esempli di Dante, ])erchè sono senza numero. Ma vediamo come l'osse questa regola usata dallo stesso Bembo, che la diede: La treccia d' oro (1). Ed è sparita l'osservanza di dire,/rt treccia delToro. E nelle sue prose ve n'ha copia abbondantissima, ch'io non trascrivo , per isfuggire il tedio. Onde a torto venne biasimato il Varchi dal Muzio(2), perchè avesse detto: In sulla riva di Mugnone; e che altra volta avesse scritto; Le femmine di mondo\ vo- lendo egli , che dir dovesse: In riva di Mugnone ; femmine di nior/do; o pure: In su la riva del lìJu- gnone; It ftmmine del mondo. E pure il Muzio non osservo questa regola . Disse egli : E con studio, e con giudicio delle dottrine (3). Perchè non disse: di dottrine; o pure : con lo studio , e con lo giudicio? Così parimente ei disse: con l^occasione di scrivere^ e pur non disse dello scrivere , ovvero con occasio- ne. E cosi usa egli cento volte, non ricordandosi delle censure fatte al Varchi, il quale può dirsi che non errasse nel primo luogo oppugnato 5 perciocché tutti i nomi de' tlumi , de' monti, de'luoghi non sog- giacciono alle regole degli articoli ; e cosi ben si di- rà : // Tevere j e Tevere: r Arno, ed Arno, e così gli altri. Pur disse prima del Varchi il Boccaccio: Nel pian di Mugnone (4) ; dovendo dire , secondo il Muzio, del Mugnone. Ed in quanto al secon- (i) Bembo, Rime. (2) Muzio., Battaci, fai. i63, (3) efol. 21. (4) Bocc. novcl. 86. 90 MLAIVCIA CRITICA (lo, in cui (iisse : Ir femmine di moìitlo\ agli esempli apportati potrebbesi dire, che l'articolo del dinoti universalità: onde si sarebbono intese tulle le fem- mine del mondo, e non alcune femmine mondane e lascive. F2 di ciò ne avverti il Salviati (1) in un esem- pio simile di Fra Giordano ed altrove j dicendo , con- tro l'opinione del Bembo, che il morUijo della pie- tra oggi piuttosto s" intenderebbe per un mortajo destinato al servigio di pestarvi pietre: la casaàcX- la paglia, per un luogo dove si conserva la pa- glia , e così degli altri simili . Ed in vero questa re- gola cosi severa di usar gli articoli , non fu mai dal Salviati stesso osservata. Leggasi la lettera dedicato- ria del secondo tomo de' suoi Avvertimenti al Pani- garola , e troverassi : singoiar pregio dei finissimi dicitori^ ec. \L pur non pose 1' articolo al primo no- me con dire : // singoiar pregio, ec. Quindi può ve- dersi quanto poco fondamento abbia questa regola , mentrechè gì' istessi maestri che la diedero, non r hanno osservata. E da quanto si è detto, conosce- rassi assai bene che non errò il Tasso, come crede il censore, se disse: Nacque in riva del Tronto . OPPOSIZIONE XXXIV. (St. 67.) « Lacerato il lasciaro, ed insepulto )). Se non fosse la forza della rima , eh' in gran parte lo scusa, non ci sarebbe modo di difendere il Tasso nella voce insepulto j lutta del latino, e cosi scon- venevole nella nostra favella , che da se sles.->a , sen- za più , bene il dimostra. RISPOSTA Come possa, seuza taccia, nelle composizioni no- strali tramischiarsi qualche voce latina, bastar dee (i) Salv. Avvertim. voi. la, lib. %, e. 5. SI MARIO ZITO <)'! quanto da noi fu detto nella Risposta dell' Opposi- zioue decimaquinta. Pure, per soddisfare al censore, ci afl'alicheremo di soggiugnere qui qualche cosa di nuovo. Se ben vogliamo discorrere, è la nostra lin- gua un aggregato di voci diverse; poiché diverse fu- rono le barbare nazioni , che inondarono i bei cam- pi d' Italia j e la maggior parte di esse sono dalla Provenza stale portale nella nostra favella . Pur se non vogliamo uscir dal vero, bisogna confessare, che la lingua latina fosse a lei stata madrej e si vede ma- nifeslamentc dalla similitudine che hanno fra esse nella maggior parte delle voci; perlochè sin' oggi ne conserva taluna , e se ne veggono i semi sparsi ne- gli scritti de' buoni autori . Disse il Petrarca manci- pio], tutto del Latino : L^ un di l'ir tute ^ e non d^ amor mancipio (\\ Così anche si servi del verbo relinc/ue: Come addiviene a chi virtù, relingue (2). Ed in altro luogo: Contrarj duOj ch^ un picciolo interstizio (3). E senza necessità di rima si servì della voce ancil" Ittj avendo ben egli altra voce più italiana usar po- tuto: Con un'' ancilla colT orrihil teschio (4) . Ed il Boccaccio infinite di tal fatta andò seminando nelle sue opere, che ben si possono da' curiosi osser- vare. Ho letto di più neir istorie del Villani parole tulle latine ; e vi osservo parimente qualche voce ebrea , come quando disse : U onnipotente Iddio Sabaot (j). Ma per dir qualche cosa sopra questo luogo più particolare , e meglio bilanciar la parola insepulto della dal Tasso , diremo che bene spesso la lettera o si suole cambiare in u da' buoni scritto- ri, e dicesi defoìiLo e defunto^ sorgere e surgere: occidere ed uccidere^ odire ed udire _, popolo e po- puloj e cosi altre molle. Cosi parimente sepoltura e (i) Petrarca, trionfo della Fama e. i. [i)Ibid. (3) Ibid. e. 2.(4) Petr. trionfo d' Amore e. 3. (5) Vili. lib. 12, e. 76. 92 riLANCIA CRITICA scpultura^ coli' esempio del Boccaccio in più luoglil delle sue novelle; e di Dante, che disse: Uscito fuor dalla seputcral buca (1). Onde cosi parimente dissesi sppullo, ed insepulto che usò il Tasso, Disse Dante slesso; Questi risurgeranno dal sepulcro (2) 5 dicendo appresso : Mal dare, e mal tener lo mundo palerà . Il Petrarca parimente disse spelunca^ senza forza di rima : Quasi spelunca di latron san fatto (3). ed altrove ; Per spelunche deserte e pellegrine. Si servì di simili voci Lodovico Ariosto nel suo Fu- rioso; e due se ne leggono in una sola ottava, oltre le molte che sono in quel poema : Per questo io non oscuro gli onor summi; E poi segue: Quel, che ^l maestro suo per trenta nummi . Diede a' Giudei (4') . Nolo qui, per soddisfazione de' curiosi, che siccome gì' Italiani accostandosi al latino spesso hau cambia- ta la lettera o in «_, cosi i Latini mutarono tal volta la lettera m in o, e si à'x&sevolgus, volgata , e volgi- vaga Venus che disse Lucrezio (5), che fu nel tempo di Cicerone. Cosi parimente ho osservalo, che scri- vessero Poblicola in vece di Publicola, osservan- dosi in alcuni marmi in Roma: P. FALESIUS FOLE SI F. POBLICOLA. Ed in un altro: P. FALESIUS FOLE SI F. POBLICOLA JOFIJUNONIS SAC. P. P EFRON. RESFIFUIT. (i) Dan. Tnf. 7. (2) Ibid. (3) Petrarca, Rime in morte ec. (4) Ariosto, can. 22, st. 2. (5) Lucr. de Rerum nat. DI MARIO ZITO f)3 OPPOSIZIONE XXXV. (St. med.) « ^ chi puotCj o compagni j essere occulto ». Dicesi in questo verso a chi: e pur doveva il Tas- so sapere l'iusegnanieulo lasciatoci da' buoni scrit- tori , che il pronome chi solamente servir debba al caso reilo, avendosi negli obliqui a dire di cuij a cuij con cui ec; onde il Muzio così sopra ciò disse, annotando il Varchi: Usato chi ne^ casi obliqui si trova alcuna volta sì; ma è più da guardarsene, che da imitare (1) . Ed anche altrove, notando il Petrarca: Qui è da notare , che chi è in caso obli' quoj contro V universal «jo(2). Poteasi adunque dal Tasso sfuggir questo scoglio , e senza muovere il verso dire a cmì., siccome è proprio del caso obliquo. RISPOSTA Stiasl il Muzio colle solite sue stiratezze, e grac- chi pur quanto vuole; che gli esempli de^grand uo- mini hanno assai più valore , che non la sua autori- tà. Ben del tutto ci fa chiari Lionardo Salviatl , che forse in avvertimenti di lingua si è mostrato il più accorto di quanti mai sono stati. Dice egli: adunque non appar iwro ciò che alcuni han scritto, che chi e cui sian nel verso un nome medesimoj e che il primo solo del nominativo, ed il secondo sia la vo- ce che esprime i casi : anzi sono chi e cui , come due voci j così due nomi appartati, benché lo stesso intieramente alcuna volta (3) . E poco appresso se- gue , dicendo d'avvantaggio: Egli è il vero, che nel nominativo la voce cui non può cadere mai nel parlare; ma la compagna, (intendendo della voce chi ) e del nominativo e de' casi, (Come abbiam det- (i) Muzio, Batt. e. 7. (2) e nell'annot. sopra il Petr. (3) Sai. y^vver/. voi. 1,1. i,c. 5 . ^^i 15ILANCU CRITICA. tOj è comuxie ce. E pur poco j)rima aveva detto: Non solamente a ciascun numero, ma ad ogni genere e caso questo chi è comune. R sebbe n I \lunno (1) e""! Gabbricllo (^i) se£;iioiio il parere del Bembo (2), dicendo clie molto di rado venga usata tal voce ia caso obliquoj pur credo che con poca attenzione letti avessero i libri del Boccaccio e 'del Petrarca : che se da loro attentamente fossero stati osservati , ne averebbooo trovali in sì gran copia gli esempli , che d'altro modo detto eglino averebbooo. Ed io, perchè desidero far qui le difese del Tasso , non la- scero di riportarne qualch' uno. Dicesi dal Boccac- cio: In presenza dì chi andana, e di chi- vent- ila (4). Ed altrove: Jiiputo gran follia di chi si niet' te senza bisogno a tentare le forze dell' altrui inge- gno (5). E così parimente: Le quali da cliì non le conosce, sarebbero e san tenute onestissime don- ne (6). 11 che cento volte si scorge da lui usato. Ed il Caro nella sua Apologia ha per cosa molto famiglia- re l'usar chi in tutti i casi: e così il Varchi nel suo Ercolano ^ che per non dilungarmi in cosa qua- si inutile , ne tralascio gli esempli. E fu cosa usìta- tissima nelle rime. Il Petrarca dice: Pensando meco a chi fu questo intorno (7) j e cosi altrove : Che meraviglia fanno a chi l' ascolta. (8); siccome anche usò nel luogo poco dianzi in altra occasione apportato: Come addiviene a chi virtù relinque (9). E prima di lui se ne servì Guitton d' Arezzo; ora venuti sono A chi dar pace, a chi crudel martire (1 0). Ed in questo modo vien parimente questa voce con- ceduta dalla Crusca nel suo purgalissimo Vocabolà- rio ; onde poi ne han piene le lor composizioni i moderai-: parlo di coloro , che purgatamente hanno (i) Jlunno, Ricche.z. della ling. {i) Gabriel. Reg. grani. (3) Bembo, Pr. l. 3. (4) Bocc. no^'el. i5. (5) e novel. iS. (6) e novel. i8. (7) PHr. san. 169. (8) ecanz. 4. (9) e trionfo della Fama, e. i .( 1 o) Guitton, san. 2. DI MABIO ZITO 95 scrìtto. Quindi parmi che non errasse il Tasso^ col ponere chi nel caso obliquo . OPPOSIZIONE XXXVI. (C. IX.St j8. ) « Chiama egli a sé Michele ^ il qual neir armi « Di lucidi zaffiri arde ejiammeggia^ « E dice lui » . Parml che , secondo le buone regole della Gram- matica, malamente dal Tasso sia stata tolta la a, avan- ti il relativo luij mentre il caso dativo necessaria- nieute ricerca il suo articolo. TlISPOSTA Lasciasi pur talora di porre il segno a davanti ad alcuni relativi , a somiglianza del di. E così dicesi loro, altrui, lui, lei, cui, e simili , in cambio di a lorOj ad altrui, a lui, a lei, a cui ec; quando però dette voci sono dependenti da' verbi ^hre, dire, e così tulli gli altri. Ed infiniti di ciò sono gli esem- pli . 11 Petrarca disse : E le tenebre nostre altrui fann" alba (1)^ e così altrove; Bammenta lor, com^ oggi fosti in Croce (2). E pralicossi da Dante altresì prima del Petrarca: Bisposi lui (3) ; e parimente : Mostrato ho lui tutta la gente ria (4) ; ed in altro luogo : E'I Duca lui: Caron, non ti partire (5). E non solamente ciò osservasi nelle rime, ma nelle prose altresì . Dicesi dal Boccaccio : Li quali fece chiamare, e disse loro (6). Ed è questo un modo va- ghissimo tanto, che per vezzo nella nostra lingua si [ì) Petrarca, canz. 3. (i) e san. 48. (3) Inf. can.i.{/^]\Tbid. (5) Infer. e. 3. (6) Bocc.novel. Controv. T, IV, 7 96 Bir.ANCIA CRITICA osserva; onde il Tasso servissene altra volta, di- cendo : E impose lui ciò eh" esser fatto, o detto Fintamente doveva^ e fu eseguito (1). E fu uso parimente di togliersi la particella a da certi infiniti , come disse il Petrarca: Quando Amor cominciò dars^i "battaglia; cioè a darvi\ imitato similmente dal nostro Tasso nella stanza settansette del canto nono: Non regger voi degli elmi e degli scudi Sete atti al peso; cioè non a regger . Ed è questa quasi una vaghezza di dire, non ischivata poi dai più moderni; onde il nostro leggiadrissimo poeta D. Benedetto dell' Uva disse; Vennero a Giove Ammon rendere omaggio (2); cioè a rendere. Onde resta chiarito non esser scar- so di peso, secondo la bilancia della buona lingua, il togliere il segno a dal relativo luineX caso dativo. OPPOSIZIONE XXXVII. ( Si. 86. ) « Che ammollì il cor , che fu dur marmo innanti » . Riesce molto sconcio in questo verso l'accorcia- mento della parola duro, dicendo dur: e secondo ho letto ne' libri di coloro, che regole di lingua scrisse- ro , malamente si accorciano le parole che finisco- no in uro : né diremo mur per muro^ oscur per oscu- ro , dur per duro , e simili ; venendo solo conceduto nel verso il aìre, fur, invece ài furo, o furono . RISPOSTA E pur troppo stretta questa regola: e mi ricordo, che Llonardo Salviati molte regole circa gli accorcia- menti di voce va scrivendo ne' suoi Avvertimenti di (i) Gerus. e. i^, st. 55. («) Nelle Vergini Prud. DI MARIO ZITO 97 lingua, e questa non mentova per pensiero (1). An- zi il Ruscelli , che pur mostrossi stilico in concede- re qualche licenziuccia a' poveri scrittori, vuole che possano farsi tutti gli accorciamenti che' finiscono in r, quando segue lettera consonante , senza fare I eccezioni del nostro censore (2). Né credasi che ne siano scarsi gli esempli. II Petrarca disse secufj per secuìo . perciò rimandai Secur senza sospetto (3). E cosi parimente dal medesimo si disse dur, già no- tato dal Tasso : Ch^ ogni dur rompe, ed ogni altezza inchina (4) . Onde vedesi quanto sia scusabile il nostro poeta, se in ciò fare ebbe sì degna scorta. Duro assai più fu l'accorciamento fatto dal Benivieui poeta Fiorenti- no nella voce tauro j dicendo : Veneref in mezzo alle falcate ardenti Corna dello stellato taur sedea (5),- facendo taur à' una sola sillaba. Si trova, egli è certo, qualche regola intorno agli accorciamenti; ma tutti i maestri che la diedero concludono, che non si facciano quelli che fan restare le parole di una so- la sillaba. E pur fu rotta cento volte questa regola dagli scrittori.il Bembo disse i;/en per i;ie/zi, quan- do fu solito usarsi solo nella terza persona, parlan- do in persona seconda : Meco ne vien^ che piango anco la mia (6). II Petrarca disse pon , per poni e pone : e fu segui- tato dal Boccaccio. Disse anche il Petrarca cou più sconvenevolezza yer ^tr ferisce : Dov>e armato fer Marte, e non accenna (7) . Ed il nostro Attendolo disse car per caro: Te stessa solo, e ^l car fratello stanche (8). E di tal fatta infiniti esempli si trovano, che mostrano non aver errato il Tasso nella voce dur invece di duro. (i) Salv. A^^'crt. voi. i, /. 'ò,p. Sy. (2) Ruscelli, Cam. lib. 2, e. \5.{Z)Petr. son. 3. (4)e sonet. 179. {5)Benivie.ni . Rime. (6) Bembo, Rime. (7) Petr, son. i45. (8) Atlend, Rime. 98 LILANCIA CRITICA. OPPOSIZIONE XXXVIII. ( G. X. St. 9. ) « Che fantasma importuno ai viandanti » . Si dà Tììalamenfe dal Tasso il genere di maschio al nome J'antasma, dovendo regolatamente attribuirse- gli il genere della femmina. RISPOSTA Mostra qui poco intendimento il censore, sia det- to pero con sua pace; perciocché quando dicesi /a«- UismUj il genere del maschio se li dee: e questo no- me è proprio delle rime. Dicesi poi 2i\lrefi\ fantasima, ed allora se le atlribusce il genere della femmina; ed è nome bene spesso delle prose: e questue distinzio- ne dataci da molti maestri di lingua: e chiaramente r insegnano gli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario , e il Pergamino nel suo Memoriale : ed è cosa assai nota appo lutti gli scrittori. Fantasma col genere del maschio si disse nel verso dal Petrarca : Mai notturno fantasma D orror fu sì ripien, com' io 'ver lei (1) . E d'i fantasima colf altro genere non mancan gli e- sempli nelle Novelle del Boccaccio, come: Elia è la funtasim,aj della quale io ho avute a queste notti la maggior paura ec. (2). Quando poi e' incontriamo a ìe^^eve fantasma, questo é un termine filosofico, che significa immaginazione , o apparenza di cosa concepula dalla fantasia. Diedero i Latini a questo nome, ( che altro non è se non che visione, o appa- renza d'ombra; o pure, come altri vollero, immagi- nazione di quel che non è, a differenza di fan- tasia, che è una immaginazione di quel che è ) diedero, dico, il genere neutro, e dissero hoc phan- tasma. Quindi possiamo conoscere , che bea coii- {i) PeCr.canz. 43. (0 Bocc. novel. 6i. DI MARIO ZITO 99 sìderatameote fu dato dal Tasso 11 genere del ma- schio a questo nomG fantasma , se pur dir non vo- gliamo, che ad imitazione de' Latini il genere neu- tro gli attribuisce . OPPOSIZIONE XXXIX. (C. XI. St. 81.) «Qwfl^^f iV/ quel punto Soliman percote « Con una selce il cavalier normando ». Grandissima oscurità ritrovasi in questi due ver- si del Tasso \ imperciocché contenendo essi un sen- so anfibologico , discerner non si può de' due guer- rieri chi il ferito sia, e chi il feritore. E fu avver- timento di Demetrio Falereo, nella particella cente- sima decima, il doversi sfuggire a tutta possa que- sti modi di dire. RISPOSTA Da'più degni nostri scrittori alcuna volta sfuggir non s' è potuta 1' oscurità de' sentimenti nella strut- tura delle compozioni, per la cagion dell'ambiguità, che i Latini Amphiholiaj dalla voce greca Aniphiho- /ogia , chiamarono . Innumerabili sono le cagioni, le quali ambiguo possono rendere il sentimento de di- scorsi. EQuintiliano andò dicendo, che alcuni filosofi stimarono che non si trovasse parola, che all'ambi- guità soggetta non fosse: Nullum esse verhum^quod non plura signijicet (1) . Ma a mio giudizio è diffe- rente 1' ambiguità che in ciascuna parola separata- mente nasce, da quella che dal concetto esplicalo in molte voci ha l'origine. L'ambiguità delle paro- le dir si può piuttosto equivoco, che anfibologia. Raccolsero i dialettici negli Elenchi un numero grandissimo di anfibologie: e Teone Sofista parimen- te molte ne andò raccogliendo. E quantunque Cice- rone , o altri che sia l'autore ad Herennium, utile non istimi il sapere scienza cotale , anzi dannoso ; onde disse : ISos vero arbitraniur non modo ullo (i) Quint. l. y2. 7. 100 BILAKCU CBiriCA adjunienlo tsae^ sed potius maxime impedimen- to (1), dell' anfibologia parlando ; pure Aristotile non le stimo in tutto dannose, mostrando che spes- se fiate ali oratore occasione si porga , nella quale gli é necessario non solamente non isfuggirle , ma studiosamente andarle inventando (2). Fu solito de- gli oracoli de' Gentili servirsi delle anfibologie, per coprire non so se l' ignoranza loro, oppure per in- gannare i semplici. Creso re de' Lidj, saper volen- do se egli, assaltando il regno di Persia, vittoria ri- porterebbe , ebbe risposta dall' oracolo , siccome Tiene da Cicerone referito : Croesus Halym penetrans j magnam pervertet opum. vim. Dalle cui parole avendo egli per fermo di struggere l'esercilo nemico, il contrario gli avvenne: ne men- tì l'oracolo; mentre e l'uno e l' altro poteano le sue parole dinotare. Cosi il tutto espresse in queste parole Cicerone: Hostium vim, sese perversurum pu~ tavit; pervertii autemsuam: utrum igitur eorum acci' disset,verum oraculum fuisset(^)>E appresso vaga- mente Cicerone stesso molti esempli ne adduce , che non facendo al proposito nostro , tralascio . E Quin- tiliano non mancò di portarci cento bellissimi esem- pli del parlare anfibologico 5 e fra gli altri degno di nota é quello d'uno, che in testamento ordinò: Po- ne statuam auream hastam tenentem (4) ; dalle qua- li parole discerner non si può, se la statua o pure r asta doveva essere d' oro : e così ben cento esempli registra. Suole ancor farsi ambiguo e anfibologico il parlare, quando con gl'infiniti due accusativi si congiungono, come appunto quel verso che si ha in Quintiliano stesso: Lachttem audivi percussisse Dameam (5); non venendosi a discernere chi fosse il percosso e chi il percussore ; dove egli, per isfuggir questa am- biguità , dice ; Accusativi geminazione Jiacta amphi- (1) Reihor. ad Heren. (3) Arislot. Rethor. lib. 3, e. 1. (3) Cicer. de Dinn. l. 2. (4) Quint. l-'j,c. 9. (5) Ibidem. Ul M&KIO ZITO 101 holia, sots'itur eihlativo; ut illud : Lachetem audivi pcrcussisse Dameam ; fiat : A Lachete percussuni Danicam. E questo basti per dimostrare, che noa solo la nostra favella partecipi di cotal vizio, ma l'al- tre lingue altresì . Pur negar non si può, che più so- vente neir anfibologia 'la nostra lingua incorra, che non la greca o la latina ve. ciò non da altro avvenir si scorge, se non dalia gran somiglianza, che ha il caso retto col quarto, la cui malagevolezza né li Greci , nò lì Latini sentiroiio , per essere in quelle lingue grandissima difterenza fra questi due casi ^ onde avviene che tale errore più sia nella nostrale, che nell'altre lingue scusabile. Il Petrarca, principe degl' italiani poeti , diede bene spesso in questi sco- gli , come allorché disse : Vincitore Alessandro l' ira vinse (1)-, non intendendosi, se dall'ira fosse vinto Alessan- dro, o da Alessandro l'ira. Così anche il poeta me- desimo : Ma talora umiltà spegne disdegno (2) ; non potendosi conoscere chi sia lo spegnitore, e chi venga spento. E parimente: Ma ricadendo j afferma Di mai non veder leij che^l Cielo onora (3); imperocché non si viene a capire , se dal Cielo era onorata Madonna Laura (di cui egli in quel luogo intende), o pure da Laura il Cielo. E così ancora allor che disse : Sopra il monte TarpeOj Canzon, vedrai Un cavaliere di' Italia tutta onora (4) ; non sapendosi chi sia l'onorato. E quell' altro: Notte il carro stellato in giro mena (5) *, onde bisogna indovinare, se dalla notte venga me- nato il carro in giro, o se dal carro in giro la not- te. E cosi nel suo Cauzoniero cento altre volte. C nel Furioso dell' Ariosto copia grande si ritrova di sensi anfibologici. Per più non allungarmi ne tra- (i) Petr.son, 97. (2) e canZ)^.{Z) e canzS. (4) e canz. 19. (5) e san. ló. 102 BH,A^CIA CRITICA scriverò un luogo j che ha gran similitudine col censurato del Tasso; Buggiero uvea ferito Rodomonte (I ) 5 in cui conoscer non si può dal feritore il ferito. E di coiai modi pienissimi ne sono i libri de' più mo- derni . ÌVù la volle perdonare il Ruscelli al Dolce, riprendendolo che avesse detto nella prima stanza della traduziou delle Metamorfosi di Ovidio: Le nuove forine e i varj aspetti canto. In che gli uomini i Dei spesso cangiaro; dicendo il Ruscelli: Non potendosi per virtù delle parole distinguere , se li D^'i cangiassero gli uomi- ni, o gli uomini gli Dei (2). Or notisi la degna ac- cortezza e avvertenza del Ruscelli , che biasimando il Dolce d'ambiguità, egli nella medesima caduto si vede; avendo a dire per isfuggìrla : Non potendosi per virtù, delle parole distinguere , se dagli Dei fossero cangiati gli uomini, o dagli uomini gli Dei. Ma è così facile nella nostra lingua il cadere in sen- si anGbologici; che anche nelle prose non se ne so- no avvertiti i primi uomini, che nella favella italia- na scrivessero . Se attentamente leggerassi il Deca- meron del Boccaccio, troverassi che ne sia pieno. Come : L'estremità dell' allegrezza il dolore oc- cupava (3). Dove non s'intende, se dall'allegrezza il dolore, o se dal dolore 1 allegrezza occupala ve- nisse. Così parimente: La cui malizia lungo tempo sostenne la potenza e lo stato di messer Musciat- to ec\ dove non si può scorgere, se la malizia fu la sostenuta, o la potenza. Ed ancora in quell'altro luogo: Questa viltà vincendo il suo animo altero. E del modo stesso : Non potendo l'umanità vincere la fortezza ec; ne' cui due luoghi non si può cono- scere dal vincitore il vinto . E questo modo di dire si trova così frequente ne' libri degli ottimi autori , che i moderni poi non hanno schivato il seguitarli. E quantunque ciò potrebbe bastare per mostrar che (lì Fur. can. 26, st. 111. (2) Rase, discor. 5. al Dolce. (3) Boccac. Decam. giorn. e novel. \ . DI M AHIU KITO 103 uoii abbia erralo il Tahso con gli esempli de' mìglio- ri scrittori 5 pure per convincere il censore dico, che in questi versi del Tasso il senso anlibologico vieri tolto con gli altri versi seguenti , tauloclié an- fibologia non si conosce. Dice il poeta : Quasi in quel punto Soliinan pei cote Con una selce il cavalier ìionnandoy soggiungendo immediatamente : E questi al colpo si contorce e scote , E cade in giù , come paleo rotando; dove la voce questi si vede , che necessariamente abbia relazione al Normando più vicino al detto re- lativo : onde essendo il Normando che si contorce e scote, di necessità uè segue eh' egli fosse il per- cosso . 11 che meglio si chiarisce con qutjl che siegue : Or più Goffredo sostener non puote L" ira di tante offese; dove si vede, che T offese venivano da Solimano che era nell'oste pagana , e per conseguenza Soli- mano era il percussore : sicché vien tolto ogni senso anlibologico, che stima il censore. OPPOSIZIONE XL. (St. 76. ) « Ed egli alzò tre fiate il grido al cielo » . Parrai error troppo fanciullesco T aver fatta la parola^affl di due sillabe, quando sempre Than fatta di tre tutti i buoni scrittori . E la Crusca nel Vocabolario chiarissimamente l'avvertisce, dicendo : Fiata j sempre di tre sillabe. E benché il Pergami no sia in parte dalla Crusca, discordante ; pur chiara- mente dice, che ne' versi sia tal voce sempre di tre sillabe. Così die' egli nel suo Memoriale: Fiata^ 'VO' ce hissillaha nella prosa j ma di tre nel verso . E il Borghesi, nella seconda parte delle sue Lettere Di- scorsive, in una dirizzata a Jacopo Neri, così dice : E vi sferra parimente , contandosi fiata per due sillabe in questo verso : Deh , potessi una fiata in grembo a" fiori. 104 rrLANCIA CRITICA RISPOSTA Gli ò certo, che regola sicura è 1' \isa.vjìata di tre sillabe: e questa è la più approvata comunemente. Pur io ho osservato in molte stampe della Gerusa- lemme liberata del Tasso , che purgatissime sono , ed in particolare in una in dodici (per parlar co'proprj termini) stampata in Vinegia nell'anno 1 5'JO presso Altobello Salicato, e dedicata da Camil- lo Gamilli al Sig. D. Lelio Orsino, chea questo verso manca la copula , o paroletta etj dicendo: Egli alzò tre fiate il grido al cielo; benché in altre stampe si vegga nel modo posto dal censore colla et nel principio ; onde si può certa- mente credere, che nel secondo modo fosse stato posto da colui che si prese cura di ristamparla , e che il Tasso avesse fatta la voce fiata di tre sillabe, siccome suona senza quell' et. Ma quando pur fosse stato dal Tasso cosi scritto , come vien posto dal censore, sarebbe anche non poco scusabile, non es- sendo egli stato il primiero ad uscir fuori di regola; poiché sono assai prima d'esso traviati dal sentiero di questa norma molti buoni scrittori , che forse an- che condussero il Tasso fuori di un tale insegna- mento. Di due sillabe fece questa voce Dante nella Vita nuova, dicendo: Ch' io mi sento dir dietro spesse fiate j e nel libro medesimo l' istesso: E spesse fiate pensando alla morte . Di due sillabe fece questa voce Antonio da Ferrara, poeta antico, in un Sonetto che comincia : Cesare y poi che riceve il presente; del qual Sonetto, mutandovi poche parole, se ne insignorì il Petrarca, dicendo : Cesare, poi che "*/ trnditor d'' Egitto; dove dice il detto Antonio da Ferrara nel primo ternario : Per simile piìi fiate egli addiviene (1). (i) Anton. d(t Ferrara j Sonetti. VI MAHIO ZIit> dOS E il Molza nella Ficheide : Qual è molto j e qual poco alcuna fiata (1). E così molli moderni altresì. L'Abbati: Piangerla più, d' una fiata (2) . Nel modo stesso usarono alcuni la parola niente , la quale sempre per regola retta è di tre sillabe. Di due la fece Guitton di Arezzo : Che^n verso voi non feci falso niente (3). Così parimente la voce gioj'a, che sempre trovasi scritta di due sillabe ,• pur d una si ritrova tal volta ne' libri di buoni autori . Il Boccaccio nella canzona della giornata quarta : 31' è gioj'a tolto e diporto. E nelle Ballate del Decamerone stesso si disse noìa^ eh' è di due sillabe , parimente in una sola: Onde il viver m"è noja, né so morir . Il che venne anche osservalo dal Bembo. Quindi poi i più moderni si hanno piuttosto addossata que- sta licenza, che han voluto soggiacere a regola stret- ta e severa-, onde hanno anche fatta di tre sillabe la voce ^nfionCj la quale hanno usata di quattro tutti gli antichi (4). E così altre tocì di questa fat- ta, accorciandole secondo la necessità de' loro versi : nella qual cosa non mi affatico , non riuscendo al nostro proposito. OPPOSIZIONE XLI. ( G. XII. St. 57. ) n E questi e quelli al fin pur si ritira » . Qui parlando il Tasso di Clorinda e di Tancre- di, 1' una femmina e l'altro maschio , malamente disse, E questi e quelli^ dir dovendosi , E questa e quelli^ o pure, E questi e quella. E commise parimente 1' error medesimo nella stanza medesima, dicendo : (i) Molza, Fieli. (2) Jò. Frascherìe ,/asc. 2. (3) GuiC. Rime.{^) Bembo, Prose, lib. 3. 106 BILANCIA CRITICA Tornano al ferro ^ e r uno e l' altro il tinge Con molte piaghe. E 1 istcsso eiror mostrò nella stanza seguente , di- cetido : U un r altro guarda; dir dovendo, poicliè di due di diverso genere parla- va: r uno e /' altra, o pure V una e V altro. RISPOSTA Si può senza noia di biasimo usare nelle scritture l' un r altro f eziandio parlandosi di maschio e di femmina^ e poco considerali si mostrano coloro che ad errore imputano un simil dire: poiché, quantun- que queste due voci t' un l altro mostrino termina- zione di maschio; pur di usarle in signiticato di ma- schio e di femmina i nostri più degni scrittori si compiacquero . E cosi parimente riuscì loro il dir questi e quelli, per questa e quelli, o per questi e quella. E ciò vien fatto, quando tanto il maschio, quanto la femmina oprano in una stessa azione, sic- come nel caso posto dal Tasso, dicendo: R questi e quelli al fin pur si ritira; essendo il ritirarsi azione cosi di Tancredi, come di Clorinda. E di questo modo sono infiniti gli esem- pli nel Decameron del Boccaccio, come: E sì andò la bisogna, che piacendo r un all'altro egunlnien' te ec. (1); intendendo di Lorenzo e Lisabetta. E co- sì ancora: Si coricarono insieme, e quasi tutta la notte diletto e piacer presono l' un delV altro (2); dove intende di Caterina e di Ricciardo . E pari mente del modo slesso: Tanto V età V uno e V altro da quello che esser solcano, quando ultimamente si 'videro, gli aveva trasformati (3); di Giannotto adi Madonna Beritola parlando. E così parimeolo: L'u- no dell' altro pigliando sotto le lenzuola maraviglio- so piacere (4). Ed in questo modo si vede osservato nel verso parimente. Messer Cino da Pistoja: (i) Bocc. novd. 35. (2) e novel. 43. (3) e novel. 16. (4) e novd. 1 7. DI MARIO ZITO 107 Dehj com sarebbe dolce compagnia j Se questa donna j amore j e pittate Fossero insieme in perfetta amistatCj Secondo la virtù ch^ ognor desia : E V un dfir altro avesse signoria (1) . Onde chiaramente si vede, die in ogni senso de' so- prannominati luoghi, tanto la donna, quanto 1' uomo hanno operato ad una sola azione, e per questo hanno detto gli autori : r un l' altro : alT uno e aW altro : dell' uno e delT altro . Ma se l'azioni fossero diffe- renti, allora sì che si avrebbero a distinguere, con dire r uno e r altra: o runa e l'altro; come fece il Boccaccio medesimo, dicendo: Perchè r un solle- citando, e air altra giovando d'' esser sollecitata j avvenne che V un pili ardire prendendo, che aver non solca, e l^ altra molto della paura e della ver- gogna cacciando, che d"" avere era usata, insieme a^ piaceri comuni si congiunsono (2),- intendendo la Simona e Pasquino. E dicesi l'uno e Ì altra, per dimostrare che il maschio era colui che sollecitava, e la femmina colei a cui giovava 1' essere sollecita- ta . E appresso, il maschio era quello che prendeva l'ardire, e la femmina quella che la paura e la ver- gogna scacciava , azioni l'una dall'altra differenti: onde se detto si fosse l' uno e l' altro , comprender non si poteva quale delti due sollecitava , e quale prendeva l'ardire. Quindi poi, dovendosi nella no- vella stessa in persona degli stessi dinotare unifor- mità d'azione , si disse l' un l' altro , come : Li qua- li tanto air una parte e ali alt; a aggradivano, che non che i un dall'altro aspettasse d'essere invitato a ciò , anzi a dovervi essere si faceva incontro l' un all' altro . Per la qual cosa assai ben si disse dal Tasso : E questi e quelli . F2 col nome dell' un e dell' a/f/'o molte volte dall' istesso poeta si fece. Cosi nelle sue Rime amorose : Ella a' miei versi, ed io Circondava al suo nome altere piume (i) Ciao, Rime. [i) Boccac. novel. Sy. 108 BILAlfCIA CBITICX E V un per l' altro andò volando a prova. Cosi anche nella Gerusalemme: L' un mira l'altro, e l' un, pur come suole. Si stringe ali altro j, mentre ancor ciò lece (1); parlando di Gildippe e di Ofìoardo. Ma conoscen- do poi dove bisognava far distinzione di maschio e di femmina, per cagion della doppia è diversa a- iione ben egli il fece. Onde disse: Cedon le turbe; e i duo ledati insieme Ella si ferma a riguardar da presso: Mira che l' una tace, e i altro ge/ne (2); mostrando che Sofronia taceva, e Olindo piangeva: onde se detto avesse il poeta V uno e r altro senza distinzione, non si sarebbe saputo distintamente chi taceva, e chi piangeva. Mi ricordo a questo propo- sito anche avere osservato i uno e l' altro, riferen- dosi a cose di maggior numero e di genere diverso; come quello dell' Ariosto, parlando d'Isabella so- pra il morto corpo di Zerbino, dicendo: Né alle guance, né al petto sì perdona. Che l'uno e l'altro non percola o franga (3); benché qui si può prendere in genere neutro , in significato dell'ina e dell' a/tra cofa^ poiché si ri- ferisce a cosa inanimata. E ciò parmi che bastar possa, per mostrare che non riesca tanto di leggier peso , come il censore si diede a credere , l'aver det- to il Tasso in questo luogo , e questi e quelli. OPPOSIZIONE XLII. (St. 91.) « Ed ecco, in sogno, di stellata veste « Cinta gli appar la sospirata amica ». Nella fine della stanza antecedente dice il Tasso: ^l fin col nuovo di rinchiude alquanto l lumi, e H sonno in lor serpe fra 7 pianto,- (i) e Gerus. e. 2o, st, loo. (2) e e. 2. st, 42. (3) Far. ean. 24; sC. 8. DI MABIO ZITO lOf) quindi slegue: Ed ecco in sogno ec. Ora han voluto quasi tutti gli scrittori , che mala- mente si ponga V et innanzi l'avverbio, o innanzi la preposizione , senza che copula significhi,; onde par che abbia errato il Tasso col dire, ed ecco . Leg- geri nell'introduzione del Decameron del Boccaccio: Mentre fra le donne erano così fatti ragionamenti f ed ecco entrare nella Chiesa tre giovani : il che non essendo piaciuto ad alcuni, che di emendatamente stamparlo si presero cura, vedesi in alcune purgate ristampe tolta avanti V ecco la et; e dove prima si leggeva ed ecco entrare, ora si legge ecco entrare , senza \ et; pensando il correttore che di soverchio posta vi fosse , come in vero è; poiché \ et, essendo copula, in questo luogo non solo non unisce , ma disgiunge il senso ed il parlare. RISPOSTA E un vezzo bellissimo della nostra lingua il porre avanti qualche avverbio la paroluccia et , ed in par- ticolare avanti l' ecco; imperciocché significando Veccoj cosa che d' improvviso sopraggiunga, V et gli da maggiore espressione. E ben se ne poteva ac- corgere il censore dallo stesso luogo, da lui appor- tato del Boccaccio: in cui, dinotando l'autore cosa che del tutto improvvisamente sopraggiugneva , li parve bene porre avanti all' ecco V et; non come co- pula , ma piuttosto conie particella disgiuntiva: mentre dovendo seguitare il parlare, viene da cosa improvvisa sopraggiunta interrotto, col dire ed ec- co. E mi maraviglio del censore, che non voglia prender per particella disgiuntiva, ma solo per co- pula V etj quando ha forza e ad unire ed a dlsiun- gere l'orazione. E bisogna confessare, che chi ha posta questa menda al Boccaccio nel luogo da lui apportato, poco intendesse la vaghezza di questo modo di parlare. Pure in cento luoghi del Boccac- cio stesso trovasi questa forma di dire, come : Ed 110 BILANCIA CRITICA essendosi la donna col giovine posti a tavola per cenare; ed ecco Piero chiamò alL^ uscio, ec. (1). E cosi parimeute altrove: E come il volli dimandare chi fosse, e che avesse; ed ecco Af. Lambertuccio venir su (2). Ne' quali luoghi chiaramente si vede quanta vaghezza apporti \' ed avanti X ecco, e quan- ta espressione aggiunga. Trovansi questi modi di dire nell'istorie del Villani altresì. Dice egli: Ven- ne il di, che Iddio aveva minacciato , ed ceco di verso levante una nuvola di fuoco (iJ). E di questo' vaghissimo modo si servirono bene spesso i poeti altrejiì. Il divino Dante: Poicli' èi posato un poco (*) il corpo lasso, Jiipresi via per la piaggia diserta, Sicch'' il pie fermo sempre era di basso {**)\ Ed ecco quasi al cominciar dell' erta Una lonza leggiera (4) . Ed altrove , dopo in()Iie cose aver dette , soggiunse : jùl t'cco due alla sinistra cosfa Nudi e graffiati (5) • E così altra volta: Ed ecco ad un eh" era di nostra proda. S'avventò un serpente (6). E parimeute il poeta medesimo : Ed ceco pianger e cantar s' udie : Labia mea. Domine (7) . Né fu sdegnato questo modo dal Petrarca , come; Così rispose; ed ecco da traverso Piena di morti tutta la campagna , Che comprender no^l può prosa, né verse (8). Come modo vaghissimo fu usato altra volta dal Tas- so stesso, come nella stanza cinquantesima settima del canto diciassettesimo , dicendo : Ed ecco di lontano agli occhi loro Un non so che di luminoso appare , (i) Bocc. novel. .5o. (■2) e /Vot'e/. 66.(3) Fili. Istor. lib. io. (*) (**) Lezioni diverse da quelle del Testo dì frasca . L'Edit. Pls. (4) Dan. Tnf. can. i. (5) ed Inf. can. i3. (6 e caw 24. (7) e Pur§' e. 1Ò. (8) Petr. Tr. della Morte, cap. 1. DI MARIO ZITO 111 ad imitazione de' quali Vincenzo Zito nostro pa- dre, di cui abbiamo ereditale le sostanze, non le virtù, e per cui più volte gonfio ha camminato il nostro Voltnrno ; la cui perdita sarà sempre deplo- rabile , pniché chiudendo gli occhi , si chiuse la por- ta ch'egli aveva aperta alle scienze, nel ristaurare l'Accademia de'Rapiti di cui era principe: ad imi- tazione de'quali (dico) nella favola di J^eandro e di Ero, eh' é publicata colle sue prime poesie, disse: Piangendo a tal peris,Iio Ero la bella. Che le riporta a sì s^rand^uopo aitUj Leandro chiama in flebile favella : Leandro del suo core è core e vita; Ed ecco , di' al sonar della sua voce f^ede Leandro comparir veloce (1). Modo poi abbracciato da lutti i più moderni, come vago ed esprimente. E fu pregiato anche nelVetà più lontana, onde osservasi anche appo i Latini. Così Virgilio : Quo diversus abis ? iterum pete saxa^ Mencete^ Cuni clamore Gyas revocabat : et ecce Cloanthuni Respicit instantem ter^o (2). E cosi poi cento volle da questo , e da altri famosi scrittori latini. OPPOSIZIONE XLllI. ( C. XIII. St. 80. ) u Fincer la rabbia delle stelle, e' l fato » . Nel parlar continuato un solo artìcolo legar non può più parole , dovendo 1' articolo darsi o a tutte le voci , o a niuna. Ha dunque errato il Tasso con dire , delle stelle e ""l fato ; dovendo dire, delle stelle e del fato, seguendo l'articolo stesso che avanti la copula si è posto . RISPOSTA L'opposizione medesima meritò un moderno, (i) Zito, Scherzi lirici. ["2) Virg. jEneid. lib. 5. Controv. T.IF. 8 113 BILANCIA CRITICA che ad imitazione dtl notato luogo del Tasso volle dire : E gareggiando con le stelle e'' l fato; Tf)]eiKlo l'oppositore che si ponesse la preposizione con anche al secondo nome , cioè fato . Or noi , quantunque di ciò abbiamo abbastanza discorso nella risposta all'opposizione vigesimaprlma e nella risposta all' Ojjposizione trentunesima ; pure per soddisfare al censore, e per difesa di questo moder- no che, come il Tasso, ha mai\cato l'articolo o preposizione al secondo nome dopo la copula , sog- giungeremo qualche cosa di vantaggio e più parti- colare per la difesa di questo luogo. Diciamo adun- que, che di gran lunga s'ingannano costoro; poi- ché chiaramente si scorge, che spesse fiate sotto un solo articolo o sola preposizione più nomi incate- nar si possono; il che ambe addiviene a' segni dei casi, come c'insegnano i maestri della lingua italia- na. E quantunque la regola grammaticale vorrebbe che, seguendo nome dopo la copula e , se li desse r istesso articolo che al nome avanti si è dato ; pu- re si vede il contrario mille e mille volte ne libri de' buoni scrittori. Fu uso togliersi l'articolo al se- condo nome , quando è dell' i.stesso genere che il primo; come que' versi del Petrarca portati dal Po- liti per difesa del luogo accennato : Io qui di foco e lume Qut'to i frali e fatui liei miei spirti (1); in cui si vede che tantoyoco, quanto lume^ son d' un genere stesso , quantunque altrimeule in lati- no. E nel secondo verso laniofralij c^uanlo fameli- cij dello stesso genere sono, onde non curossi il poeta di dire, di foco e di lumCj né i frali e i fa- melici . Così Monsignor della Casa : E come sue sembianze si mischiaro Di spume e conche (2) *, in cui vien tolto il di al secondo nome , cioè conche, Edi questo modo mcdesimameute sono que' versi (i) Fetr. Rime, canz. 35. (?) Casa, Rime UI MARIO ZITO 113 di Gio: Andrea Gesualdo in una raccolta di rime; È questo il loco, ove madonna suole Lieta e giojosa as^li occhi miei mostrarsi Con quelle belle lucij ond'' io prini' arsi^ E l' altre sue bellezze al mondo .iole (1). E pur per ragion di grammatica si avrebbe dovuto dire: E con r altre sue bellezze j, mentre detto si e- ra prima , con quelle belle luci. E questo fu uso non rifiutato dai prosatori^ onde leggonsene mille esempli nel Boccaccio, come nel pri emio del Deca- meione : Tn soccorso e rifugio di quelle^ che ama- vano; e non disse : in soccorso ed in rifugio. Co- si ancbe: Da' compagni di Lisimaco e Cimone^ Jediti e ributtati indietro furono (2); e secondo la re- gola dir doveva : di Lisimaco e di Cimane . E questo modo vedesi parimente usato dal Villani , come; E fare memoria delT origine e comincia- mento di sì famosa città {i); dovendosi dire: e del cominciamento . E così poco appresso: Conside- rando la nobiltà e grandezza della nostra città; dove si toglie l'articolo alla parola grandezza. Pur quest' uso non fu così regolare , clic non venisse cor- rotto ; percioccbè , ancbe facendosi il parlare di cose di diverso genere, si tolse bene spesso l'articolo o la preposizione al secondo nome. Ed in questo mo- do altresì infiniti sono gli esempli . Monsignor del- la Casa : Ben foste voi per V armi e^l foco elette , Luci leggiadre (4) ; in cui si vede mancare il per avanti la voce yòro; e pur è diverso di genere non solo, ma di numero dal nome antecedente , cioè armi . Ed il Bembo , cbe fu maestro di lingua, pur tolse la preposizione con al secondo nome^ quantunque di genere differente dall' altro precedente , dicendo; Con la lingua e lo stilj lungi e da presso. Gir procacciando alla sua donna onore (5) j (i) Gi'sual. Rac. Rime. (2) Boccac. novel. 4i. (3) Villani, lai. nel Proem. (4) Casa , Rime . (5) Bembo, Rime. 114 BILANCIA GBIllCA dovendosi dire, e con lo sul . Né se ne evìtaroao al- tri scrittori ; ma colla scorta di questi diJ£ gran \\\\\\\ dell' italiana favella vi si fecero strada molli altri degnissimi compositori. Jacopo Sanuazzaro: colla piva e "/ crotalo; ed appresso : io vidi melanconico Seluaggio andar per la satnpogna e i naccari (\)\ dovendosi dire nel primo luogo, e col crotalo: e nel secondo, e per li naccari. Così anco Giulio Cammiilo : Già scorgo voi coli' arco teso, e l' ali (2); e non disse, e con l'ali; come usò Barlolommeo Gottifredi, siccome leggo in una raccolta di rimedi eccellenti autori : Ti scorse Atnor colla faretra e V arco (3) ; togliendo il con al secondo nome. Ed in prosa non furono pigri gli scrittori a correre a questo modo di scrivere. 11 Villani: Fare memoria, ec. delle mutazioni adverse e felici , e fatti passati di quella (4); dovendosi dire, e delli fatti passali. E così parimente: Per la bontà e senno:, e non disse, e per lo senno (5). Ed altrove: Navigavano, come la fortuna e vento del mare li menava (6); toglien- do l'articolo al secondo nome. Ed il Sannazzaro nelle sue prose 1' usò al pari , che nel verso : Con gli rahhujfati capegli e gli occhi lividi (7); ne dis- se, e con gli occhi lividi. Quindi ad uso così comune non vdlle pregiudicare il Tasso, se disse: J^incer la rabbia delle stelle e 'l fato . E con poca ragione per tal causa vien ripreso il Dolce dal Ruscelli, il Varchi dal Muzio, ed il Gian- netti dal Politi . E scorgesi che la regola assegnata, come troppo dura , sia stata rotta da' migliori scrit- tori di nostra lingua, coi quali il Tasso. (i) Are, Eclos^. 8. e Ectog. 9. (2) Caininil. Rinm . (S) Gotlifr. scel. Rime. (4) P'ilL nel Proeni, (5) e lib. i, c. 19. (6) e lib, I, e. 2 1 . (7) Saitnaz. Are. pros. 2. tu MAKIO ZITO 1 1 J OPPOSIZIONE XLIV. ( C. XIV. St. 10 ) . « £ luij eh' ora oceàn chiama^ tCj or vasto » . Han voluto i maestri , che malamente si dica lui, leìj e simili , allorché la relay.ione è di cosa Inani- mata : ed il Muzio fieramente al Varchi si oppone nella \archina al capo settimo, perchè avesse detto leij parlando della lingua. Or il Tasso dicendo lai, e parlando del mare, molto sconvenevole pare che detto r abbia . Oltreché , quando anche ciò se gli vo- lesse concedere, pur dovca egli dir colui. RISPOSTA Quanto sia severa questa regola , che dal censore si assegna , e quanto irragionevolmente venga il Varchi censurato dal Muzio, conoscer ben si può da un'autorità del Bembo, il qual dice : Ma tor- nando alle voci colui, costui, è alcuna volta eh' elle si danno alle insensibili cose, e lui altresì, siccome si die in Pietro Crescenzio, il quale ragio' nando di lino, disse: « JSella costui seniinazione la terra assai dimagrarsi si crede ì).Edin Dante, che di rena parlando , disse : « Non d^ altra foggia fatta, che colei Che fu dappiè di Caton già soppressa y>, E nel Boccaccio che disse lei , d^ una testa morta novellando (1). Per quantunque quest' autorità del Bembo, e gli esempli da lui apportati siano valevo- li a soddisfare il censore; niente di manco non la- sceremo di trascrivere altre autorità valevolissime a mostrare, che il Tasso non abbia errato. Lo stesso Bembo, che fu delle regole diligente osservatore, si servì di questo modo; perciocché parlando di voce ^ che è cosa insensibile ^ disse: Quando poi a lei , gli articoli non si danno ec. (2) ,• ed iutìnite volte così (i) Bembo, Prose, l. 3. (2) Ibidem • 116 BILANCIA GIUTICA el fece parimente. Il Casa uso lui in significalo di crine , dicendo: Tale e più vago ancor il crin vid' io, Che solo esser dovea laccio al mio core. Non già eh' ioj rotto lui, dal career esca (1) . Ed il medesimo altresì in significato di gelo: Or Lile è nato il gel sui^ra il mio fianco^ Che ìiicn freddo di lui morta sarebbe . E'I Bembo slesso nelle sue rime , parlando di vita : Di lei vi caglia f e non ne fate strazio . Onde né il rasso dal nostro censore, né il Varchi dal iVluzio merita essere censurato , se tal modo usa- rono nello scrivere"» E se lui e non colui dal Tasso in questo luogo si disse, non fu senza autorità e senza esempli . Dice il Bembo stesso: Ed ha lui ne- gli altri del numero del meno, la guai voce s"" è in vece di colui alle volte detta (2) . E altrove ancor disse: Resta che vi sia chiaro, che lei in vece di colei, siccome lui invece di colui, del guai si disse, s' è alcuna volta detto da' nostri scrittori . Né mancano in fatti gli esempli . Dante disse: Ma perchè lei , che dì e notte fila, JSon gli a\>ea tratta ancora la conocchia (3) 5 e dir rettamente dovea: Colei che dì e notte fila , ec. Così il Petrarca in più d'un luogo, come: Morte hiasmate, anzi laudate lui Che lega e scioglie (4) 5 e cosi parimente : Poi piacgue a lui, che mi produsse in vita{^ù)\ e in altro luogo: Ardendo lei, che come ghiaccio stassi . Il Pergamlno con tre luoghi dell' Ameto del Bocca- cio mostrò, che assai bene si dicesse lui e lei, per colui e colei; né mi renda altrui spiacevole, se ri- dico i luoghi notati da lui. Oicesi nel primo: Ma so che lei fu nominata Crotulla . E nell'altro ap- presso si dice: Medea, figlia del Sole,non se ne po- li) Casa, Rime. (2) Bembo, Prose, 1.3. (3) Dante, nel Purg, 21. (4) Petrarca, son. 7.35. (>) e canz. 21. DI MARIO XIT(» il /^ tè anche lei difendere . E nelT ultimo luogo: Come Po/nona ini disse j e lei mei fece palese. Ma qui j>iue che anclie il Pergamiuo (sia detto con sua buona licenza) si fosse non poco ingnnnato, men- tre si conosce che in cjuesti tre luoghi lei non vo- glia mai significar coleij ma piuttosto e//a; essendo lutti tre i lei casi retti . E notabilissimo errore stato sarebbe del Boccaccio, se così scritto avesse : per- ciocché allora lui e lei hanno forza di colui e colei, quando segue il relativo che; siccome conoscere ben si è potuto in tutti i luoghi che sì sono rapportati di sopra. E conferma quanto io dico un'autorità del Be-mbo, che dice : // che si fa pili chiaro per la 'l'uceche, che seguita nelT un luogo e neW altro ^ perciocché tanto è a dire lei, come sarebbe a dire colei la quale (1): tantoché in niun modo il Boc- caccio polea dir lei per colei, aoa facendo seguir la voce che. Ma io ho presso di me l'Ameto del Boc- caccio di purgatissima stampa , dove tutti e tre que- sti luoghi ho osservati altrimente di quello che gli ha apportati nel suo Memoriale il Pergamino; che iu vero se cosi giacessero, come egli li riferisce ben di errore accagionar si potrebbe il Boccaccio, non avendo posto lei nel caso obliquo. Dice in som- ma nel primo luogo : Ma so che da lei fu nomina- ta Crotulla :, e disse da lei^ cioè dalla madre, aven- do detto avanti , della stessa intendendo : A se simile partorì una vergine. E così nell'altro luogo: Me- dea j figliuola del Sole, non sene seppe colle potenti hoci difendere . E così parimente nel terzo: Come Pomona mi disse , e fé" palese . Ed io ho per sicuro, che così il Boccaccio scrivesse; non potendo essere che uno scrittore cosi purgato dir volesse lei in caso retto: tanto più che questo pronome nulla in quei luoghi operava 5 e ponendovisi, ben oziosamente vi starebbe. Pur vi fu chi lui in caso retto già pose, senza la voce che appresso . Così Giovanni Villani nelle sue storie : Papa Innocenzio ec. consecrò il ( I ) Bembo, toc. cit. 118 BILANCIA CRITICA re Lois , e lui li promise di ajutar la Chiesa {\') . Cosi Dante parlmeiiie: Dunque se esso Adamo fu nobile , tutti siamo nobili ^ e se lui fu 'vile, tutti sia- mo 'vili (2). E così mille altri esempli . Ma ciò noa facendo al nostro proposilo, tralascio; bastandomi , eh' io abbia mostrato indegno di censura il Tasso , se disse lu in vece di colui ^ e con significazione di co:>a inanimata . OPPOSIZIONE XLV. (St. 23.) « Chi gira incontro ai rischi della morte ». Il verbo gt/'e in molti tempi conoscesi difettoso, come mostro il Pergamino nel suo Memoriale, cosi dicendo di questo verbo : E uno de^ verbi difettivi , a cui mancano alcune voci, ed in lor difetto si ser- ve del verbo vo . E vogliono alcuni, che fra gli al- tri tempi, in cui questo verbo è manchevole, siavi il futuro; onde ha da prenderlo dal verbo andare^ e così in tutti gli altri tempi, in cui è difettoso. Quindi dicendo il Tasso : Chi gira incontro ai rischi della morte; errore invero ha commesso, dovendo dire: Chi an- derà ec; e cosi sempre si è osservato ne' buoni scrittori . RISPOSTA Potrei su questo luogo trattenermi gran tempo a bada , con esaminarlo a minuto , e portare in difesa del Tasso cento luoghi uniformi di celebri scrittori ; ma perchè la cosa da se stessa è chiara , e bene spes- so si osserva il futuro giVà ne'scritti de'grand'uo- mini ; parmi superfluo il far qui catalogo di autorità. Soggiungo solo, che il Salviati, diligentissimo inve- stigatore della lingua italiana, dice che il verbo gi- re sia proprio de' versificatori , senza ch'egli faccia eccezione di tempo alcuno (2). Ed in ciò forse volle (i) Vill-l, |.r. 33. (2) Dante^ nella Vita nuova. {?>) Salv. Avverlim. lib, \. 1)1 iMAHlO ZITO 1ly seguire M. Pietro Bembo , il quale disse: gircj già , gìo, e girei , e gito, e simili sono 'voci del 'ver- Jo ec. (1) ; donde conosciamo, che non ne ecceliua voce alcuna , dicendo egli e simili. E quantunque il Kuscelli moslrossi sempre delicato e scrupoloso in tutte le cose di lingua ; pure volle che si potesse usare gi7'à nel futuro, benché con poco plauso tal voce ammettesse: forse avea questa voce del rancido, ed il puzzo gli diede su quel naso, clic ogni cosa fiuto. Dice egli adunque : irò, e gt/ò non sì dirà mai: gira j girai j giremo, giranno si potrehhon dire} tuttavia più volentieri son da lasciarli gire (2). Fu pure assai , che disse : si potrebbon dire. Ma io non saprei trovar ragione , per la quale escluder si potessero gli altri tempi di questo verbo, massima- mente quelli che sconvenevolezza non recano nel parlare; e pure ne' versi di lutti i buoni scrittori trovansi d'ogni variazione . Diciamo adunque, che ben fatto sia lo sfuggire il verbo gire nelle prose , ed usare in sua vece il verbo andare; ma quello, siccome più proprio del verso , ben usarsi in ogni tempo e con maggior bellezza . 11 che ben cono- sciuto dal Tasso, servissi del futuro gira, come proprio della rima ; poiché senza muovere in parte alcuna il verso , dir poteva: Chi anderà incontro ai rischi della morte . OPPOSIZIONE XLVI. (St. 49.) « Non mancar qui cento ministri e cento,, « Ch^ accorti e pronti a servir gli osti foro » • Ne' contadi più goffi di Napoli suole usarsi ]a \ occ Joro, ^erjurono o furo; ed il Tasso l'ha cosi famigliare , che quasi 1' ha fatta tutta sua , poiché spesse volte ardisce servirsene ; e con quanta scon- venevolezza , può conoscerlo chi il legge : né mal fu usata da altri buoui scrittori , per quanto ho os- servato . (i) Bembo, Prose, l. 3. (2) Piusc. Coment, l. i,c. 3 '^^ IltAWCIA CBITICA RISPOSTA Che averebbe detto il censore, se avesse lette stra- vagauze maggiori , che hanno usate gli scrittori nel- la costruzione del verbo sono? Sino a ,far contrap- posizione de' tempi, si sono osservati alcuni classici autori della nostra favella. Si disse è in vece di sono nel maggior numero. (Josì il Boccaccio: non è ancor quindici dì (l);e cosi ancora: g/'à è molti anni{2) . Si disse parimente /o5Cà per fosti tu. Il Boccaccio stes- so: oi'e fustà stamane (31? ed altrove : fostu a questa pezza alla loggia de^ Cavicciuoli (4)i seguitalo dai rimatori . Il Petrarca : Ch' il pur dirò, non fasta tanto ardito (5)^ ed altrove: Ch" or fosth vii'o, coni" io non son morto. Cosi similmente dissesi suto, invece di stato . Il Boc- caccio : Tu mi di\ che se^ suto mercatante (6); ed al- trove: Se io allessi creduto j che conceduto mi dovesse esser suto (7). Ed il Villani con più stravaganza dis- se essutij come; B<^nchè i Pisani fossero essati con- tenti (8). Si disse parimente , ma non so quanto be- ne , savamOj per eravamo. Il Boccaccio nel Labe- ri nto: Non trapassante il luogo, dove noi savamo (9). E così in questo verbo altre mille sconvenevolezze si usarono. Onde si rende scusabile il Castel vetro nell'aver detto arehbcj del che ricevè riprensioni grandissime dal Muzio (10). Or cosi parimente nel perfetto remoto usarono di à\ re furo. Così Giovanni Villani : per lo detto Nembrot e suoi furo adorati gV Idoli (11). Ed altri , con minor bruttezza di voce, dissero /ò/'o. Così Dante: JSè far fedeli a Dio, ma per sé foro (12). {\)B()cc.no\,>el.'j'ì.['i)c^ novel. 'j.{y)e novel.i'ò.{\)e nov.^'i. (5) pctr. Rime, in ^ita.{>ò) Boccac. noif-l. i. (7) ^ no'^eL 16. (H) T'^ill. l. 2, e. 53. (9J Boccac. Laberinto, fai. :ji.{io)}Ju- zio, Battagl. (i 1) mi. /. i, e. 2. (i 2) Dante, laf. e. 2. 1>I MAKIU KITO 121 Voce poi così accettata , che tutti i più moderni se ne servirono, sfuggendosi in essa il brullo suono, che si ha, pronunciandosi coli' Mj dicendosiy«/o. E sebbene in essa non può recarsi ragion di regola j pure coir autorità degli antichi si toglie ogni dub- bio , che nascer potesse in coloro , che sconvenevole Ja stimassero . OPPOSIZIONE XLVIl (G. XV. St. 17.) « Sorger si mira il favoloso Lete ». Il nome Lete fu da' Latini usato sempre col gene- re femminile, a cui imitazione gli scrittori nostrali gli aggiunsero il genere stesso; onde cadde in grande errore il Tasso , dando a questo nome il genere del maschio . RISPOSTA Sono infiniti i nomi , a cui hanno senza alcuna diflerenza variato il genere gli scrittori : né appor- tar se ne, può la ragione; perciocché pare, che in questo si abbian fatto guidare più dal proprio ca- priccio, che da regola , non potendosi in ciò alcuna assegnare. Di questa sorte di nomi sono , il Jine e la fine j usato dal Petrarca in tulli i due i generi; così il fonte e la j onte ; lo origine e la origine; il folgore e la J algore ; il gregge e la gregge ,• il mar- gine e la margine. E così parimente, i7 pianeta e la pianeta; lo aere e la aere; il palude e la palu- de : e di questo modo yronte, incudine j e cento al- tri che tralascio per brevità . E ne porterò qui qualche esempio per maggior chiarezza ; poiché al- cuni sembrano strani nel genere di femmina, ed al- tri nel genere di maschio. Folgore nel genere fem- minile si disse da Dante ; Crucciato prese la folgore acuta (1). E così il Boccaccio ; una celestial folgore (2) . (i) Inf. can. i^.{'i.) Bocc. Filoc. "122 BILANCIA CRITICA, E (jiovanni Villani: Imprudentemente affermano^ che alla grandine ed alle folgori alcuna cosa fa- re si possa (1). La pianeta, disse Guitton d'A.rezzo: La pianeta ini pare oscurata (2) . Ed il Villani altresì: Secondo le congiunzioni di buone o ree pianete \^i). fìtiichè questo nome dal Boc- caccio e dal Petrarca sia sempre stato usato col ge- nere del maschio \ pure il Boccaccio uso aerej iu geuere di femmina : Ma poiché l' aere a divinir bruna Incominciò, ed il Sole a colcarsi (4) . E di tal modo similmente Pier Grescenzi : Imperoc- ché il Sole chiarifica la sua aere (5). Ed in tal mo- do cento altri autori . Si disse parimente incudine nel genere di maschio dall'Ariosto nel Furioso; Fu il Pagan prima da Grifon percosso Dun colpo, che spezzato avria gì' incudi (6) . Nel genere del maschio si disse palude da Dante: Corsi al palude, e le cannucce e 'l brago M' impigliar sì, di' io caddi (7). Così parimente Pier Crescenzi: L' acqua del palude è peggiore dell' acqua del pozzo (8). Quindi con- cluderemo, che siccome con variazione di genere vadano tanti nomi per le carte degli scrittori 5 cosi anche sia ciò conceduto al nome Lete . E se nelle poesie del Petrarca, e ne' libri d'alcuni antichi scrittori si ritrova questo nome usato col genere di femmina , ciò è avvenuto forse, perchè loro non oc- corse di averlo ad usare in altro genere -, benché nei più moderni senza differenza trovasi tal nome usato. Pure parmi , che il Tasso siasi più accostato al vero genere di questo nome, così trovandosi usitato co- munemente da' Latini , la cui lingua ha servito di norma alla favella italiana ; perchè se avesse voluto porlo in genere femminile , non era difficile a quel- l'uomo accomodare in altra forma il verso. [i] Fili. L I, e. 128.(2) Gai tiene, Rime. (3) ViJ.lanì , l. 10, e. 11. (4) Boccac. Allieto. (5) Crescca. fol. 1 5. (6) Furioso, can. 17, st. 101.(7) Purg.c.5.{S)Crescen./ol. 8. DI MABIO ZITO 123 OPPOSIZIONE XLVIII. (^G. XVI. St. 7.) a Di colai segni variato e scolto ». Per regola di buona lingua molto riprendevo!- mente si é servito il Tasso della voce scolto: poiché siccome eulte e culto, da cultivare si dice j cosi sculto, da sculpire dee dirsi. RISPOSTA Altre volte abbiam detto, che han voluto i nostri scrittori sfuggire nelle voci , quanto più e stato pos- sibile, il suono della lettera u, come men degno di lutti gli altri, uscendo fuori dello stringersi, che si fa in cerchio le labbra, cou pochissimo spirito- on- de ha meritato' il sezzajo essere quasi nella prece- denza de' caratteri o lettere, che vogliamo chiamar- le. Quindi alcuni dissero lome per lume, costome per costume, e simili ; del che altre volle si è ragio- nato in queste Risposte. Si disse parimente odire, ia vece di udire, sorgere per surgere, volgo per vul' go , ed altri : e ciò solamente per isfuggire il suono deforme della lettera u nel verso . Onde i buoni poeti han tolta questa lettera da molle voci , alle quali ci vorrebbe, e così hanno scritto core, foco y loco,t simili, per cuore, fuoco, luoco,ec. Ed abbor- riron tanto Vu quegli Scrittori del secolo antico, che spesso lo cambiarono coli'/: onde dissero viti- perio, vitiperare, e simili, siccome avverti il Sal- viati (1). Or conoscendo il Tasso la sconvenevolezza del suono nella voce sculto, la mutò dicendo scoi' to , dovendosi proferire coli' o alquanto stretto . E cosi questa voce, come altre di tal fatta, si ritro- vano per lo più scritte colla lettera o in molti buo- ni scrittori . (i) SaWiati, Avvert, della lingua^ 124 iillkVClK CRITICA OPPOSIZIONE XLIX. (G. XVII. St.35.) « Meravigliando esercito cicalati ». Cadde spesso il Tasso, nell' usare il nome addietli- vo seaza il sostantivo; onde qui pone alati, senza il suo sostantivo. Ma più strano sembrami quel mera- vigliando j ch'io non so che senso faccia; né da cui abbiane presa l'imitazione. RISPOSTA Non mi fa d'uopo di più discorrere degli addiettì- vi, che si usurpano il luogo del sostantivo , perchè abbastanza ne è stato detto. Risponderò solo all'al- tra opposizione, che fa il censore in questo luogo ; e faremo vedere, che ad imitazione de' migliori scrittori abbia il Tasso usata la voce meravigliando. Slimò il Secretario dell'Accademia della Crusca, che questa voce fosse nome, e che merawigUando, qui fosse posto dal poeta in vece d' ammirando (1) . Ma eruditamente replicò il nostro dottissimo Pelle- grino , mostrando che fosse verbo , e con sode ra- gioni rese la sua opinione fortissima. E quantun- que replicasse di nuovo l'Infarinato Secondo, poco pare che la Replica soddisfaccia; e forse quel vir- tuoso Accademico conobbe bene, che verbo e non nome fosse la detta voc^ in questo luogo; pur mantenne la prima opinione , per non abbattere il compagno (2) . E senza eh' io mi affatichi in provar che sia verbo, bastando quanto dal nostro Pellegri- no si disse, anderò solo mostrando che coli' esem- pio de' buoni l'abbia anche fatto il Tasso , usando la voce meravigliando j in vece di meravigliandosi . Si disse dal Petrarca ; Vergognando talor eh' ancor si taccia (3) ; (i) Crusca, Risposta al Pellegrino 1^9. (-») Inf ariti. Se-^ condo al Peltegr. toc. cit. (3) Petrarca, son. 19. PI MARIO ZITO 125 do\enclo iWrc vergognandosi j il tìie j er più cliiarez- z? (.i viene dichiarato da Giovanni Andrea Gesual- do : tergcgnandoj 'vergognandosi j che benché di- chiarilo ^'ergognomi , e meravigliomi solamente ; nondimeno si suol dire vergognando j e meravi- gliat.doj e vergognandomi, e meravigliandomi ^ nell'una e nell'altra maniera ec. (1). Ed il Petrar- ca stesso anche usò meravigliando per mtravi- gliandoniij dicendo: Ond' io meravigliando dissi: Or come Conosci me (2)? Ma più propriamente al nostro proposito , Dante: Meravigliando diventaro smorte (3) ; nel cui luogo vedesi , che voglia dinotare meravi- gliandosi. E fu modo tenuto bene spesso dal Caro nella sua traduzion dell' Eneide , come in quel luogo : Ed oh da'" suoi primi anni , e i gesti tuoi Meravigliando ad imitar si avvezzi {h)\ parlando di Evandro , che voleva che dagli eserci- zj bellicosi di Enea imparasse il suo Fallante ad es- ser prode. E così parimente poco appresso, avendo Enea ricevute 1' armi da Venere sua madre; e dopo aver maneggiato la corazza, l'elmo e la spada, al fin sopra lo scudo si ferma, dicendo il Caro: Meravigliando al fin sopra lo scudo Si ferma . Né questo fu modo di dire discacciato dalle prose. L' uso parimente il Boccaccio , dicendo : Lei del" lo ^nganno di Gisippo rammaricando ; e pure dir dovea rammaricandosi . Ed è slato solito spesse fia- te dagli scrittori togliersi la particella si da alcuni infiniti di verbi , come c^egware per degnarsi; raf- freddare per raffreddarsi ; rompere per romper- si, e simili. Immaginare pet- immaginarsi j disse Guido Cavaloauti : (i) Gesual. sopra II Petrarca. (2) e Trionfo d' Ainore^ ean. i . (3j Dante , Purgatorio, can. a. (4) Caro , Eneide, lib. 8. 125 SILAKCIA CRITICA Immaginar noi puote uom, che no^l prova (1). Così anche negl'iniiniii passivi, come nasconder , usato dal Petrarca in significato passivo di nascon- dersi : L" alto Signor , dinanzi a cui non vale Nasconder, né fuggir , né far difesa (2). E così dal poeta medesimo suole usarài mover per moversi, romper per rompersi, cangiar per can- giarsi, li quali modi vennero notati da Alessandro Tassoni (3). E dissesi da questo poeta parimente affi- na, in vece di si affina : Ivi come oro, che nel foco affina (4). Quindi ci possiamo accorgere , che vengano talor tolte dagli scrittori le particelle mi, ti, ci, vi, si a certi verbi, che secondo la regola gramaticale le ri- chieggono . Onde stimo , che meravigliando det- to dal Tasso, non sembrerà voce tanto ebraica , quanto il censore la stima; riuscendo di giusto peso colle voci del Petrarca, e d'altri stimati scrittori. OPPOSIZIONE L. ( St. 38. ) e^l re così gli dice : « Te^ questo scettro : a te, Emiren , commetto u Le genti » . Stravagante storpio di voce è quel te^ , in vece di togli, e parrai gemello col me^ , che altre volte disse il Tasso per meglio . In vero questo accorciamento non si usa , se non ne' nostri contadi*, né so come giungesse all' orecchie del Tasso , che era Berga- masco. RISPOSTA Non è cosi stravagante l' accorciamento te'', come il censore si persuade. Bilanceremo ancor questo, e vederemo che il di lui peso sia giusto , al pari del [\) Cavale. Rime. {^) Petrarca, sofi. 204. (3) Tassoni ^ Censider. sul Petr. nel san. 96. (4) Petrarca, eanz. 68. DI MARIO ZITO 127 nie"* bilanciato altrove: e faremo vedere, cLe non solamente non abbia errato il Tasso , e che non sia storpiator di voci; ma che ciò fatto egli abbia con gli esempli de' migliori scrittori della nostra lingua. Dissesi dal Boccaccio: Te la prescntf lettera, la quale è se ctl ti s sima guardiana delle mie doglie (^\\ E così altrove parimente , dicendo : te^^fa compiuta- mente quello , che il tuo e mio signore t^ ha impo' sto (2). Il Petrarca disse to^j che non è da più del fé' del Tasso : Dir potea , to' di me quel che tu puoi (3). Usò anche di dire toi, per togli: E fuggendo mi toi quel eh" io pili bramo (4). Di questa fatta parmi anche suo' iper suoli, detto da questo poeta medesimo : Già suo' tu far il mio sonno alnien degno (ó). E 've' per vedi non é forse dell' istesso peso del te' del Tasso ? Ve^ V altro, eh' in un punto ama e disama (6); seguendo Dante , che parimente disse: Ve' che non par che luca (7) . Né molto differente parmi che sia di' , che usò qua- si sempre il Boccaccio in vece di dici; e pur egli fu Fiorentino , ne dimorò ne' villaggi di Napoli: Tu mi di', che se' stuto mercatante (8). E così similmente: Le cose, che tu mi di' , io le conosco vere (9) . E co- sì cento volte; onde è stato in questo modo seguito da tutti gl'intendenti di lingua . Altri accorciamen- ti di verbi trovansi usati dal Petrarca , che il censo- re chiamerebbe storpiamenti di parlare, come rom- pre, per rompere. Che porla questa il Ben, quando piìi agghiaccia , Arder con gli occhi, e rompre ogni aspro scoglio (10)» (0 Bocc. Filocnlo. (2) Ibidem. (3) Petrarca, son. 297. (4) t' san. \ 56. (5) e san. "297. (6) e Trionfo d' Jinorc, e. 3, (7) Dan. Pure;. 5. {S)Boceag. novel.i.{el. 45. {t) e novel. 55.(3) e novel. 65.(4) SaU- A^ertiìii. vol.n, l. i,c. 12. (5) Bembo, Prose, l. 3. (6) Bocc^ novel. 33. {j]) Petrar. canz. 6. (8) Boccac. novel. 80. 134 BILANCIA CHITILA so: Quella bestia era pur disposto, ec. (1); e pure per ragioue di genere dir doveva disposta . E par- mi che ili questi luoghi 11 Boccaccio, e cou seco gli altri che tal luodo hanno usalo, si siano serviti àeW AìitipallaEe, come cliiainolla Demetrio Fale- reo (2), o Ipalla^e detta da Cicerone,, eh' è un mo- do di favellare assai lontano dall'ordinario , il qua- le ha della forma del grande, e induce maraviglia , secondo Demetrio stesso, e copiosissimamente ne discorre il Panigarola (3). Onde coiichiuder possia- mo a favor del Tasso , e contra coloro che negano nella nostra favella il genere neutro , che bea detto genere si possegga dalla nostra lingua \ siccome a lungo discorre il Ruscelli (4), e si affatica con più ragioni provare , che il genere neutro sia anche del parlare italiano OPPOSlZIOiNE HV. (G. XX. St. 106. ) « Così allora il Soldati vorria u rapire « Pur se stesso all' assalto, e se ne sforza » . Pare , che in qnesti versi voglia il Soldano ritirar- si dall'assalto, secondo il senso delle parole; per- ciocché rapire se stesso all' assalto , vuol siguitica- re torsi via dalT assalto; dinotando il verbo rapire nella nostra favella propriamente toglier per forza, o con violenza. Pure chiaramente ciò non volle ia- tendere il Tasso, mentre segue : Ma non conosce in sé le solite ire. Né sé conosce alla scemata forza . Imperciocché per ritirarsi dall assalto non vi erano necessarie né le solite ire, né la forza scemata; onde dice appresso : f^olgonsi nel suo cuor diversi sensi , Non che fuggir, non che ritrarsi pensi . (i) Boccac. novel.G^Ai) Demetr. partic. 36. {3) P ani g. in kunc locutn . (4) Ruscelli^ Commen. lib. i, cap. 5. DI MAniO ZITO 13» Bisogna dunque confessare, che malamente abbia il Tasso usato il verbo rapire, togliendogli il suo pro- prio significalo . RISPOSTA Egli è chiaro , che il verbo rapire non occupa in questo luogo ii significato di togliere con violenza^ come vorrebbe il censore j mentre il costume asse- gnato dal poeta al Soldano era in tutto contrario dal volersi ritrarre dall' assalto , essendosi sempre que- sto capitano dimostrato bramoso di guerre , e dell o- zio impaziente,* siccome, per quel clie segue il poe- ta, anche chiaramente si scorge. Diciamo adunque, che il Tasso avesse usalo il verbo rapire ia un senti- mento remoto latino , cioè precipitare : e rimarrà la spiegazione del senso assai chiara . Cosi Cicerone: jRapiunt eum ad siipplicium (1); volendo intendere , che lo tiravano a t'orza al supplicio. Cosi parimente Virgilio: yétque illum in proeceps prono rapit alveus amni(Z), E cosi similmente, parlando di Turno: . . ; sed rapit acer Totani aciem in Teucros . E in persona di Enea: Ille volatj campoque atrum rapit agmen aperto (3)^ volendo col verbo rapit accennare un andata preci- pitosa . Onde Servio così questo luogo per più chia- rezza espose : j^apjt aMtem^ Aoc estyfestinat (4). E il dottissimo Fontano nel suo Comento sopra Virgi- lio: Tanta celeritate ferebatur j^neasj ut 'volare videretur^ et aperto campo; qui scilicet hostibus meta dispersis vacuus et patens erat_, raptim duce^ batj hoc est eniin rapit (5). Or volendo il Tasso di- mostrar che il Soldano averebbe velocemente volu- to spinger se stesso all'assalto , si servì di questo bellissimo modo, servendosi del verbo rapire, che (i) Ciò. 3. Ver. (2) ì^'irgil. Georg, l. i . (3) Aen. lib. io , e lib. 12. (4) Seri', in loc. cit. (5) PonCan. in f^irg. 136 BILANCIA CBITICA io questo luogo vai tanto , quanto precipitarsi o spingersi con violenza . OPPOSIZIONE LV. ( Si. 1 1 5. ) « Spinse il suo contro lui, che ^n atto scerse « D' assalitore, il cavalier latino » . Non so quanto bene dia qui il Tasso titolo di latino a Ptinaldo^di cui qui intende; essendo egli eroe italiano . E par che cerchi emendarsi indi ap- presso, dicendo : Tante far le percosse e sì diverse Dell' italico eroCj del Saracino . RISPOSTA Troppo scrupoloso mostrasi in questo ultimo luo- go il censore ; per non darli altro titolo. Mirò qui il nostro Tasso al genere, e non alla specie, quando chiamo Kiaàìdo cai'ulier latino^ essendovi genere, «pecie, e individuo in materia simile; siccome va discorrendo il l'rissino nel suo Dialogo assai be- ne (1). E parlandosi in genere, un della nostra cit- tà può chiamarsi Italiano, in specie Napolitano, in individuo Capuano ; ma sempre comunemente pre- valer deve il genere: perciocché quantunque nella Grecia fossero i Dorj, gli Jonj , gli Attici , e altri, che fra di loro avevano qualche differenza ; pure comraunemente Greci vennero chiamati. Così, es- sendo la maggior parte d'Italia anticamente Lazio chiamata, può bene colui, che in essa nasce. Latino appellarsi senza nota di errore. Cosi il Petrarca nel trionfo d'Amore pur disse di Seleuco : JSd egli, al suon del ragionar latino. Turbato in vista si ritenne un poco . ( I ) Trissino, il Castellano . 1>I JIARIO ZITO 137 ÌDteudendo per latino , italiano} ayeado il poeta a lui prima detiu : Io priego, che tu aspetti ec; parole del linguaggio italiano. Che se il Dolce vol- le che il Petrarca in questo luogo della lingua an- tica latina, e non della moderna italiana intendesse; fu detto a caso e senza fondamento, non vi essendo dubitazione alcuna, che da lui non fosse detto lati- no per italiano; essendo in questo sentimento usato più volte da Dante e da altri buoni scrittori , sic- come osservo diligentemente il Trissino(l). E per maggior chiarezza di questo luogo del Tasso, notisi un luogo di Dante. Dic'egli : Ditemi fchè mijia grazioso e caro J S anima è qui tra voi che sia Latina j E forse a lei sarà buon, s^ io l' apparo . O frate mio, ciascuna è cittadina D' una vera città; ma tu vuoi dire Che vii^esse in Italia peregrina. Questo mi parve per risposta udire ec (2) . E appresso le fa dire: Io fai Senese . E altrove pone Dante in bocca di Oberto Aldobran- desco queste parole ; Io fui Latino j figlio d^ un gran Tosco (3). Così parimente il Boccaccio nel fine del suo poema della Teseide: Ma tu, mio libro, primo alto cantare Di Marte fai gli affanni sostenuti. Nel volgar Lazio mai non più veduti (4) . (Quindi senza taccia d'errore disse il nostro Tasso il cavalier latino, intendendo del genere . Pur di ciò noi in altro proposito più diffusamente daremo ragione in alcuni nostri discorsi x\ccademici . Non so se tutti i luoghi notati da questo moderno censore siano in questa nostra bilancia comparsi di giusto peso \ è però certo, che quel che mancale tut> (i) Trissin. ibul. [i) Dante, Purg. e. l'ò. (3) e can. 1 1. (4) Boccac, Teseide. 136 BILANCIA CRlllCA to per difetio di nostro Ingegno, non per ignoranza di quel poeta; non potendosi mai credere, che in er- rori di lingua cadesse un uomo, a cui tutte l'arti, tutte la discipline, tutte le scienze avean tenuto cor- teggio , come vedesi in ciascuna delle sue opere. E <{uantunf(ue Diomede Borghesi repula , che di pur- gata favella non avesse egli gran pratica , come in una delle sue lettere va dicendo , sopra la cui auto- rità si è in tutto appoggiato il censore , come nei proemio dimostrammo; pure non è , che l' istesso in più luoghi delle sue lettere medesime non lo stimi per uomo di gran lettere e per ottimo poeta, dicen- do : Senzfi dubbio io tengo il Tasso per solenne litteratOj e per ottimo poeta; ed in ihro luogo: // Tasso viuej (ul è cotanto ingegnoso e nelle scienze ammaestrato j che cgU con tutte le disai>i>entJire è pili bastante a prender la difesa delle sue co uposi- zionij, che non è f Ottonclli ec. (1). Sono pero mol- ti in opinione, che scriver bene nella nostra lingua non possa , se non colui che 1' apprende in Tosca- na . Negar non poss' io che la Toscana ,e Firenze in particolare, non abbia molto vantaggio nel ben parlare; ma il dire che uon possa favellar bene chi Toscano non è nato, è cosa conli'aria al giudi/.io di molti grand' uomini , ed all' istessa esperienza che l'opposito ne insegna. Molli buoni scrittori ha avu- ti r Italia; e pur uon nacquero, né furono allevati tutti in Toscana. Il Muzio fu di Capo d'Istria , il Castelvetro di Modana, il Caro, il Giraldi , il Pi- gna, r Ariosto, il Guarino da Ferrara , il Ruscelli di Viterbo, ed altri di varie città fuor di Toscana ; e pure regolatamente scrissero, ed ammaestramenti di lingua lasciarono . Il nostro regno di Napoli ha partoriti non pochi scrittori , fra' quali il Sannazza- ro , il Tansillo , il Rota , 1' Attcndolo, l' Uva , il Pel- legrino , il Noci , il Marino, il Manso , il Gì ilio , ed altri assai, che quantunque non furono in Toscana allevati, pure purgatamente scrissero. Egli é certo, (i) Borghesi, nelle Lettere, par. 3. DI SIABIO ZITO 1 3'J che se ciascuno scriver volesse nella lingua nativa, farebbe delle castronerie a cenlinaja: e la stessa cit- tà di Firenze, che più delT altre città di Toscana non poco nel ben parlare prevale, quanti riboboli ha , che vengono sfuggiti da' suoi scrittori ? Il Var- chi , die fu Fiorentino, non pochi ne nota nel suo Ercolano . Egli è certo , che si veggono tiella nostra Italia, ed in f[uesto regno in particolare, oggi uscir libri così nella favella malconci , che nauseano gli intendenti lettori ', e pure sono pieni di vaghissime erudizieni, e d' ingegnosi pensieri. Ed in vero ia questo secolo si è lasciato in tutto V uso del ben par- lare. Maravigliomi assai , che dalla fanciullezza cer- chiamo con tanto sudore di apprendere la favella greca e la latina , non facendo nulla stima del purgato favellar nostro italiano, come cosa che sen- za osservazione apparar si possa. E pure non tutti i Greci ebbero l'eleganze di Demostene, né tutti i Ro- mani il dire di Cicerone. Il qual sciocco pensiero lenendo non pochi ingegni in varie scienze eruditi, nell'occasione di discorrere ne' congressi de' virtuo- si , favellando con uno stile imparato dalle balie e dal volgo , hanno dato agli uditori da ridere , veden- do molte degne speculazioni spiegate con una strut- tura di parole contadinesche e vili , formate senza regola grammaticale , quasi tante gemme in vilissi- mo piombo legate. Chi vuol politamente discorrere, ed essere inteso con diletto da' dotti, bisogna che fatichi nell'osservazione de'buoni libri per appara- re la favella, né gli fa d'uopo soggiornar lungo tem- po in Toscana . E in fine tanto necessaria la purga- tezza nel favellare, che senza di essa ninno, per dotto che sia , potrà rendersi famoso nelle buone ar- ti . Perciò fu detto, che la Grammatica fosse una por- ta , la quale aperta s'aprono tutte le scienze; chiu- sa, tutte si chiudono. Santo Isidoro mostrò, che so- lo questa fosse il fondamento di tutte l'arti e di tut- te le scienze , dicendo ; Grammatica est scientia re- cto loquendi , et ori^o et fimdamentum libera- 140 BltlRCIA CRITICA lium artium{\). E Francesco Patrizio : Dlscatfuturus rex a tener is grammatìccrij qucB fuTìdamenta jacit omnium disciplìnarum (2) . ^on si può all'altezza del monte, ove albergano le Muse, pervenire, se da costei non ne viene dimostrato il sentiero. Sia pur dovizioso di umori il Gaballino , che se. non venisse dalla costei mano purgato dell' erbe palustri , in brievc in fetida palude si aiuterebbe. Aristotile, che il tutto seppe, volle che'l principio della locuzione altro non fosse , che la correzion della lingua: Ca- put vero, atque initium elocutionis est emendate lo- gui {^òì). A.lessat)dro Piccolomini andò spiegando, che il fondamento della locuzione s' abbia da stimare che sia la purità e la candidezza di quella lingua , nella quale si parla. Come potrassi da chicchessia giammai fare elezione di parole scelte, tanto pro- prie, quanto traslate, ne di eleganze , né di forme di dire, se prima da lui non vengono possedute le regole e la candidezza della lingua? A ciò pervenir non può al sicuro; e testimonio ne sia Cicerone: Perficiendum est (die' egli ) ut purè, et emendate loquentes, quod est Latine t verhorum prceterea, et propriorunij et translatorum elegantiam perseque- mur (4). Deono , come cose necessarissime, da tutti apprendersi gli ammaestramenti lasciatici intorno all'arte del ben parlare. L' oratore, che senza osser- vazione di lingua le sue dicerie compone, è indegno di esser sentito. Lo storico tragga pur dal fondo del- l'oblivione e dalle mani rapaci del tempo le memo- rie più segnalate; che s'ei con modi plebei e con voci barbare, non osservando i precetti della buona favella, tesserà la sua storia, morirà il suo parlo pri- ma che nato (5) . E non per altro credo che Tau- risco , Dionigi Trace , ed Asclepiade riconoscano la storia come parte della grammatica, se non per l'e- leganza del ben comporta, siccome anche pensò il (i) Tsidé Etymolog. lib. i, e. 5. (i) Patr. de Reg. lib. 2. tit. tì. (3) Àristot, Rhetor. lib. 3. e. 5. (4) '"'c. de opt. gen^ Orai. (5) ^pud Sex. Empir, e. i6. adver. Mathem., DI &IARIO ZITO 1 lil tnoclerno Mascardi (1). Ed i più nobili maestri con- cordemente consentono, che la dicitura istoriale dal- la poetica allontanar non si debba per la nettezza della favella, di cui sono i poeti dottissimi maestri. Agathia, lo scolastico, apporta un detto di Eutichiano: Ita statuendiun estj historiam a poetica non mul- turn (listare; sed hcec duo geminaj atque affinia es- se ^ soloque propemodum rythmo inter se discrepa- re (2) . E perciò Quintiliano volendo ammaestrar l'oratore, come possa apprendere 1 eccellenza del ben parlare, l'esorta a leggere gli storici, dicendo che la storia sia una cosa vicina alla poesia: Est proxima poetis, et quoddam quasi canneni solu- tuni (3). Al poeta quanto si convenga l'osservare tutte le minuzie della lingua, è ben chiaro; percioc. che sia pure raaraviglìoso nella favola, osservante nei costumi , chiaro nello scioglimento 5 che se la locuzione non averà del pellegrino , in vano affati- cato sarassi. Quanto egli sia più d'ogni altro scritto- re soggetto alla critica, se i precetti della lingua non osserva, veggasi dalla moltitudine delle censure, che tutto giorno volano per le stampe. E chi anderà lon- tano dalle buone regole del parlare, dia piuttosto il suo poema alla luce del fuoco, che a quella del mon- do. Provò Torquato Tasso ed in vita e dopo morte i rfmbrotti di cento lingue (sto per dire invidiose della sua gloria); e pur egli fu cosi osservante del- l' italiana favella, accorto ne' traslati , ed oculato nella frase , che il Pergamino se ne è servito per u- no degli scrittori autorevoli ch'egli allega nel suo Memoriale. E se fra' buoni scrittori e purgati va l'Ariosto, il Gasa, il Bembo , ed altri; perchè da questo numero doverà escludersi il Tasso, che fu cosi accorto nello scrivere, che non disse mai cosa che o il Petrarca, o il Boccaccio , o l'Ariosto, 0 altri purgati scrittori prima di lui detta non avessero? On- de abbiamo stimato bene purgarlo da quella taccia, (1) HJascar. Art, ist.{i) Agath. in Praefat. (3) Quint. Institi lib. j o, e. i . 142 BILANCIA. CBITICl 1)1 MARIO ZITO cVi'altri indegnamente gli ha data. Sappiamo niente di manco assai bene,chepiutlosio tenebre abbiam reca- te a quel miracoloso lavoro della sua Gerusalemme, che lumi con queste nostre fatiche; perciocché lume non possono compartire le tenebre. Ad ogni modo abbiamo difeso contro un vivo un morto, che non può difendersi. E quantunque non possiamo negare, che il genio ci tiri a venerare gì' inchiostri di quella grande anima; pure in queste tenui risposte, pospo- nendo alla verità l'affetto , abbiam detto quel che non la parzialità , ma Tingenuilà ci ha dimostrato; sottoponendoci sempre alla correzione d'ognuno , avendo noi desiderio d'imparare, per rischiarare la nostra ignoranza, che nelle tenebre ci trattiene. Nota. Moltissimi €ono i passi da noi corretti di Autori eitati in questo scritto, e moltissime sono altresì le cita- zioni da noi rettificate ; ma di parecchi altri luoghi non abbiam potuto fare riscontro colle opere rispettiate , es- sendosi trovato non corrispondere i richiami delle mede- sime; e in tanto numero di autori e di citazioni non ci è dato di assicurare se gualche errore non resti tuttora da emendarsi , E ciò si vuole da noi avvertire ad ogni buon fine , dopo che con nostra sorpresa vedemmo nell' edizio' ni di Firenze e V^enezia essersi copiata materia/mente quella di Napoli, i6S5, senza neppure farsi carico del' ^'Errata Corrige non breve, che sta in principio a quella prima stampa . U Edit. IL FINE COMPARAZIONE DI OMERO VIRGILIO E TORQUATO; ED A CHI DI LORO SI DEB15A LA PALMA NELl'eROICO poema: del quale si vanno anco riconoscendo i precetti; CON dar largo conto de'poeti eroi- ci TANTO greci, QUANTO LATINI ED ITALIANI, EI> IN PARTICOLARE SI FA GIUDIZIO DELl' ARIOSTO : DI PAOLO BENI Controu. T.jr. io DISCORSO PRIMO DELL' ACCADEMICO NOMISTA CHE TOHQCATO tasso NHL SUO GOFFREDO ABBI \ R AVPRE- SENTATO MOLTO l»iu' NOBM.K E PERFETTA IDEA DI VA- LOROSO CAPITANO ED EROE, CHE OMERO O VIRGILIO. lo non saprei lidlre , uditori generosissimi , il cob- tenlo e dolcezza che provai nel mio cuore , allorché ancor fanciullo posi il pargoletto piede ne' fortunali e cari liti d'Italia; con far mio albergo prima in quella città , la quale non lungi siede felicissima reina d'Adria; ed indi poscia in questa nuova e famosa Atene. E sebbene non mai porrò in oblio il mio greco terreno, e'I mio caro e natio paese, famo- so al presente per mille doni di natura , 'non meno che negli àuticlii tempi fosse anco percento città il- lustre e chiaro; nondimeno con cento e mille catene d'amore ho sentito e sento annodarmi il cuore in questo felice seno, che tra gli eugauei colli ed il mar d'Adria giace ristretto. Che certo il tempera- mento del cielo e la dolcezza dell'aria, la piacevolezza de' colli e fertilità de' campi , la varietà dell'arti e l'industria maravigliosa , la nobiltà rara ed illustre, la gentilezza , cortesia e bellezza delle genti , e so- prattutto la virtù , la dottrina e l'ingegno, che a ma- raviglia splende e riluce in queste parti , sono per me indissolubili catene e lacci di benevolenza e d' amore. Contuttociò , s'io debbo confessarne il vero, una cosa è quella che sopra tutte mi riempie quasi d'in- finita dolcezza in queste parti, e mi fa benedire il giorno , nel quale mi esposi a solcar mari così peri- gliosi e lunghi . Ma qual cosa fia questa ? dirà alcu- no. La gentilezza, signori, e felicità degl'italiani VjS discorso trimo poeti : i quali noi veto cosi dolci e soavi sembrano al mio gusto , cosi vaghi e leggiadri, ed insomma cosi pieni d'ogni grazia e belle/.za , che mentre con questi passo ì ore ed i giorni , parmi in certa manie- ra di poter dire col Toscano poeta lirico : Che ambrosia o nettar non invidio a Giove . Vero è, Signori Accademici , che uno tra gli altri è quegli , il quale suol riempire il mio petto di me- raviglia e stupore, non meno che (com'ho detto) di soavità e dolcezza: parlo di colui che piuttosto con divino, che umano stile cantò .... l anni pietose ^ e"/ capitano Che '/ ^ran Sepolcro liberò di Cristo . Che a dirne il vero, non può leggersi questo leggia- dro e nobil poeta, che non si riconosca in lui , oltre a tutti gli ornamenti e le bellezze di Omero e Virgi- lio, un'ampiezza e maestà di concetti, una grandez- za e nobiltà di siile, una felicita e soavità di ragio- nare, la qual sormonta ogni credenza ed ingf^gno u- mano; e questo ò quello sopra che son'io per discor- rer brevemente tult' ora : paragoniado, per quello che l'angustie del tempo permetteranno, questi so- vrani poeti, anzi occhi, anzi splendidissimi li'.mi e stelle della greca, latina ed italiana favella: sperando che la nobiltà e splendore del soggetto sia perdarlume tale alla bassezza e alle tenebre del mio povero ingegno , che ap;)resso si benigni uditori a- gevolmente io resti dispensato, se col mio debole e mai purgato stile tropp'alto ardissi . Non è dubbio alcuno, che Omero nell'Iliade si propose di rappresentarci un forte e valoroso capi- pitano ed eroe: siccome anco è certissimo , che nel- l'Odissea si propose di esprimere un cavaliero ed c- roe di singoiar accortezza e sapere, il quale anco fosse a' gran principi e capit.ini ritratto di pruden- za e vii tu: e pertanto, se Achille è quegli che tra i greci gii<*rrieri si scuoprc il più valoroso e forte , ed Ulisse il più saggio e prudente; giusta cosa dovrà parere, che l'Ilìade di Omero, ove si cantano gli e- gregj fatti di Achille, sia esempio e idea a' supremi DISCORSO PBIMO 1 |7 guerrieri e cnpìtnoi di fortezza e valore. Airiricon- tro l'Odissea, dove vien celebrato Ulisse, dovrà rappieseutarci, come in bel teatro, la vita e i costu- mi d uomo prudente e saggio ; il qual tanto nella fortuna avversa , quanto nella prospera si n^ostri co- stante e perfetto . Contuttocciò non potendo in alcuno trovarsi vera fortezza ed animo invitto, senza la prudenza e con- siglio; uè meno potendosi condurre a fine imprese dilticili,sc la prudenza non venga accompagnala dalla fortezza e dal valore; parve che saggia ed ac- corlamenle Virgilio congiungesse nel suo Enea ed il valore di Achille e la prudenza di Ulisse; sicché poi ed in pace ed in guerra si scoprisse esempio perfetto ad ogni uomo, anzi principe ed eroe, al quale sia commesso supremo imperio, non meno in guerra , che in pace. Anzi, perchè tutte le virtù debbono mirare alta- n'ente , e ( per quanto sia lecito ) a fin celeste e divi- no, adorno il suo Enea di rara pietà e religione: le quali virtù non so io quanto agevolmente vengano espresse e rappresentate in Achille o Ulisse ; giac- ché quegli si mostro iracondo ed acerbo, ed il qual pose tutta sua ragione nella spada; e questi si sco- prì a maraviglia astuto, ed oltre ogni dover sagace, per non dir pronto alle fraudi ed agi' inganni . Una sola cosa rest&va a questo gran principe dei latini poeti: che, cioè, la pietà e religione di Enea non fosse superstiziosa e vana, qual fu la religione della misera e cieca Gentilità : ed ecco che il princi- pe della italiana poesia , Torquato, ha nel sno Gof- fredo raccolte tutte le virtù, che ovvero in Achille, ovvero in Ulisse, o pure anco nel pietoso Enea si ritrovano , aggiungendovi la perfezione delle virtù cristiane; sicché niun esempio di eroica vita e vir- tù può rappresentarsi più perfetto di quello, che in questo gran capitano e cristiano campione si scor- ga e miri. Laonde Erminia , donna si, ma di real sangue, e per lo grido che di Goffredo s'era andato spargendo nella Siria ed Asia^ e molto più per gli 1 tó DISCORSI) TRIMO eroici fatti di lui veduti nel conquisto di Antiochia, dove ella sedeva del re lìgliuola , benissimo infor- mata del suo valore, nell additarlo ad Aladino re di Gerusalemme , cosi ne ragiono: fieramente è costui nato all' impero. Sì del regnar, del comandar sa l' arti: E non minor che duce è cavalièrOj Ma del doppio "valor tutte ha le parti . Né fra turba sì grande uom pili guerriero, O più saggio di lui potrei mostrarti : Sol Raimondo in consiglio, ed in battaglia Sol Rinaldo e Tancredi a lui s' agguaglia (1). Onde anco Aladino così ripiglia : Ben ho di lui Contezza, e ^l vidi alla gran corte in Francia, Quand^ io d' Egitto messaggier vi fui, E l vidi in nobil giostra oprar la lancia . E , sebben gli anni giovinetti sui Non gli vestian di piume ancor la guancia. Pur dava a' detti, all'opre , alle sembianze. Presagio ornai d' altissime speranze (2) . E di tjui è, che con molto decoro, e soprattutto con parole molto accomodale a confermar quel ch'io diceva , al costui cospetto introdotta a ragionare la figliuola del re di Damasco, dico Armida, con pen- siero fallace si , ma pero con supplichevole sem- biante: Principe invitto, disse, il cui gran nome Sen vola adorno di sì chiari fregi , Che l'esser da te vinte e in guerra dome Recansi a gloria le provimie e i regi, Noto per tutto è il tuo valore^ e come Sin dai nemici avvien che s' ami e pfcgit Così anco i tuoi nemici affida e invita Di ricercarti e d' impetrarne aita (3). Dove seguì anco quasi immantinente: Io te chiamo , in te spero ; e in quelV altezza Puoi tu sol pormi j onde sospinta io fui : {\)Can. I/r, st. 5g. (2) Ivi, st. 60. (3) Can. ir, st. 3g. 01SC(tRiO l>Hturi 140 jVè la tua destra esser dee meno avvezza Di sollevar, che d' atterrare altrui: Né meno il vanto di pietà si prezza. Che ^l trionfar dcgV inimici sui : E s^ hai potuto a molti il regno torre , Fia gloria egual nel legno or me riporre (1) . E poco di poi : Per guesti piedi, onde i superbie gli empj Calchi ', per questa man , che''l dritto aita\ Per l^ alte tue vittorie , e per que tempj Sacri a cui desti j e cui dar cerchi aita. Il mio desir ^ tu che puoi solo, adempj ; E in un col regno a me serbi la vita La tua pietà (2). Ma dove lascio io l'alte lodi, colle quali vien cele- brato dagli ambasciatori del nemico re d'Egitto? Uditene , Signori, che io ve ne prego, alcuna parte*. O degno sol, cui d^ ubbidire or degni Questa adunanza di famosi eroi. Che per V addietro ancor le palme e i regni Da te conobbe, e dai consigli tuoi: Il nome tuo, che non riman tra i segni D' Alcide j ornai risuona anco fra noi j E la fama d^ Egitto in ogni parte Del tuo valor chiare novelle ha sparte . A'ié v^èfra tanti alcun che non le ascolte. Come egli suol le meraviglie estreme ; Ma dal mio re con istupore accolte Sono non sol, ma con diletto insieme ; E s'' appaga in narrarle anco più volte, Amando in te ciò di' altri invidia e teme . Ama il valore, e volontario elegge Teco unirsi d" amor, se non di legge . Da sì bella cagion dunque sospinto,, L^ amicizia e la pace a te richiede: E ^l mezzo, onde V un resti ali altro avvinto , Sia la virtù t s^ esser non può la fede (3). (i) Can. IV'. 5/. 4i.(2) hi.st. 62. (3; Can.II,st.6f e seg. 150 DISCORSO rniMo E poco dipoi : Signor, gran cose in picciol tempo hai f alte , Che lunga età porre in oblio non puote : Eserciti^ cittàj vinti e disfatte. Superati disagi e strade ignote ; Sì ch^ al grido o smarrite o stupefatte Son le provinole intorno e le remote : E sebhen acquistar puoi nuovi imperi. Acquistar nuova gloria indarno speri (1). Così costoro 5 a' quali Goffredo dà anco tosto cotale risposta , che bea si mostra degno di si onorate lo- di ; tanto senno, costanza, pietà, e soprattutto cri- stiana fede ed umiltà spiran le sue parole. Ma u- diam di grazia parte anco di tal risposta : Messaggierj dolcemente a noi sponesti Ora cortese, or minaccioso invito : Se^l tuo re ni" ama, e loda i nostri gesti, È sua mercede, e m' è r amor gradito . A quella parte poi, dove protesti La guerra a noi del Pagancsmo unito. Risponderò, come da me si suole j Liberi sensi in semplici parole . Sappi, che tanto abbiam Jinor sofferto In mare e in terra, air aria chiara e scura. Solo acciò che ne fosse il calle aperto A quelle sacre e venerabil mura. Per acquistar appo Dio grazia e merto. Togliendo lor di servita sì dura : Né mai grave nefia, per fin si degno j Espórre onor mondano e vita e regno . Che non ambiziosi, avari affetti Ne spronaro all' impresa, e ne fur guida. Sgombri il Padre del del dai nostri petti Peste sì rea, se in alcun pur s' annida ^ Né soffra che r asperga e che l'infetti Di venen dolce, che piacendo ancida ; Ma la sua man, che i duri cor penetra Soavemente, e gli ammollisce e spetra, (i) Can. II j st. 66. UlSCOatO PBIMO 1^1 Questa ha noi mossi , e questa ha noi conduttij Tratti d^ ogni perielio e d' ogni impaccio ; Questa fa piani i monti e ijiunii asciutti, L" ardor toglie alla state, al verno il ghiaccio , Placa del mare i tempestosi Jlutti : Stringe e rallenta questa ai venti il laccio ; Quindi son r alte mura aperte ed arse : Quindi l' armate schiere uccise e sparse . Quindi l' ardir, quindi la speme nasce , Non dalle frali nostre forze e stanche ^ Non dal l armata , e non da quante pasce Genti la Grecia, e non dall' armi Franche. Pur eh' ella mai non ci al>bandoni e lasce. Poco dobhiam curar ch^ altri ci manche. Chi sa come difende e come fere j Soccorso à" suoi perigli altro non chere (1). Ma dove sì tosto son' io trascorso ^ giacché il no- stro Torquato nel bel principio del suo poema a niun' altra cosa si mostra maggiormente rivolto^ che a scoprirci l'alte ed «roiche virtù del suo Goffredo: e quanto e di senno e valore, e (quello che più im- porla ) di 7('\o , pietà e religion cristiana avanzas- se tutti i principi delT esercito ? Per questo intro- ducendo il gran Padre Eterno dal suo celeste seggio a rimirare i principi dell esercito cristiano (1 quali anco vengono annoverati, e descritti ad uno ad uno ), di Goffredo cosi ragiona : f^ede Goffredo, che scacciar desia Dalla santa Città gli empj Pagani , E pien di fé, di zeloj ogni mortale Gloria , imperio, tesor mette in non cale (2). Quindi è, die fra tanti gran principi e cavalieri sol Goffredo elegge per duce e principe dell' impre- sa, facendo che tosto pien di maestà e di zelo fa- cesse all'esercito lutto ragionamento , il qual al- tro non spira che prudenza , valore e religione insieme; che" perciò mi giova di rammentarne anco parte: (i) Can. II, st. 8i e $egg. (a) Can. I, st. 8. •52 DISCORSO PaiMO Guerrier di Dìo , eh' a ristorare i danni Della sua fede il Re del cielo elesse, E securi fra l'armi e fra gì' inganni Dell'i terra e del mur vi scorse e resse ; Sì eh' abbiam tante e tante, in sì pochi anni , Ribellanti provincia a lui sommes^se, E fra le genti debellate e dome Stese l' insegne sue vittrici e 'l nome : Già non lasciammo i dolci p' gni e 'l nido Nativo noi Cse 7 creder mio non erraj. Né la vita esponemmo al mare infido , Ed ai perigli di lontana guerra. Per acquistar di breve suono un grido F'ulgare, e posseder barbara terra ; Che proposto ci avremmo angusto e scarso Premio, e in danno dell'alme il sangue sparso: Ma fu de' pensier nostri ultimo segno Espugnar di Sion le nobil mura, E sottrarre i Cristiani al giogo indegno Di servita così spiacente e dura. Fondando in Palestina un nuovo regno, Ov^ abbia la pietà sede sicura ,• Nèjia chi neghi al peregrin devoto D adorar la gran Tombale sciorre il voto (1). Queste ed altre cose, che io per brevità tralascio , parlò (juesto glorioso capitano ed augusto campio- ne: e conforme anco a sì nobil ragionamento segui- rono opre eroiche, ed effetti degni di tanto zelo e prudenza. Laonde, ovvero che risponda a' messag- gieri d'Egitto, ovvero che discopra la città santa di Cristo, o ne rimiri e riconosca il sito e la fortezza, o che si opponga all'insidiosa Armida, o pure il sedi- zioso esercito ed i lor capitani affreni , o che ia somma in cento e mille altre opre tanto nel governo dell'esercito, quanto nell oppugnar la città, o col- la spada o con lo scettro, s'adopri , sempre si sco- pre pio, religioso, forte, magnanimo ed augusto. Insomma, chi andrà attentamente considerando que- (i) Can. /, st. Il e seg. BISCORjU PRIMO 153 Sto nobil poema di parte in parie, troverà che più nobile idea di perfetto capitano non potea né imnia- giuarsi , né rappresentarsi di que&ia . Alla (jual nondimeno Enea non cos\ agevolmente arriva , e molto meno Achille, o pur anco Ulisse -, per lasciar Agamennone o altro tale , al quale fosse da Omero ne' suoi poemi dato scettro o governo. Ma già parrai in certa maniera udire alcuno, che a favor di Virgilio cosi si opponga, e ragioni, lo non voglio negar per ora, che Goffredo venga ridot- to a più nobile idea di forte e saggio capitano di A- chille; giacché questi veramente vien rappresentato da Omero non solamente soggetto a passioni amoro- se , anzi (come s'è detto) inesoraaile ed acerbo, ed il qual mostra assai sovente di ripor tutta sua ragion nella forza j ma ancora avaro, crudele e fiero, sicco- me appunto si va scoprendo, mentre incrudelisce nel morto corpo di Ettore , e mentre finalmente lo vende all'afflitto padre. Oltreché le tante lagrime, colle quali deplora la perduta Briseìde, ed il lasciar la nobile e bellicosa impresa per una femminella, non par cosa degna di forte cavaliero ed eroe. Sicco- me anco il dolersi colla Dea Teli per timore , che le mosche (dirollo , benché non senza qualche rosso- re) non facessero oltraggio al morto Patroclo, o piuttosto (per riferir le sue parole) non entrassero nelle sue ferite, con generarvi vermi , sicché il ca- davero ne restasse putrido e deformato^ pare a me affetto e pensiero molto basso e leggiero , e disdice- vole che se ne parli da generoso e costumato cava- liero. L'istesso mi giova credere anco di Ulisse; poiché per tacer quanto bruttamente obliasse la pa- tria, il figliuolo e la pudica consorte, per l'insidiosa ed impudica Circe 5 per lasciar anco le tante astuzie e menzogne , di cui fu si egregio e nobil fabroj per dissimular finalmente con quanta indignila, anzi macchia del suo reale stato si esponesse, quasi ple- bejo 0 giovanetto atleta, al corso traila minuta plebe, con venire anco a sfida e duello con Irò , vilissimo vagabondo ed errone ; va spargendo lagrime in taa- 154 DISCORSO PRIMO la copia, e con tanti gemiti, e (per dirla in breve) con maniere cosi femminili , che ciò solo tia baste- vole ad involargli il nome di fòrte capitano ed eroe. Oltraclic nel viaggio che fa da' Feaci ad Itaca , non solo non da segno alcuno di prudenza e di valore, ma naviga sempre pien d alto sonno o letargo. Laonde, siccome nella nave vien da' marina] riposto dormendo , e dormendo fa il passaggio ^ cosi dor- mendo ancora vien esposto nella sua patria, mo- strandosi piuttosto stupido ed ebro , che dando mo- stra alcuna di senno e fortezza. Queste cose, dico, vo'conceder io e di Achille e di Ulisse ; soffrendo anco, se pur tanto ricerchi e brami, che Achille sem- bri or quasi imbelle e tenera donzella , tutto effem- minato e molle; che tal sembra per gli amori e per r ozio , e molto più per li tanti sospiri e lacrime; o- ra a guisa di selvaggio e famelico leone , tutto ira- condo , implacabile , superbo e fiero; che tale ap- punto si scopre al fine contro Ettore , ed in batta- glia : e che Ulisse d'altro non si mostri composto, che di astuzie, lagrime e sonno ; giacché rade volte, o non mai da sonno e da pianti , o da tesser ingan- ni si sta lontano . Che più ? voglio io persuadermi , che il tuo Torquato a bello studio ci dipingesse i due ambasciadori del re d' Egitto , Alete, dico, ed Argante, colle insegne ( per cosi dire) e colori di Ulisse ed Achille, per mostrar, con pace di Omero, che que' colori ed insegne non fossero di saggio e vero eroe, ma ben di astuto messaggiero, o superbo campione : Parlar facondo i e lusinghiero , e scorto^ Pie^hcK'oli costumi, e vario ingegno jàl fìnger pronto, all' ingannare accorto} Gran fabro di calunnie adorne in modi Novi, che sono accuse , e paion lodi (1) . Questi è Alete, formato quasi tutto di Ulisse. L altro è il circasso yi rgante , uom che straniero Sen venne alla regal corte d" Egitto : (i) Can. //, 5f. 58. DlSCOKSO PRIMO 155 Ma de^ satrapi fatto è dell' impero j E in sommi gì adi alla milizia ascritto ; Impaziente j inesorabile fero j Neir arme infaticabile ed invitto ^ D^ ogni Dio sprezzatorcj e che ripone Nella spada sua lesse e sua ragione (1) . E questi anco quasiché rappresenta al vivo Achil- ce . Sicché siasi pur vero, e concedasi senz' alcun contrasto, quanto andavi dicendo delli due eroi e duci d'Omero 5 tuttavia non so io, se tanto debba concedersi di Enea: perciocché quando non potes- se, 0 dovesse portar pregiudizio a Virgilio Tessere stato Idolatra e Gentile; e che perciò bastasse che e- gli avesse descritto il suo Enea forte, pio, religioso, ed insomma perfetto in quello staio; forseché Enea non sarebbe da posporre a Goffredo , anzi in alcune cose da anteporre? sapendosi cbe, mentre \irgilio si mostrò intendentissimo de' riti religiosi e sacri (chiamo per ora religiosi e sacri confornje allo stato della misera Gentilità ) e, per usar le parole di Ma- crohw: Totius j uri s tum pontificii, tum auguralis (2); queste cose certamente, come quelle che per lo più vengono espresse e rappresentate in Enea , li con- cilierebbono maravigliosa lode di pietà e religione , ed aggiungerebbono alto splendore alla fortezza e prudenza^ con cui vien descritto e rappresentato. E certo, mentr' Enea e ne' sacrifìcj , e negli augurj , e nel consultar gli oracoli, ricercandone la volontà degli Dei , ed in altri simili atti si mostra cosi accu rato e pronto} non so io vedere, come Goffredo li resti io ciò punto superiore , anzi né anco uguale. E che ciò sia vero, mirisi di grazia Enea vincitore: ed ecco che ben tosto, tralasciata ogn' altra benché rilevante cura, ne rende a Dio i dovuti onori. .... Enea e quantunque il tempo,, U officio e la pietà pia lo stringesse y4 seppellire i suoi; quantunque offes9 Da tante morti j ''l cor funesto avess; (r) Can. II, st. 59, (2) Lib. IIj Satur. 156 Discorso primo Tosto che 'l Sole apparve , il voto sciolse Della vittoria {\) 11 quale ufizio ed alio di religione fa si sovente, che non è necessario rammenlaroe i luoghi : così anco nel rendere agli ambasciadori latini i morti corpi, affinchè ricevessero sepoltura , ci &i scopre di singo- iar pietà , quando così ragiona: non pur pace^ Siccome voi chiedete j io vi concedo Per color che son morti , ma co' vivi P^e V ojffro^ e la vi chieggio (2) . Ma qual venerazione e riverenza non mostra verso i Dei , quando per aver egli sparso il sangue , ben- ché nemico , non ardisce di toccar le cose sacre ? tu colle tue mani Sosterrai j padre mioj de' santi arredi, E de" patrii Penati il sacro incarco; CK a me sì lordo, e sì recente uscito Da tanta occision, toccar non lece. Pria che di vivo fiume onda mi lavi (3) . Insomma Enea, come giusto e pacifico, dissuade la guerra , ed invita alla pace: come coraggioso e forte, combatte virile ed animosamente: come valoroso e felice, riporta molte vittorie: come pio, usa gli ultimi ufficj di pietà al padre; ponendo insieme ogni indu- stria per far risorgere l'arsa e caduta patria: final- mente, come religioso, salva i Dei Penati, e sovenlis- sime volte porge voti e sacrifica a Dio \ sicché ed in guerra ed in pace si mostra esempio raro ed il- lustre di perfettissimo capitano . E perlanlo con molta ragione Ilioneo, per restringere in breve l'al- te sue virtù, disse a Didone: Rex erat Aeneas nohis, quo justior alter Nec pietate fuitj nec hello major et armis (4). Colle quali parole piene di eroica maestà (che perciò appunto ho voluto recarvi 1' istesse latine voci) mo- stro che i fatti benissimo corrispondessero al nome, e che perciò fosse degno d'alta e quasi divina lode : (0 Lib. II, ad init. (2) M. (3) Ivi . (4) Lib. I. DISCOBSO PRIMO 157 per lasciar ch'egli si scopre magnanimo , soflcren' te delle faliclie, bramoso della salute de' suoi Troja- ni, elo(£uenie , pieno di bellezza, di maestà e di grazia . Queste cose, dico, parrai quasi di udir opporre al nostro gran Torquato a favor di Virgilio. Ma io, tuttoché reputi degna di molta lode l'idea, che di nobile e magnanimo capitano ed eroe ci vien da Virgilio rappresentata in Enea ; nondimeno non so se non anteporre tuttavia quella, che per mezzo del suo Goffredo ci va rappresentando il Tasso. E pri- ma siasi, che Enea, eziandio co' riti superstiziosi e vani , dovesse commendarsi di molto rara pietà e religione (che di ciò si dirà poco dappoi)-, nondime- no non resterebb'egli perciò a Goffredo uguale, non che superiore in modo alcuno : e questo (siami pur lecito ornai di confessarne il vero ) per essersi Enea lasciato indurre da Didone ad atto disonesto ^ con porgere indegno esempio al giovanetto Asca- nio,ed esponendosi a gran pericolo di restar perpe- tuo mancipio e drudo d'una femmina, e favola del volgo , se dal Cielo non veniva risvegliato dal suo amoroso letargo. Ed in vero era già Enea talmente preso dall'indegno amor di Didone, che poco ornai si ricordava degli oracoli ed augurj , o pur anco delle visioni e dei comandamenti avuti di navigar ia Italia, per porre ivi i fondamenti di Roma e dell' im- perio del mondo: anzi avea già rivolto l'animo ad er- ger le mura ed edificar l'incominciala città di Car- tagine , per ivi con Didone far sua stanza e dimora . Laonde, mentre il re Jarba di ciò si sdegna , e con Giove se ne querela : questo or novello Pari Con quei suoi delicati e molli eunuchi, Mirrato il mento e profumato il crine ^ F^a del mio scorno e del suo furto altero ; Giove air incontro , udito sì 'ndegno fatto e sì giuste querele, non solamente l'ascolta, e si rivolge a ri- mirar questo novello Paris , anzi 1' uno e 1' altrO amante : 158 DISCORSO PSTMO ■ . . . . quando il padre udilloj E gli occhi inver' Cartagine torcendo^ Vide gli amanti , eh' a gioire intesi Avean posti in oblìo lafanta e i regni; ma ancora, mosso a grave sdegno, viene astretto a chiamare e mandar Mercurio , acciocché agramente ne lo riprenda : Onde volto a Mercurio: va^ figliuolo y Gli disse , chiama i venti, e ratto scendi La Ve sì neghittoso il trojan duce Bada in Cartago, e ' l destinato impero Non gradisce e non cura ; e ciò gli annunzia Da parte mia : che F^enerc sua madre Non per tal lo mi diede; e eh' a tal fine Non è stato da lei dall' armi greche Già due volte scampato . Ella promise , Ch" ei sarebbe atto a sostener gì' imperi,, E le guerre d' Italia; a trar qua suso Li progenie di Teucro; a porre il freno j A dar le leggi al mondo . A ciò , se 'l pregio Di sì gran cose e della gloria stessa Non muove luij perchè non guarda al figlio? Perchè di tanta sua grandezza il froda. Di quanta fian Lavinio ed Alba e Homa Ne' secoli avvenire ? E con che speme. Con che disegno in Libia fa dimora ? E co"" nemici suoi ? Navighi insomma: Questo digli in mio nome (1 ) . Queste sono le riprensioni ed i comandamenti di Giove ; e perciò anco poco dappoi segue Virgilio : Appena giunto Era in Cartago , che d' avanti Enea Si vide, intento a dar siti e disegni Ai superbi edificj: avea dal manco Lato una storta di diaspro t d' oro Guarnita , e di stellate gemme adorna; Dal tergo gli pendea di tiria ardente Porpora un ricco manto ; arnesi e doni {i)Lib.ir. DlSCOnsO PRIMO ,159 Della sua Dido : eh" ella stessa intesta yivea la tela, e ricamati ifregj . NèU vide, pria, che gli fu sopra j e disse: Tu te ne stai sì neghittosamente ^ Enea, servo d' amor , ligio di donna, ji fondar V altrui regno j e"*/ tuo non curi? A te mi manda il Begnator celeste, Chio ti dica in sua vece: Che pensiero. Che studio è^l tuo? Con che speranza induci In queste parti ? Se "/ tuo proprio onore ^ Se la propria grandezza non ti spinge ; Che non miri a" tuoi posteri , al destino, Alla speranza del tuo figlio Julo, A cui si dee il glorioso impero De 11^ Italia e di Roma? (1) Onde non è poi maraviglia , che bea tosto Enea : ohmutuit amens ; (elle mi giova recar pure le slesse parole di Virgilio) Arrectceque horrore coma; , et voxfaucibus hassit: Ardet ahire fuga (2). Questo era lo slato , al quale per indegno amore di una donna venne ridotto Enea. E pure dall'altra banda è certo, che Goffredo da uguali , anzi da mol- to maggiori vaghezze e slimoli (che ciò ben si ve- de per r effetto , che ne segui in tanti altri guerrie- ri) fu allettato, e provocato dalla bella ed insidiosa Armida; uè però si piego un punto ^ anzi con animo costante e casto ributtò sempre i colpi e le saette d' amore, facendosi scudo adamantino colla virtù della continenza cristiana. E che ciò sia vero, udite. Si propone Idraotte, re di Damasco e mago famosissi- mo, d' impiegare ogni sua cura, e tutte le magiche arti e gl'inganni, per atterrare o dissipar l'esercito cristiano; ed ecco , signori , che mentre ciò rivolge neir animo , segue quello che dall' istesso Torqua- to udirete or' ora : In questo suo pensier il sovraggiunge 1/ Angelo iniquo, e più V instiga e punge . {i)Lib.IF.{2)Ui. Contro^. T.IF. ii ì { 11)0 DISCORSO PBIMO Esso il consiglia, e gli ministra i modi Ondt r impresa agevolar si puote . Donna, cui di beltà le prime lodi Concedea /' Oriente, è sua nepote. Gli accorgimenti e le più occulte frodi j Ch^ usi o femmina o maga, a lei son note : Questa a sé chiama, e seco i suoi consigli Comparte , e vuol che cura ella ne pigli. JDice : O diletta mia, che sotto biondi Capelli, e fra sì tenere sembianze. Canuto senno e cor virile ascondi, E già nell' arti mie me stesso avanze. Gran pensier volgo ; e se tu lui secondi, Seguiteran gli ejfetti alle speranze : Tessi la tela eh" io ti mostro ordita. Di cauto vecchio esecutrice ardita . Vartne al campo nemico: ivi s' impieghi Ogn^ arte femmind, eli amore alletti. Bagna di pianto e fa melati i preghi j Tronca, e confondi co^ sospiri i detti . Beltà dolente e miserabil pieghi Al tuo volere i piìi ostinati petti : Vela il soverchio ardir con la vergogna, E fa manto del vero alla menzogna. Prendi fs" esser potrà J Gojfredo alV esca De^ dolci sguardi e de' bei detti adorni. Sì eh' all' uomo invaghito ornai rincresca L' incominciata guerra, e la distorni. (1). Questi sono i consigli del Mago. Ma quale è la bel- lezza dì costei, la quale si accinge all'impresa? U- dilela da chi la narra , o piutlosto con vivi colori ce la dipìnge : Argo non mai, non vide Cipro o Delo D^ abito o di beltà forme sì care . D' auro ha la chioma, ed or dal bianco vela Traluce involta, or discoperta appare . Così, qualor si rasserena il cielo. Or da candida nube il Sol traspare, (i) Canto IV) st. lì, e scgg. DISCORSO PRIMO 161 Or dalla nube uscendo, i ra^gì intorno Più chiari spiega, e ne raddoppia il giorno. Fa nuove crespe l'aura al crin disciolto , Che natura per sé rinc'respa in onde . Stassi l' avaro sguardo in sé raccolto, E i tesori d' Amore e i suoi nasconde . Dolce color di rose in quel bel volto Fra l' avorio si sparge e si confonde : Ma nella bocca, ond' esce aura amorosa. Sola rosseggia e semplice la rosa . Mostra il bel petto le sue nevi ignude. Onde il foco d^ Amor si nutre e desta : Parte appar delle mamme acerbe e crude. Parte altrui ne ricopre invida vesta; Invida , ina s^ agli occhi il varco chiude, L' amoroso pensier già non arresta; Che non ben pago di bellezza esterna. Negli occulti secreti anco s^ interna . Come per acqua, o per cristallo intiero Trapassa il raggio, e noi divide o parte. Per entro il chiuso manto osa il pensiero Sì penetrar nella vietata parte : Ivi si spazia, ivi contempla il vero Di tante meraviglie a parte a parte; Poscia al desio le narra e le descrive, E ne fa le sue fiamme in lui più vive (1) , Quindi è , che giunta all' esercito, tosto accende ben. mille e mille cuori, e tra gli altri Eustazio germano di Goffredo ; il qual Eustazio con tai tocì l'acco- glie e saluta : Donna, se pur tal nome a te conviensi; Che non somigli tu cosa terrena. Né v'èjiglia d' Adamo, in cui dispensi Cotanto il Ciel di sua luce serena ; Che da te si ricerca? e donde viensi'? Qual tua ventura, o nostra or qui ti menai* Fa eh' io sappia chi sei; fa eh'' io non erri Neil' onorarti, e s' è ragion, m'atterri (2). {i)Can. IF, st. xc) e segg. (2) L>i, st. 35. ^ 1G2 DIseORSC» l'RIMO Così avviene, che con alto stupore di beltà così rara viene Armida condotta a Goiiredo : dove con lanie lusinghe, e con tant' arie spiega la sua ambasciata , anzi cerca di accender ciascuno all' amor suo , e far suo prigioniero , che niun quasi non resta della sua bellezza ferito e preso . Solo GofFifedo costante ed immiibile si dimostra, dandole nobii repulsa, e mo- strandosi incontro alle sue preghiere e lagrime qua- si saldissimo scoglio. E che ciò sia vero, udite: Ma, hencìiè sia mastra d^ inganni, e i suoi Alodi gf^ntilij e le maniere accorte, h bella sì, che 7 del prima, né poi Altrui non die mas.s.ior belL'zza in sorte, T'al che del campo i p ih famosi eroi Ha presi d^ un piacer tenace e forte i Non è però che all' esca de^ diletti Il pio Goffredo lusingando alletti. In van cerca invaghirlo, e con mortali Dolcezze attrarlo all' amorosa vita} Che guai saturo augel, che non si cali Ove il cibo mostrando altri l' invita. Tal ei, sazio del mondo, i piacer frali Sprezza, e sen^ poggia al del per via romita^ E quante insidie al suo bel volto tende U infido Amor, tutte faUaci rende (1). E certo le passioni amorose in un capitano di e- sercito, o principe di repubblica, sogliono essere occasione di tanti errori, come per l'esempio di Olo- ferne, Annibale , Marc' Antonio, e mill' altri è pa- lese , che non so io vedere come Virgilio non mac- chiasse V idea del suo capitano ed eroe . Quindi e che Scipione per la continenza principalmente vien anteposto a tutti i capitani romani : siccome egli ebbe anco la continenza per fondamento, e presidio ( per così dire ) del militar valore . Cosi Alessandro, se da niun fatto acquistò nobiI fama e grido, l'ac- quisto senza dubbio dalla continenza che mostrò verso le bellissime regine sue prigioniere. On- de a me certo nell' Odissea , unica e principal vir- (i) Can. V, J^ 6i e se^. Discorso trimo K'kI tu pare in Ulisse la continenza ; poiché , sebbe- ne con Circe si scoperse poco pudico , mostrò al- nieno in qualche parte di sostener con doglia l'a- more di Calisso. E pertanto meglio fora stato che Virgilio, quando pur gli giovava temprare e ad- dolcire la gravità della sua Musa con amorosi afTclti, avesse espressi questi in alcun personaggio inferiore ad Enea, ed in cui non si ricercava il sommo ed il perfetto (come appunto fece il Tasso in Ruggiero , Tancredi ed altri tali), come in Enea: il quale molto meglio colla continenza , a guisa di GolFredo , che con lascivi amori , si sarebbe mostrato esempio di valoroso capitano ed eroe. E se pur volesse alcuno che Enea fosse in parte degno di scusa, per esser in- corso in affetto che tanto può ne' cuori umani, ed a cui sovente soggiacciono anco uomini di non poca fama e valore, come (per lasciare gli Ercoli , i Te- sei, e, come favoleggiaron gli antichi, 1 istesso Giove) si riconobbe in Augusto, Trajano,ed altri tali^ è ant;o tanto più degno di lode Goffredo, il quale eoa tanta mostra di vera continenza e virtù diede re- pulsa eziandio agli affetti di terreno amore. Laonde se pur Torquato , ancora dopo aver descritte l'amo- rose frodi e gl'inganni di x\rmida, dicendo: Queste far l^ artij onde milT alme e mille Prender f articamente ella poteo; Anzi pur furon V arme onde rapille. Ed a forza d^ Amor serve lefeo (1); pare che in parte vada scusando simili errori, cosi seguendo : Qual meraviglia orfia, se ■*/ fiero Achille D^ Amor fu preda , ed Ercole e Teseo; S' ancor chi per Gesù la spada cinge j L'' empio ne^ lacci suoi talora stringe? non perciò sofferse, che il suo Goffredo divenisse mancipio di sì fiero tiranno, ma ben colmo di santo zelo e caldissimi affetti rappresentollo . Né anco è vero , che Virgilio, uell' adornar il suo Enea di va- na religione e superstizioso culto , meriti in tutto ^6■^ Biseonso PBiMfj scusa.: né quando anco la rnerilabst;, potrebbe perciò Enea giustamenie gareggiar con Goffredo di religio- ne e pietà,- percioccliè potè ben essere che il volgo sciocco non riconoscesse agevolmente quei riti per superstiziosi e vani , anzi pieni di diaboliche larve ed ingant)i , e che perciò riputasse religione quello che era mera superstizione; ma uomo prudente e saggio, quale dee essere il poeta, il qual prenda a formar idea di eroica e perfetta vita, non poteva sen- ra qualche biasimo dissimulare la falsità di quella , e molto meno come di pregiatissima virtù adornarne il suo eroe. Insomma il creder che dal canto o volar d' augelli , o pur dalle viscere di morto animale, an- zi (in dall istesso tergo, ci' si offerisca augurio di fe- lice o sfortunato avvenimento , e perciò l'avvolger Enea in si superstiziose osservanze , è cosa anzi sciocca , che no . Nù peravventura molto maggior conto si dee fare dell'infinito numero delli Dei de' Gentili; giacché senza ragione o fondamento alcu- no, e con molte bruttezze venivano introdotti; sic- come anco non men brutta che superstiziosamente adorati. E sebben pare eh' e' basti al poeta l'opinio- ne della volgar moltitudine, e perciò non li disdi- rebbe andar talora dissimulando la verità, la quale è da'scienziati e dotti (ben<'hè in materia sopra ogni altra grave , come é la religione , ed in cose le qua- li né anche abbiano in se stesse del verisimile, an- zi contengono brutto e pernicioso errore, non so io quanto sia lecito al poeta eroico seguir l'opinione del volgo); tuttavia altro è peravventura il meritar qualche scusa , come avverrebbe a Virgilio nell'a- ver finto supertizioso Enea ; altro il meritar alta lo- de, come avviene al nostro Torquato, nell' aver or- nalo Goffredo di vera e perfetta religione. Sicché re- sta pur chiaro, che Goffredo tanto per aver fatto no- bil resistenza agi' incontri di terreno amore, quanto per la perfezione della pietà e religione, si scopre ad Enea di gran lunga superiore. Perciocché qui non mi giova rammentare che Enea, non ostante i tanti oracoli e comandamenti divini, e le riprensioni fat- BISCOPSO PRIMO 165 teli da Mercurio per ordine di Giove, acciocché na- vifja.sse ili Italia, di nuovo ritrovandosi in Sicilia, e vedendosi ardere alcune navi, coniincia quasi ad inclinare il pensiero Hi far sua stanza in Sicilia: Di sì fero accidente Enea turbato. Molti e graui pcftsier tra sé volgendo , Stava infra dui : se per suo nuovo seggio (^ Posto il Fato in non calerei s^ eleggesse Della Sicilia i campi , o pur di lunge Cercasse Italia (1). Né meno ho io per bene di fermarmi per ora in mostrare che Virgilio, mentre si scopre intento a nobilitar maggiormente l'origine di AugustOj ed in- nalzar la gloria de Romani , con deprimer insieme Annibale e 1 Cartaginesi , possa parer in molte co- se poco ricordevole dell'istorie, e ( quello che più importa) non curante del verisimile e decoro; o'^^" che il far Enea ed Ascanio , ed al fin Romolo pro- genitore della gente Giulia (2) , sendo morto Romo- lo senza lasciar prole di alcuna sorte, ed il sospin- ger Enea in AiFrica , dove non mai pervenne; sicco- me anco il far che Enea in Cartagine passasse amo- ri ed altri fatti con Didone, oltre esser lontanissi- mo dalla verità dell' istorie, è anco molto lontano dal verisimile ; poiché costei insomma non solamente fiorì qualche secolo dopo, ma ancora fu celebrata per donna molto pudica e saggia; né può se non a torto , e con menzogna venir fatta impudica, e ad- dotta a furore, sicché brami la posterità della sua gente tutta perfida e traditrice : così anco non mi tratterrò in mostrare ch'Enea, il qual destinò mol- li fortissimi giovani a morte nell' esequie di Fal- lante (3), incorresse in fiero e barbaro costume,- poi- ché, sebbene ciò fece ad esempio di Achille, il qua- le nell'esequie di Patroclo aveva fatto l' istesso ; tut- tavia ei non resta che non fosse atto atrocissimo e pieno di barbara crudeltà. Né meno passerò a com - mendare e celebrar Goff'redo, e la sua rara costanza (i) Lio. K (2) Lib. FI. (3) Liù X e XJ. 16tt DISCORSO rHIMO e pietà, con metter ia campo il sospetto e 1' opinio- ne, la qual parve che nascesse di Knea, (jiiasichè a- yesse tradita la propria patria j avvegnaché né io agevolmente presto fede a tale opinione o sospetto di alcuni (tuttoché tra questi non manchi istorico grave, il cjual ne faccia chiara menzipnc), né il no- stro Golfredo ha bisogno di fondare ed innalzar la mole della sua gloria sopra l'altrui mine. R sebbene non mancano di qiiclli, i quali vanno mostrando che Vir^^ilio molte cose inserisse nell' Eneide , per Si ricoprire tal macchia e tor via tale opinione e sospet- to (com'allorchè nell'incendio e ruina di Troja in- trodusse Enea già quasi risoluto di dar la morte ad Elena, come a traditrice di Deifobo e di Troja insie- me ; o come allorché l'ombra d'Ettore altamente lo- dollo per aver dato ampia mostra di pietà verso la patria); tuttavia io mi rallegrerei che Enea, e l'idea che per mezzo di lui ci vien proposta di sommo ca- pitano ed eroe, fosse eziandio più gloriosa ed illu- stre di quello che il mondo stimi ; poiché ancora mi resterebbe largo campo di esaltar Goffredo, con an- leporlo tuttavia ad Enea : tuttoché questi nel resto si scopra pio , magnanimo , ed insomma a maraviglia ornato di nobili ed eroiche virtù . Ma che sto io dicendo , e quasi vantando l'utiico pregio del nostro eroe ? E perché non piuttosto ab- braccio sì bella ed opportuna occasione di far ciò tuttavia più manifesto e chiaro ? Siasi dunque Enea forte, magnanimo e tollerante: siasi paciflco, pio, re- ligioso e giusto : siasi prudente, saggio, eloquente, felice, pieno di bellezza, di grazia e di maestà , e perciò anco non si rammenti per indegno il suo a- more ; né sia vero , che da questo , o altro raen rego- lato aftelto si scemasse in lui ) Cun. IH, st. 58. ,3) Can. XX. st. 7. (4) Can. II, it. 66. niscoRso rRiMO 179 Oh glorioso capitano , oh molto Dal aro n Dio custodito, ai gran Dìo caro! A te guerreggia il cielo , ed ubbidienti f^cngon ,cìiiainati a suon di trombe ji venti {\^. E per tanto egli è pur vero, che nella Gerusalorn- trie liberala del nostro gran Torquato ci venga e- spressa , e rappresentata idea di perfetto capitano ed eroe: in guisa che non solo di gran lunga avatiKi l'Iliade ed Odissea di Omero (che di ciò non può ornai dubitarsi punto da chi con sano occhio e giu- dizio paragonerà GolIVedo con Achille ed Ulisse )j ma ancora agguagli , e nuu poco anco avanzi l'E- neide di Virgilio . E sebbene potrebbe alcuno di nuovo opporsi , quasiché il Tasso assai sovente imi- ti e segua Omero e Virgilio 5 anzi quasi di parte in parte (uè senza gran licenza) delle loro inven- zioni e favole si serva e vaglia; e perciò la lode di Torquato ridondi in lode di Virgilio ed Omero: a tutto ciò si risponderà abbondantemente a' suoi luo- ghi . lutatilo (per lasciare , che Omero seguì Corin- uOj Dafne , Palauiede , Siagro ed altri : e Virgilio si è anch' (gii largamente servito di Teocrito, Esiodo, Arato ; e per ragionar dell' Eneide, di Omero, Ennio, Lucrezio, Pisandro , Appollouio e qualch' altro) basti, che quando anco il Tasso abbia non solo imi- tate assaissime invenzioni di Virsilio e d'Omero, ma aiìcora se ne sia largamente servilo-, tre circo- stanze vi concorrono, le quali non permettono che d'altri sia la gloria, che sua. La prima è, che qua- lor alcuno imiti Autore di straniera e peregrina lingua , e perciò per esprimere ed adornare i concet- ti con maniere a noi proprie ed accomodate, li con- venga variar le parole , e quasi la frase e locuzione tutta i senza dubbio è lecito valersi dell'invenzioni altrui alquanto più larga ed arditamente , che qualor neir isiesso idioma si poetasse ; posciachè la varietà delle parole, anzi frasi anco ed elocuzione, oltre il render l' imitazione di gran lunga più malagevole {i)Can.XFm,st.m. 1H0 DISCORSO PRIMO di ([ucllo cli'ei fora , quando mulatidosl sol le per- sone, i tempi e slmili circostanze, si andassero in buona parte ritenendo le istesse parole e maniere di dire, fa che il fatto imitato, anzi l'istesso furto non cosi agevolmente si conformi colla sua idea , e molto meno si riconosca. E perciò 1' imitar che si fa in diverso idioma , può senza alcun dubbio esser talora più audace che nell' idioma istesso; tanto più quando s'imiti poeta di molta antichità, e per- ciò a noi non meno peregrino e strano per disusate invenzioni e concetti , che per frasi e maniere di dire. La seconda è, che T italiano poeta eroico, per l'obbligo da noi preso e comunemente ricevuto delle rime, le quali rendono la tessitura di gran lunga più difficile che nella latina o greca favella , è degno di larga scusa, qualor non solo imiti , ma in parte prenda l'altrui invenzioni e concetti : e que- sto, perchè la nostra lingua, come quella che a dir- ne il vero è men copiosa della latina, e rispetto alla greca è poverissima, è anco molto povera di rime: né può da noi , mentre tentiamo di esprimer le cose proposteci , e vestire (per così dire) I concetti, a- dattarsi per appunto al disegno e pensiero . Anzi bene spesso in vece di accomodar la rima al concet- to, siamo astretti piegare ed accomodar il concetto alla rima , con interporre a viva forza e parole e sentenze fredde ( per così dire), o mendicate e distor- te. Dovechè all' incontro la latina, e molto più la greca favella, come quelle che oltr'esser abbondan- ti e copiose, son di sì fatti legami libere e sciolte , porgono all'eroico Imitatore ampia comodità di rap- presentar piana e felicemente i pensier nostri: per lasciar che gì' italiani poeti, non contenti di essersi senza necessità posti da se stessi in tante strettezze, obbligandosi alle rime, hanno anco eletta (parlo de' più nobili rimatori ) dizione così magnifica e grande ( cosa che non con tanto rigore hanno fatto i Greci e Latini, tuttoché potessero più comodamen- te dardi bando alle parole e frasi populari e comu- ni), che riuscendo poca parte delle italiane parole Discorso primo 181 atta all'eroico poema, sono astretti a ricorrere a troppo frequenti metafore e perifrasi , ed insomma a maniere di parlar gonfle, improprie ed oscure, senza poter anco far largo volo. Anziché l'italiano poeta in sì licenziose imitazioni non solo è degno di scusa , ma ancora, qualor bello e gentile ne rie- sca il poema , è degno di rara lode : tante e tali sono Je difficolta , le (lualì porta (oltre la povertà, come s'è detto, della nostra lingua) l'obbligo di rinchiu- dere in minor giro di versi i concetti (tuttoché ap- pena talor possa l' italian poeta esprimer con molte parole quello, che il latino e molto più il greco e- sprime con assai poche), e sopra tutto la già detta necessità delle rime ; necessità nel vero tanta e ta- le , che qualor io vado paragonando questa maniera di verseggiare colla latina e greca , parrai che ab- biamo fatto appunto a guisa di viandante, il quale lasciato un non malagevole, o pur anco un piano e facil sentiero, si ponga a camminare a guisa di giocolatore ( per cosi dire ) o funambolo sopra una corda, ovver' anco sopra un filo di spada ; che certo il poeta greco per l'ampie licenze e comodità cam- mina quasi per pianissima ed agevolissima strada ; il latino ( come è molto meu licenzioso ) cammina per sentiero men piano si , ma non però gran fatto diffìcile e malagevole : ma l'italiano rimatore cam- mina per istrettissimo calle , anzi ( come ho detto ) quasi sopra filo di spada o tesa corda . E di qui è che fra' nostri poeti molto rari sono coloro , ì quali per la povertà e necessità della rima non incorrano bene spesso in vanità e leggerezza, e ( per dirla iu breve) in scogli o mostri, come s'andrà mostrando a più opportuno luogo. La terza ed ultima è , per- ché sebbene il Tasso si è veramente servito assai ampiamente di Om«ro e Virgilio ; nondimeno ha col suo giudizio e stile data maravigliosa peifezio- ne a' concetti ed invenzioni altrui, posciachè gli ha rappresentati con leggiadria, vaghezza, gravità e maestà tale, che il rame (per cosi dire) di Omero, 182 uiscuHso reiMo « l'argento di Virgilio, in Torquato sembra fino e lucidissim' oro : tanta e così ammirabile è la dol- cezza , con cui vien da Torquato condita e tempe- rata la gravità e severità di Virgilio, ed accresciuto di vaghezza Io stile; siccome anco mitigata e ripre- sala soverchia lunghezza di Omeroj il qiial nel vero, piuttosto per molta abbondanza di parole e ridon- danti repetizioni, che con raaravigliose invenzioni, aggrandì , o piuttosto allungò i suoi poemi. Oltre- ché le molte minuzie ( per così dire) e leggerezze di Omero (fossero o del tempo ed uso, o dell'ingegno istesso del poeta ) sono state da Torquato accorta- mente temperate o schifate; siccome potrà agevol- mente riconoscer ciascuno , e come noi nel parago- narli mostreremo a suo luogo. Anzi clii andrà raffrontando la Gerusalemme liberata del Tasso coir Italia liberata del Trissino , vedrà che nin- na cosa ha maggiormente pregiudicalo all' Italia liberata di questo diligentissimo imitator di Ome- ro , che il non aver egli fuggite ( quello che sag- giamente ha fatto il Tasso) le tante minuzie e leggerezze, per non dir vanità e bassezze di Ome- ro , per l'imitazioni delle quali non poteva 1' ila- lian poema riuscire se non freddo , e privo di gra- zia e decoro. Ma perchè abbastanza per avventura si è mostra- to , che il nostro Torquato neil' idea del perfetto capitano ed eroe meriti ampia lode , con restar di non poco superiore a Virgilio, e di gran lunga pa- rimente ad Omero , sarebbe omai tempo di venire a più stretto paragone tra i predetti poeti eroici, pas- sando a riconoscere e paragonar non solamente, quel più che tuttavia appartenesse all' invenzione delle cose da ciascun di loro rappresentate, e ( per dir in breve ) all'azione e favola; ma ancora alla di- sposizione ed elocuzione, o pur anco seguendo l'or- dinedelle parti, nelle quali vien divisato da Aristo- tile l'eroico poema. Il che, Signori, con vostra buona grazia, giac*;hè per ora l'angustia del tempo non lo DISCORSO FKIMO 18^ permette, farò io altra Cala. E quand'anco non mi suc- ceda di poter in un solo ragionamento spiegar quan- to mi resta (che ciò peravventura fia malagevole, e forse anco impossibile), non dubito io ch'altri eoa miglior ingegno e prontezza , sebben coli' istessa guida , sia per supplire all'imperfetto mìo,conii- nuaudo fin' al fine sì piacevole, dotto e nobile argo- mento. Ho detto . DISCORSO SECONDO DELL' ACCADEMICO NOMISTA CHE ir. TASSO NEL SUO GOFFREDO ABBIA CONSERVATA l' unita* della favola molto meglio di OMERO E DT VIRGILIO.* E CHE INSOMMA NELt' INVENZIONE DEBBA. all'uno e all'altro ANTEPORSI. VTran saggio, s'io non erro, e ampia mostra abbia- mo dato dell'eccellenza e perfezione della Gerusa- lemme liberala, mentre s' è andato mostrando e pro- vando, che in questa risplenda molto più nobile idea di perfetto capitano ed eroe, che nell' Iliade e Odissea di Omero, o nell'Eneide di Virgilio, Gon- luttocciò non pretendo io, che di qua frattanto altri conchiuda indubitatamente, che la Gerusalemme li- berata sia e dell'Eneide, e dell' Odissea e dell'Ilia- de più perfetto poema, s' io non avrò inoltre mostra- to , che il nostro Torquato non resti ad Omero o Virgilio inferiore in alcun' altra parie del suo poe- ma , ma bene o superiore o eguale. E certo, non es- sendo cosa impossibile, che il Tasso abbia formalo uu capitano più perfetto d'Enea, ovver d'Ulisse e Achille, e nondimeno nell'elocuzione e stile, o nel- la disposizione e ordine sia stato men accurato e diligente, ed insomma inferiore ad Omero e Vir- gilio, o pur anco nell'invenzione dell' istessa mate- ria (potendo peravventura divenire viziosa per mol- te e molle cause) e composizion della favola, si sia scoperto men giudizioso e accorto; senza dubbio fa di mesliero paragonar tuttavia questi gran lumi del- l'eroica poesia, e riconoscerne l'ingegno e artili- cio in ogni parte. E questo è quello, che intendiamo di andar mostrando ne'seguenti discorsi ; facendo prima chiaro, che Torquato abbia fatto elezione di uiseonso sscondo 185 argomento e 'materia alta e capace a ricever forma di eccellentissima favola, anzi che il Goffredo con ef- fetto abbia ricevuto eccellentissima forma , e tutti gli ornamenti che si possono in eroico poema de- siderare 5 sicché non solamente per la invenzione, ma per la disposizione , ovver ordine e perfezione delle parti, ed insieme per la locuzione e lo «tile me- riti il primo luogo . E, per cominciar dall' invenzione della materia e azione , molte sono le condizioni le quali si ricer- cano , aftinché il poema ne riesca perfetto. Tra le quali va proponendo Aristotile nel primo luogo l'u- nità , volendo che la materia contenga una sola a- zione , ed insomma tale che poi una sola favola ne resulti. Così , ancorché non possa il poema e l'istes- sa azione e favola non venir composta di molte par- li , queste nondimeno debbono aver tra di loro tal corrispondenza e proporzione, che una nasca o di- penda dall' altra, e tutte insieme mirino ad un ter- mine e fine. Laonde, come nell'animale sono varie e diverse parti, e nondimeno per la lor dipendenza e corrisponden/a un sol animale ne risulta ^ tosi con- viene che dalla raoltiludine e varietà delle parti d' un' azione, una sola favola se ne costituisca e for- mi . Ed in ciò anco sùrao io , che il nostro Torqua- to abbia senza dubbio superato Omero e Virgilio : in modo tale, che siccome li badi gran lunga avan- zati nel formare e proporci idea di perfetto princi- pe e capitano, così li abbia parimente avvantag- giali non poco in eleggere argomento e materia di una sola azione , e donde sia derivata , e si sia otti- mamente conservata tale unità di favola . E questo appunto è quello che io pretendo mostrar tuttora, paragonando in ciò l' industria e artifìcio di questi eccellenti e raaravigliosi poeti. E per dir prima di Omero, io veramente, qualor vo ricercando l'unità della favola e azione, tanto nell'Iliade, quanto nell'Odissea , resto confuso in guisa, che non solamente non so disccrnere tale uni- tà, ma nò anco comprendere donde e da quai fatti 186 DISCORSO SECONDO si debba prendere. Laonde, inenlie vogliono alcuni clic la favola e l' azione dell' Iliade sia la guerra trojana, come, oltre Dlon Crisostomo e altri mol- ti , voile Orazio in quei versi : Trojani belli scriptorem, maxime Lollìj Duin tu declamas Bomce , Prceneste relegi (1) . E come anco l'autore istesso pare che, nomando lai poema iliade, assai chiaramente il mostri^ ecco che Aristotile apertamente li contradice, posciaché nella sua Poetica (2) , lodando Omero , afferma che non tutta la guerra trojana , ma una particella sola- mente si elesse per argomento : intendendo per av- ventura i fatti , i quai seguirono dopo il nono anno. E nondimeno , ancorché il parer di Aristotile sia tale, altri ristringe tuttavia maggiormente cotale a- zione , stimando che non tutti i fatti dell' ultimo an- no di questa guerra, ma la sola ira, o vogliani dire i fatti egregi e le prodezze eroiche di Achille sian l'argomento e materia, e che di tjua s'abbia a ri- trar i' unità della favola e non d'altronde. 11 che confermano anco assai chiaro per la proposizione neir istesso Omero ,il quale tosto nel bel principio invito la Musa a cantar, non la guerra trojana , co- me aveva fatto nella minore Iliade, dicendo: H's Tffpt vsoXXà TràOou Aotvao/ OcpasoiTfs «,p)}oe . cioè : Ilio canto e Dardania produttrice Di destrier generosi^ intorno a cui Il greco campo f i buon servi di Marte Grai'i ungo scie soffrir molti e moli" anni; né meno le prodezze de' Greci , o tutte o parte , né i primi o ultimi fatti; ma solamente l'ira di Achille , che insomma vuol dire le coraggiose imprese da lui fatte nell'impresa di Troja . E pur altii, quasiché i fatti di Achille siano sol ;>orte più illustre e princi- pale, e non totale (per cosi dire) e adequata, in nin- na maniera approvano, che da Achille e da suoi fat- (i) Horat.f Lih. I, epìst. %. (2) Paragr. isS. DISCORSO SPCONDO 187 ti si prenda l'utilità della favola; ma sibbene da Aganieniioue, e da quanto nell'assedio ed espugna- zioue di Troja segui rultim' anno sotto il costui ini- ])erio . K certo, se Agamennone appresso Omero fu principe e capo dell'esercito greco; onde e re de- gli uomini , e pastor de' popoli , e capitan dell'eser- cito ne vien detto ; sarebbe cosa pur troppo mostruo- sa, che non dal principe e capo, né dalle azioni, le quali seguirono sotto il suo imperio e comando, ve- nisse giudicato l'argomento del poema, e stimata l'unita che noi andiamo ricercando. Per certo se in Virgilio, il quale fu diligentissimo imitator di Omero, da Enea; e nel Tasso, che pur seguì Omero, da GoliVedo, cioè dal capo e principe, si dee pren- dere e derivar l'azione; ed i fatti , quali seguirono sotto questi due capitani, sou T argomento della favola : perchè vorremo noi , che in Omero non dal capo e da' suoi fatti , ma d'altronde si attenda e stimi ? Ma quello che rileva anco non poco contra tale u- nità in Omero, è che gli Stoici arditamente si sfor- zano di mostrare che non l'azioni o di Achille o di Agamennone , 0 de' Greci e Trojani insieme, o in- somma la guerra trojana, o tutta o parte, sia l'ar- gomento dell'Iliade; ma ben i fatti e degli uomini e de' Dei, e una quasi scainbievol gara d'azioni uma- ne e divine: parendo loro , che nelT Iliade non mi- nor parte abbiano i fatti de' Dei che degli uomini. Laonde (per riconoscer ciò almeno nel bel princi- pio), se Grise vien primieramente introdotto a di- mandar la cara figliuola Griseide; eccovi che poco dappoi Apollo vien Introdotto a saettar piaghe di pe- stilenza nell'esercito greco: e se poscia Agamenno- ne e Achille vengono a fiera contesa; ecco clic non guari (liunone e Giove contendono acerbamente; e di più Tetide Dea marina tien luogo ragionamento con (iiove: e se Calcante pieno di senno e antivedere parla uell' esercito; ecco che l'artificioso Vulcano con parole e motti tutti faceti s'introduce a provocar ri- so tra gli Dei: e se un eoucilio d'uomini ?i rapprcsea- 188 DISCORSO SECONDO ta neir esercito in terra, poco dappoi si rappresenta anco un convito di Dei in cielo. E questo stesso qua- si si potrebbe osservare nel restante del poema. E per tanto, siccome Penelope ragionando di Femio, il quale cantava il ritorno de' Greci, non dubitò di lodarlo , come quello che sapesse cantare : Epy avJpivTf, ©sù)VT« , Degli uomini e de' Dei L' opre famose (1)^ così ei pare in ogni modo , che l'Iliade con iscam- bievol arte sia composta tutta di azioni umane e di- vine , come affermano gli Stoici . Ma che vado io ricorrendo al testimonio degli Stoici , per provare che nell' Iliade non sia , o non facilmente si discerna unità di favola, se Aristotile ce io conferma con chiarissime parole? Egli certa- mente, volendoci mostrare qual dovea essere la costi- tuzione di una perfetta tragedia, ci avvertì che non doveva essere Troyu/u.uS'Oi, cioè formarsi di molte favo- le, come era l'Iliade, ma di una sola (2). 11 che an- dò anco al fine repetendo nel paragonar la tragedia e l'epopeja, mostrando con molte ragioni , che nel- l'Iliade non vi era veramente unità di favola e azio- ne. E quest' Istesso andò anco mostrando dell'Odis- sea (3). Che perciò appunto non fia mestiero, che in tante angustie di tempo io mi distenda gran fatto in mostrar che l'Odissea, non meno che l'Iliade, man- chi dell' unità della favola, giacché abbiamo il testi- monio di Aristotile così chiaro. Dirò solo , che il pellegrinaggio di Telemaco , con tutto ciò che dopo il primo concilio de' Dei si contien ne' primi quattro libri, non par eh' egli abbia amistà e convenienza alcuna coir azione o favola ; perciocché consistendo questa nel viaggio di Ulisse da Calisso, o piuttosto da Troja ad Itaca, colla vendetta eh' ei prese de'Pro- ci 5 in che, di grazia , o come serve a detta favola la peregrinazione di Telemaco a Pilo, e da Pilo a Spar- la.^ Certamente chi troncasse tutto ciò, con quanto si contien ne' detti quattro primi libri, eziandio col (i) Odls. Uè. I. (2) Paragr. 94, (3) par. i56. Discorso sscoisdo 489 primo concilio ( poiché il secondo , il qual si fa nel quinto libro, introduce ottimamente tutta la favola, seuzachè del primo vi resti alcun bisogno), lasciereb- be intera la favolale senzachè se ne smembrasse, o mutasse una minima particella: il che,pertestiraonio di Aristotile, è aperto seguo che non appartenga pun- to all'azione o favola (1). E di qua si può conoscere, che dette peregrinazioni né anco possono giustamen- te ritener luogo di episodio^ posciachè, per lasciare che il far principio da episodio o digressione ( e da episodio poi e digressione di quattro interi libri), avanti di toccar l'azione, par cosa mostruosa; essen- do r episodio, come ben mostra Polluce, quella par- te che si va soggiungendo e aggiungendo all'azio- ne 0 favola ; l'episodio dee nascere necesariamente , o almen verisimilmente dall'azione: e, come ben no- ta Arisloille, dee esser trapposto fra le parti della fa- vola (2),'dovechè precedendo, non può indi derivare, o tra le parti trapporsi in modo alcuno (3). Quindi è che Virgilio, nell' imitar l'Odissea, in niun modo si vale delli quattro primi libri ,ma ben comincia ad imitar ed esprimere in Enea gl'infortunj ed erro- ri ,che di Ulisse si cominciano a tessere e narrare nel quinto dell' Odissea, con seguire di condur Enea a' liti del Lazio, non altrimenti che Ulisse fosse con- dotto a' liti d'Itaca. Che più? Aristotile istesso , il quale si mostrò tanto affezionato e divoto di Ome- ro, nel descriverci la somma e i capi tutti della favo- la e azione dell'Odissea , niuna menzion fa de' pel- legrinaggi di Telemaco. Laonde Odissea ( dice egli) lon^us sermo est: de peregrinante quodam annos niultos : quique ohservabatur a Neptuno; ita ut cum solus essetj etfamiliares illius res sic se kaberent, ut a Procis absumerent ur ,fil iusque insidiis appete- retur, ipse vexatus tempestatihus advenit : cunique agnouisset quosdani, eosdemque decepisset, ipse qui- dem servatus est^ inimicos vero perdidit (4); dove (i) Paragr^ ói. {2) par. 5a, 89 ed alt. {'ò)par. (J4 « 89. {/i)par.^o. 190 BISCOBSO SECONDO comprese sol gì' infortunj di Ulisse colla sua muta- zione a felice stalo . E pcilanto, giacché da una par- te li quattro primi libri non possono ritener luogo di episodio^ come avanti si è chiaramente mostrato ; e dall'altra non son parte della favola ( come pur s'è veduto tutt'ora); senza dubbio sarà cosa diftìcilissi- tna , e perawentura impossibile a mos'trare, che nel- l'Odissea vi sia perfetta unità di favola. Tanto più, eh' e' non si conosce in modo alcuno , che detto pel- legrinaggio abbia in tal poema alcun altr' uso, o ser- va ad alcun fine, poiché né è in modo alcuno cagio- ne o mezzo, onde Ulisse ritorni, o sia informato dello stato di Penelope e sue cose; ma per disposi- zion di Giove e ajuto de' Feaci ritorna alla sua pa- tria, con venir anco dello stato della sua casa e di quanto facevano i Proci contra di Penelope e Tele- maco, in modo informato e dal subulco e da Miner- va istessa, eh ei non fa mestiero che Telemaco pren- da (come né anco prende) tal cura. La ricognizion anco, la qual fmalraente fa Telemaco di Ulisse, niun bisogno ha di detto pellegrinaggio 5 giacché, non mentre va peregrinando, 0 fuor del paese d' Itaca, ma dopo esser Telemaco ritornato a casa , e nella propria villa , e lutto anco per volontà e indirizzo di Minerva, Ulisse si discopre a Telemaco . Laonde, non vedendosi come tal peregrinaggio serva in mo- do alcuno alla favola, ei pare che Omero abbia vo- luto fare^ che ad un tempo e Telemaco da una parte corra varj pericoli, e sostenga gravi fatiche tanto in Itaca , quanto ne' suoi pellegrinaggi , mentre va ri- cercando il padre 0 ritorna ad Itaca, e con acqui- star fama appresso i Greci, e ricuperar finalmente il padre, sortisca felice fine; e Ulisse dall'altra, pur dopo gravi travagli ed errori di molti anni , sortisca anch' egli ottimo fine , con uccidere i nemici, e ri- cujiorar la patria , il figliuolo, la consorte e le facol- tà. Il che vorrebbe dire, che l'azione o favola sia doppia, anziché no . Certamente, siccome Pallade da una parte prega Giove a mandar tosto Mercurio a Galisso, acciocché non impedisse più lungo tempo UISC6RSO SECOJfDO l!)'| il ritorno di Ulisse, e dall'altra si offerisce di andar frattanto ad Itaca, e far che Telemaco si ponga in cammino a Pilo e Sparta , per andar ricercando del padre 5 così non con altro Gne va poi mettendo ciò in cuore al giovanetto , se non, come appunto sog- H5' Iva fjLiv ju.\£o? fc&Xo'i/ ìv àv^ptji-^iciv i)(^yidenli aveva imitata 1' Odissea. E sebbene Virgilio andò ingegnosamente dal fine degli errori e della navigazione d'Enea traendo occasion di discordie e risse, e indi poi di guerre tra' Latini e Trojani; sicché quanto cantò ne' sei ultimi libri, po- trebbe forse difendersi come mezzo e fine d'una in- tera azione (che perciò né anco la perfetta trasmu- tazione apparisce fin'al fine delle battaglie e vittorie di Eiiea)^ e per (jnest'anco la nuova proposizione e invocazione potrebbe alla ventura riferirsi alle bel- liche imprese, non come a nuova azione, ma come a parte molto principale, e affine di rinnovar maggior- mente l'attenzione , come in cose gravi e da Omero, e altrove anco dall' istesso Virgilio si costuma: tutta- via non può negarsi,© almen non sospettarsi , che Virgilio piuttosto colla destrezza e felicità dell' in- gegno , che per naturai proporzione e congiunzione delle cose, abbia tratta di tanta varietà di parti per- fetta unita d'azione \ o che insomma 1' arte per ora non v'abbia più larga parte della natura . Or niun di questi dubbj può giustamente cadere nel poema del nostro Tasso , il quale siccome prese a cantar solamente la bellicosa impresa, onde Gof- fredo liberò il Sepolcro eia Città santa di Cristo, co- sì non lascia che d' altronde prendiamo l'unita del- la favola , che da tale impresa: la qual favola è anco una, per esser ivi uno il capitano , uno il tempo, uno il luogo, uno il fine, siccome ( quello che più importa) una è la guerra ed azione. E sebbene di- cendo nella sua proposizione : , Canto V armi pietose e^l capitano; imitò Virgilio, il quale, com'è noto, disse; Arma, virumque cano; non perciò intoppò nello scoglio, nel quale t( come Brsconso secondo VJj s'è veduto) parve che intoppasse Virgilio; poscia- cliè il Tasso per 1' armi pietose nient' altro intende , che la pietosa impresa di Goffredo, e per lo capitano r istesso Goffredo. Laonde appresso il Tasso una è la proposizione, ed una la esecuzione: dovecchè ap- presso Virgilio e la proposizione e l'esecuzione può sembrar doppia. Cosi e Rinaldo , e Raimondo, e Tancredi, e gli altri tutti hanno tal dipendenza e su- bordinazione ( per così dire ) da Goffredo, che niuuo può di qua temer punto di quello che ad Omero in- contrò; mentre fece Achille tanto eminente, che non può riconoscersi, se Agamennone o' par Achille sia quegli, onde s'abbia a prender la favola. E per que- sto anco potrà Omero a suo piacere fare che Achille imperiosamente aduni l'esercito a consiglio , venga a contesa ^on Agamennone, lo spogli di Griseide, sprezzi i suoi doni , anzi la di lui amicizia ancora ; uè al tine senza sommissione di esso Agamennone si riconcilii seco: che il Tasso non mai agguaglia il suo Achille , dico Rinaldo, a Goffredo, ma sempre per inferiore e soggetto ce lo propone; che perciò an- co Ugone a Goffredo in visione così dalGiel ragiona: Perchè se r alta provvidenza elesse Te deir impresa sommo capitano , Destinò insieme eh" egli esser dovesse De^ tuoi consigli esecutor soprano : A te le prime parti, a lui concesse Son le seconde: tu sei capo, ei mano Di questo campo; e sostener sua vece Altri non puote^ e farlo a te non lece (1). Ma già parrai di udire, che alcuni con nuovo sfor- zo procurino di mostrare, che in Omero pur final- mente si vada scoprendo , e riconoscendo 1 unità della favola ; e questa così pcrf(!tta e sicura , che o- mai nò Virgilio, uè il Tasso possa più intorno a tal unità gareggiar con Omero, non che torli il primo luogo (^2). Perciocché l'azione eroica (per riferii* ( I ) Can. XIV, st. I j. (2) Tedi il Caslehetro. par. 3 e 6, car. 276. Speroni, nel diuL dell' Isf or, par. I,c. 076, 377; e pili a lungo e. 3S7. [Mazzoni, Uh. III^ sop. Dunle dai e. Sjffino al 64- Norcs cap. ii, p. 6'2. 196 »1S«ORSO SECONDO ({uanto essi oppongono, e ragionare alquanto a fa- vor loro), aniuchè sia perfetta , dee non solamente es- ser una, ma anco assolutamente d un solo. Laonde non solamente pecca colui , il quale fa poema di molte azioni di un solo, qual ful'Eracleide e la Teseide, delle quali una più fatti ed azioni d'Erco- le, l'altra di Teseo conteiica-, ma qXiegli ancora , il quale imita e rappresenta azione fatta ed eseguita da molti, benché sotto un sol capo. E pertanto Vir- gilio , il qual fece che Enea accompagnato da eser- cito non sol navigò , ma combattè e vinse , né formò azione d'un solo, né conseguentemenle ci lasciò per- fetto poema. L' istesso e molto più avviene di Tor- quato ; poiché Goffredo non senza compagnia di molti supremi guerrieri, anzi di fortissimi eserciti , condusse a fine la sua impresa. AU'incoatro Ome- ro, il quale allor solamente condusse il suo Achille a campo co'Trojani , quando superati più volte i Greci , ebbe occasione di solo combattere , e solo far eroiche prodezze, senza dubbio ci rappresentò azio- ne di un solo. L' istesso fece nell'Odissea , dove Ulisse non prima viene indotto contra i Proci , che fosser venuti meno tutti i compagni, sicché solo ra- cquistasse la patria ed ogni suo avere. E questo ap- punto è quello che al fine ci va scoprendo e ram- mentando Omero, quando sotto la persona di Eu- pite, il fatto di Ulisse ammirando, cosi canta e ra- giona: iz' ì>ihoi^ VI fXiyK if/ov àvi^'p Ó3f p,>j(70tT' A' ^ai'otj. Tk'j juìv ffùv v)JfO-ff{vu!v 0>^ (ÌpUT8J (l). Per certo, amici, alta e mirahil opra Ha fatto Ulisse infra gli Schivi, poscia Che delle navi e de' compagni forti j Ond' eran cardie, al tutto orbato e scevro A noi tornando, al fin ei solo ha posto De' Cef aleni i pili graditi a morte . (i) Lib. xxrr. Odisi. blSGORSO SECONDÒ 1^7 E certo r anione , acciocché sia illustre ed eroica j dee anco farsi in modo maraviglioso. Laonde è bea maraviglia, che Achille solò sfidi , spaventi e scon- tìg^a i Trojani; ed Ulisse solo assalisca e vinca tan- to gran numero di Proci : ma che Enea, ovver Gof- fredo con eserciti resti vittorioso, poca o ninna ma- raviglia partorisce. Che più? quando Aristotile ra- gionando dell' unità della favola tragica (la qual dot- trina al tiue applicò anco all' Epopeja ) disse: Xpiif «V, X t-^diTrip ìv Txii xKKxii ^tfjiyiTiKxìi >) ju.i'ju.ifa'fs s'vòj iiriv. ouTjJKÒk TOv ,uu9ov, ìttu ^-pà^fu? u)uowv1ot rivói di un certo peregrino (2) (dove solo Ulisse venne a disegnarci)^ ma ancora soggiungendo |Uov« ovto« , venne a mostrare ch'egli solo o sua azione fosse il vero argomento dell'Odis- sea: anzi che Omero istesso parve, che tutto ciò vo- lesse significarci, quando nella proposizione del- l'Odissea ad altro cantare non invitò la Musa, elle quel suo politropo ed astuto uomo Ulisse. Questa (.; l'opinione, e queste quasi son le ragioni apportate dagli autori e seguaci . Tra' quali il gran difensor di Dante ne trionfa maravigliosamente, quasiché il co- stui poema, oltre esser eroico, sia fatto anco di azio- ne d uno assolutamente solo: e ciò ad esempio non già dell' Eneide, ove con esercito opra Enea, ma bea dell'Iliade e Odissea , dove al fine ed Achille ed Ulisse solo fa eroiche imprese. E perciò ancor con- chiude, che il poema di Dante sia eccellentemente rnaraviglioso ed illustre. IVla io, giacché tal' unità di azione gli era così a grado, maravigliorai> Signori, ch'ei non abbia prov- (i) Mazz.p. 644* (■') Paragr; ()o. 198 DISCORSO SECOWDO veduto e stabilito che il perfetto eroe, p-^r destar tantopiù olla maraviglia, oltre il far solingo ed a guisa di Paladino e cavalier errante le sue impre- se , facesse alte ed inaudite prove sem' uso di tan- t'armi, e solamente con clava a guisa d' Ercole, o con tronco di lancia qual Mandric^rdo , ovver anco inerme ed ignudo come alcun Paladino. Anzi, per rìdur tuttavia l'azione a simplicità ed unità mag- giore, poteva di più tentar di formarlo: Quasi che ignudo spirto ^ e poca terra . Che certo, siccome i Gabii, vedendo Tarquinio 11 Su- perbo con esilio e morte ridur quasi a solitudine il Senato Romano, anzi (quant'ei sembrava) odiar la moltitudine anco ne'proprj figliuoli, ebbero a dire, che in breve dal suo proprio furore verrebbe anco meuato ad oltraggiare e sminuir se slesso (1); cosi poteva quegli a prò dell' eroica azione ed unità cer- care , ed in qualche poetica maniera procurare , che l'eroe (giacché dalla costui semplicità ed unità deriva l'unità della favola) di più semplice compo- nimento formato fosse ; e che di più con un sempli- ce ed unico fatto, e quasi in un baleno e momento , a guisa di Ercole stringente in culla 1 serpenti , e' compisse la sua eroica azione. Insomma la brama di provare, che la Commedia di Dante sia poema eroi- co e perfettissiuiO, e perciò di unità d'azione mara- vigliosamente fornito, ha cagionato in questo suo di- fensore di cotali paradossi. Ne' quali (per riprovar tuttavia maggiormente questa sua opinione con vive ragioni ) egli certamente prende gravissimo errore^ perciocché quantunque logli conceda , che l'azlon eroica debba esser una e d'un solo (che ciò in de- bita maniera, e buon sentimento io non niego), egli all'incontro è astretto a confessare, eh' e' possa e debba esser di un solo, ma però principe e capo di molti . Sicché l' aver sotto di sé, e l' adoperare a luo- go e tempo soldati e guerrieri , anzi intieri eserciti, 0 in somma numero di ministri e soggetti, non solo (i) Li', li'b. fTj dee. r. niscoaso secondo 199 consenia all'unità della favola, ma sia necessario e conveiiieiitissimo al perfetto eroe nell' eroico poema . E certo, siccome la poesia vien introdotta per ammae- stramento della vita , per introdur per mezzo della imitazione e diletto buoni costumi negli animi u« mani, cosi in particolare il poema eroico forma l'i- dea del perfetto capitano ed eroe, principalmente per esempio di coloro, i quali hanno dominio, e go- vernan popoli tanto in pace, quanto ili guerra. Laon- de, giacché a' principi, e massime d'alto affare , con- vien per lo governo de' stati e regni esercitarsi in opre militari e civili, com'è guidar eserciti, ac- camparsi, ordinare schiere , affrontar nemici, asse- diar città, munir alloggiamenti e fortezze, animare ragionando i soldati , formar leggi , ed amministrar giustizia, con altre molte pubbliche azioni tanto di pace, quanto di guerra-, certamente l'eroico poema dee rappresentar eroe, il quale a capitani d'eserciti, e principi di popoli e regni sia esempio di pruden- za, di fortezza , e d'ogni eroica tirtù nelle predette ed altre simili azioni, le quali senza ministri e sogget- ti non è possibile di esercitare. Quindi è che 1 poe- mi eroici comunemente formano eroe , come prin- cipe e duce di molti inferiori, il quale per mezzo di questi faccia gloriose imprese. E pertanto, siccome io non prenderò per ora a difender coloro, i quali scrissero illustrazioni di molti uguali, come Orfeo, ovver Epimenide, Apollonio ed altri , i quali con verso eroico scrissero l'impresa degli Argonauti, per eroi (quanto alcun va dicendo) ugualmente propo- stij o piuttosto come Tamira e Melampo, i quali can- tarono la guerra de'Titani contra Giove j o pur come Stazio ed altri , i quali fecer poema della guerra o rotta di sette re e principi a Tebe : così all'incon- tro non concederò in modo alcuno , che Virgilio ed altri Latini o Greci, i quali avessero cantata impre- sa fatta da un capo col ministerio di molti soggetti, non abbian fatta favola di un'azione. Laonde Ca- merino, per esempio, che per testimonio d'Eustazio scrisse con verso eroico la guerra trojana , dove Aga- 200 DISeOBSO SECONDO tnennone fa capò di molli: Canltiio Rufo clic , come scrive Plinio il giovane, cantò la guerra di Trajano centra Decebalo re de Dacj (1): e (per lasciare uà iafiuiio numero d' antichi ) il Petrarca, il cjuale can- tò la guerra Cartaginese fatta da Scipione Affricano; appresso di me, anzi (come niostrer.ò tutt'ora) ap- presso di Aristotile , se per altro non sono rei , me- ritano di esser riputati perfetti eroici poeti : e pur cantano azioni di molti, anzi di numerosissimo eser- cito sotto un capo, che é di uno con molti . A que- sto si aggiunge, che dovendo la perfetta favola epi- ra essere, per giudizio di Aristotile, raaravigliosa si, ma pero verisimile , anzi venir fondata sopra T isto- ria (2); ben si vede che chi prendesse a formar eroe, il qual solo e senza ministri facesse opre mol- to eccelse e maravigliose, oltre il non formar idea at- ta, per lo già detto fine ed uso , di principe di eser- citi e città, ma piuttosto di privato cavaliere errante o altro tale; sarebbe astretto a finger l'azione tutta, non occorrendo agevolmente in istorie, se non sacre peravventura , di tali esempj: esempj dico di uomo, il quale senza ninna compagnia e senza alcun al- trui ajuto abbia conseguite vittorie, o fatta altra ta- le eroica impresa . Posciachè l' imprese di Ercole e di qualche altro fra' Greci, e tra' nostri de' Paladini (de' quali parte eziandio soli fecero opre maraviglio- se) senza dubbio sono favolose e bugiarde, non me- no che bugiarde e favolose siano quelle dei Prima- leoni, degli Splandiani , e di molti altri tali, inven- tati solo e descritti per diporto dell'ozioso e curio- so volgo. Che perciò di solitario cavaliere, il quale con verità abbia fatto mollo rare e maravigliose im- prese, e degne di eroica tromba, resterebbe solamen- te alcun esempio sacro, o pur anco di alcuno, il qual non senza particolar «oprumano ajuto abbia fatto le sue imprese ; sicché non occorrendo di ciò profano esempio, che vero ed atto sia, chiunque prendesse a far eroico poema di cavaliere, il qual del tutto soli- (i) Lib. Fin, epist. 4. (2) Paragr. Si, 89 ed altri. DISCOBSO aPCONDO 201 tarlo avesse fatta erroica prodezza ed azione > sareb* be astretto a tinger il lutto, senza punto fondarsi suir istoria . Oltreché in un poema di cavaliero ed eroe di tale e tanta solitudine , la favola riuscirebbe facilmente senza varietà, ed arida oltramodo ^ an- zi non avendo fondamento alcuno di verità , non vi si potrebbon distinguer se non a caso gli episo- dj dall' azione, e le cose proprie e natie dalle asciti- zie ( per cosi dire ) ed aggiunte . Di qui è , che sic- come dalle cose predette si scopre esser vero , che non pecchi in modo alcuno quel poeta, il quale imi- ta o canta azione di uno, come capo di molti -, e che perciò non meriti biasimo alcuno Virgilio o Torquato, per aver fatto Enea e Goffredo capo di esercito ; cosi né anco è vero , che Omero mirasse a far che Achille o Ulisse cosi solitario facesse eroi- che imprese, come gli avversar] vanno dicendo: po- sciachè Achille, oltr'aver navigato a Troja co' ]VI4r- midoni, gente numerosa e brava, e con questi dimo- rato sempre come lor principe e capo \ quando al fine si condusse a combattere co' Trojan» , non sola- mente non si propose di affrontar e sconfigger solo il trojano esercito, ma ben mise in ordinanza il greco , r esortò alla pugna , nuli' altro promettendo nell'animarlo, che di voler combatter tra' primi. On- de i Greci non solamente si affrontano e combattono co'Trojanl , ma ancora si spingono sotto le mura : tantoché, quando non fossero state lor serrate le por- te, avrebbono anco (dice Omero) presa in quel giorno la città. E sebbene Achille si spinse il primo centra di Ettore, e di pari combattè^ non pero solo ruppe e mise in fuga o sconfisse tutto il nemico e- sercito , come questi vanno dicendo , ma solo a gui- sa che poi Enea appresso Virgilio, o Rinaldo ap- presso il Tasso fece maravigliose prodezze . Né mi opponga alcuno, che pure Achille, allorché riconci- liatosi con Agamennone, e risoluto di ajutare i Gre- ci , si presento all' oste nemica , egli solo spaventò i Trojani; perciocché io all'incontro risponderò , che allora piuttosto se ne stesse addietro in sicura parte 202 Bisconso 6FX >yuo ( sebben per ordine di Teli, aspellaiido l'ariuc pro- messegli), mostrandosi solo da' muri o ripari del campo, ed in tempo ancora che l' esercito greco combatteva col trojaiio. Insomma quello che po- trebbe parere di alcun momento, è che mentre Achil- le si aflrontò con Ettore, fece anco cenno a' Greci, ac- ciocché restassero di saettarlo. Ma ciò poco o nulla rilieva ^ perciocché non per questo restarono i Gre- ci di perseguitar gli altri Trojauì: né Achille ciò ac- cennava , se non per aver egli la. gloria d'Ettore, o sfogar solo lo sdegno e l' ira contra di lui conceputa per la morte del suo caro Patroclo: siccome nò anco Tancredi per altro fa cessare i suoi da oilender Ar- gante, se non per riportar egli solo gloriose spoglie di 51 fiero campione, con vendicar insieme la morte del buon Uudone. Sicché per tutte queste cose, come anco perché Achille, nell' esortar ed animare i Gre- ci alla battaglia , protestò ch'egli Insomma era un solo, né poteva sostener tutta la mole della guerra^ e gli eserciti stessi , come va dicendo Omero, tra sé meschiati e confusi combattevano •, non si vede che Omero in alcun modo mirasse là, dove vanno dicen- do questi tali. L'istesso dico di Ulisse; posciaché an- ch'egli navigò da Troja alli Giconi con dodici navi e numerosa moltitudine di compagni; con gli stessi predò il costor paese ; indi coll'islesso numero di navi, e quasi con gì' istessi compagni tulli navigò ai Lotofagi, e poscia ai Ciclopi; con gli slessi anco pas- sò in Eolia , e di lì a' Lestrigoni , compartendo con essi le fatiche e l'opre : e se quivi perde undici na- vi , sicché con una sola , e con molto minor numero di compagni pervenne a' paesi di Circe; e di questi compagni anco poco dappoi insieme colla nave (che a sdrucita carina s'attenne appena) restò privato, S'cché giunse a Galisso ignudo e solo; non perciò è, che intanto le sopradetie fatiche e viaggi , ovvero pericoli e travagli, sofferti da Ulisse in compagnia, non appartengono all'azione e favola: giacché in questo poema si cantano pur le fatiche e i viaggi del tigliuol di Laerte, Ulisse. Laonde Aristotile questi DISCORSO SECCNDO 20.^ stessi viaggi e fatiche falle in compagnia prende per arg'oraento dell'Odissea, opponendole ( accioc- ché niuDO dubitasse del suo seuliniento, o le ridu- cesse al poema , come episodj ) agli stessi episodj di tal poema (1). E pertanto Ulisse, con pace di questi tali , fece quasi tulle le sue fatiche come capo di molli, servendosi di questi tanto per li varj mini- steri delle ua\i, quanto per riconoscer talor paesi e genti (compartendo anco talora il carico di coman- dare con Euriloco), e per molti altri afl'ari : tantoché il fallo, onde egli privo di vita Polifemo , che perav- venlura fu de più ardui e perigliosi, venoe da lui non senza l'uso ed opra de compagni eseguito. E se al fine egli solo (giacché solo per\enne a Calisso) si fabbricò la rate, o barchetta, certamente tal fatto non dee riputarsi eroico ( altrimenti influiti fabri ar- dlrebbono di pubblicarsi per eroi ), o propria male- ria sufticienle di eroico poema. Oltreché, sebbene in tal fabbrica senza dubbio si mostro industrioso, il tutto fece con indrizzo ed insegnamento di Calisso. E se inoltre solo con questa barchetta si spinse a' liti de'Feaci , fu ben ciò opra di qualche industria , ma non però eroica: massime che, oltre il restar per tem- pesta mandata da Nettuno miseramente spogliato della sua barca, era anco per annegare, se Ino, nin- fa marina, non li porgea soccorso. Anziché né anco, quando avesse saputo con sua prudenza e valore schermirsi dalTolli'aggio di Nelluno, e colla barca intera e senza ajulo della Ninfa salvarsi, ardirei io di ramraeniar questo fallo per si illustre e maravi- glioso, che potesse prendersi per materia sufficiente di eroico poema: sapendosi, che marinari hanno fallo opre viapiù maravigliose e stupende^ tantoché né anco vi son mancati di quelli , che a' nostri tem- pi con menoma barchetta hanno trascorso il vastissi- mo pelago dell'oceano (1), e ciò sempre schermen- dosi valorosamente conlra 1' altiero ed orgoglioso mare. E pur né anco questo fatto (per raaraviglioso (i) Para§r.Qo.(2)red. !'Ist. dell'Indie d^lMafJei, Ub. XI. 204 DISCORSO SECONDO eh' ei sia ed inaudito agli antichi, e degno insom- ma onde ornai della famosa e celebre Argo , e seco di Tifi ed Anceo, e degli Argonauti e di Coleo ap- presso si taccia) riuscirebbe facilmente materia atta per poema eroico^ convenendo die l' azione miri a formar idea ed esempio di principe e duce per pub- blico governo e felicità, e ch'abbia non una sola e semplice azione , qual' è una navigazione, ma ben varietà e di nobili azioni (drizzate però con bella proporzione ad un fine ) e di proporzionati episodj , con trasmutazione di fortuna, se fia possibile, vicen- devole e doppia, e perciò per alcuni di lieto fine, e di felicità anzi alquanto durevole e costante, che fu- gace e breve. E se finalmente Ulisse pur solo giun- to a casa uccise molti Proci, ricuperando la cara pa- tria con ogni suo avere , onde si ridusse di miseria a felicità ; concederò ben per ora , che quest'atto fos- se pieno d'industria e valore, e che per se stesso po- tesse riputarsi (quando pero vi fossero concorse l'al- tre dovute circostanze , come è la grandezza e corri- spondenza delle parti e simili ) non indegno di eroi- co poema: tuttavia, oltreché Ulisse in quest' azione ancora molti indrizzì ebbe ed ajuli e da Telema- co e da Eumeo e da Filezio e da altri, ma soprattut- to da Minerva; sicché insomma non così agevolmen- te solo dee riputarsi , e tanto meno , quanto che nel- la battaglia, onde i Proci restarono estinti, Tele- maco e gli altri tutti si adoperarono valorosamente combattendo; quest' azione non fu la intiera materia dell'Odissea (1), ma una particella, la qual sola- mente in compagnia di molt' altre , fatte da Ulisse con ministerio di moltitudine, costituisce l'unica e totale ( per cosi dire) ed intera materia dell'Odissea, se pur una e totale stimar si dee. E pertanto già si vede, che Omero né anco nell'Odissea ebbe mira di rappresentare azione di un solo assolutamente, come gli avversar) vanno dicendo. Tanto più che insom- ma né anco è vero, che mentre al fine Omero vassoi* (i) Parag. 5i, 89 ed altr. ElSCOBSO SCsCU.'IDO 205 to la persona di Eupite, ammirando che Ulisse, ap- punto dopo aver perdute le navi ed i compagni tut- ti , abbia spogliato di vita i Proci , ciò dica per mo- strare, che solo veramente facesse tal' opra: avvegna- ché se Eupite da una parte , come ignorante del fat- to così ragiona ; ecco che subito dall'altra Medonte, il qual si era trovato presente, si oppone, così di- cendo • K/kXvt? 5)j vvv fj.ìv l6ax)jC-(or, « yàp OSucfffuV AtìttviTwv aiX»5T< ©fwv tÀ (ii (LtjjffaTO t pya . Eyyu&Jv ìiiT}jKH, K«( Mivlofi nùvrcL Ìu)kìi. A6oiva1o5 Sì ©fòj TOTE JJ.ÌV 7rpoOTapo< 6' Ohuaì^og ^ouviTO S'apouvwv, toìì Sf ^VÌÌiTtipOii OplVOOV ®Zv( xcLTÙ jnf'yapcv, toi S" ayxuTfvot i^smhv (i): cioè ; Udite ^ o Itacensi, il parlar mio. Non senz' aj'uto degli eterni Dei Ha questa impresa Ulisse a fin condotta, Posciacli' io vidi un immortai Iddio Starsi presso ad Ulisse; il cui aspetto À Mentore (lei tutto tra simile: Or quegli iva spirando ardir e forza In Ulisse, ed i Proci iva premendo , Sicch^a terra cadean sospinti insieme . Il che al fine va rammentando Anfimedonte anco- ra , con far fede che con Ulisse si trovarono altri molti, i quali con sommo ardire uccidevano qualun- que se gli opponeva. Oltreché é pur troppo chiaro ed aperto, che Omero arma insieme con Ulisse Tele- Ai aco , Filezio ed Eumeo; e che questi tali , coms in compagnia di Minerva e d'Ulisse valorosamente combattono, cosi uccidono molti Proci. Per lasciare, che poco da poi ancora venendo Ulisse a pugna eoa Eupite e compagni, ebbe in suo ajuio non sol Mi- nerva ( che pur poteva ad Ulisse bastar per mille , giacché da Omero vien riputata e chiamata domatri- ce della schiere), ma anco i predetti, con molti e mol- t' altri che seco con Laerte si armarono e posero in ii)Odiss.i:b.,xxrr. 20b «ISCOKSO SECONDO baiiaglia. Che più? Ascoltisi Oincio, e cessi ogni dubbio e suòpicioue : Bììrviv iti dSucavJx àar'jppova, 7ro{x{Xc/u,>jr»}v. Tf'o-ffapfj, or 3' t'vIoaSrf Sojutujv ttoKìh tìkòci h^hoi' (i). Costar j chiuse le porte e l' armi "prese j S' unir' col saggio astuto Ulisse, e quindi Con molto ardir formarsi : in sulla soglia Quattro _, e per entro in casa molti e forti j Tra"" guai di Giove r alma e saggia figlia Palla si mise^ a Mentore simile ^ ir abito j alV aspetto j alle parole. Giacché dunque Omero per ora ia uiun modo proibisce, che noi prendiamo per materia di eroico poema azione.d'un capo con ministerio ed opra di molti, a torto vien da questi tali ripreso Virgilio per avere indotto Knea a far le sue imprese col mi- nisterio dell'esercito trojano : e per questo né anco si dee riprender Torquato, che pure ha fatto il suo Goffredo ed eroe principe di fioritissima milizia . Né vai punto il dire, che in questa maniera \' im- prese e le vittorie poca o niuna maraviglia partori- scano j posciachè in questa maniera ancora l'azione ( oltr' esser verisimile, anzi, quanto comporta il poema,' vera e fondata nell' istoria) può riuscir maravigliosa ed illustre ; perciocché ponendo a fronte a tal eroe numerosi e valorosi eserciti , ovvero munitissime città, ed insomma gravissime diUftcoltà e pericoli, sicché per sup(?rarli vi sia necessario af- to consiglio e gran prudenza militare, e soprattut- to eroica tolleranza e fortezza, ed insomma il colmo delle virtù 5 non so io, perchè non possa tale azione riuscir maravigliosa ed illustre. Nò è punto vero, clie Aristotile lasciasse scritto, che la favola era una per l'unità dell'azione di un solo, posciachè quelle parole svbj hrlv donde il difensor di Dante ciò ca- va , oltre che non parlano dell'imitazione eroica (i) Odiss. 22, 23. DISCORSO SECONDO 207 tìellc altr'ai'ti imitatrici, da ninno vengono esposte in modo, che Aristotile voglia l'imitazione o azione dover esser di uno , ma ben di una sola cosa. Laon- de la voce cvò; in questo luogo deriva da ?v, che vuol dire unum , e non (com'egli finge) da f-, che vale unus; significando (come ho detto) che 1 azione dee esser di una cosa. Altrimente Aristotile non parle- rebbe a proposito^ perciocché, avendo egli fino allo- ra disputato deir unità della favola, mostrando che non sia per l'unità dell'azione imitata ^ quivi pas- sando a raccor la somma e conclusione di quanto aveva detto (che ciò appunto mostra con quel modo di parlare ypijcùv), bisogna che dall'unità dell'a- zione inducesse la conclusione , e non dall'azione di un solo. Oltreché confermando nell'islesso lenipo la sua opinione coli' esempio delie altre arti imitatrici, con dire che queste ancora erano ìvhe,, non arebbe dovuto inferire e conchiudere (com'egli fa), che per- ciò l'imitazione eroica debba esser p.(òL5 Trpà^^a' , di un'azione, ma ben di un uomo solo: argomento e- vidente , che quello ab; esfv vuol dire d'una sola cosa. Sicché il vero sentimento di questa sentenza: X'pjj év j^a&aTTfp ìv TOug jjuìfvlo5 TJvòj try} TrcXXà , KÒti TrapxpuXarlo^atv» uVò loU riOffaSùJvOS, KÙl JU.ÒV8 OVTOS, ÌtTU Sì T OlHOt «TUjS {J^^OVTWU, w<7f TOC )(^p)7jLcc«,Ta. Jtto' ixviì(;ì{pu)v àvaXt'ff^^forSrat, ni TÒv ùicv iTViQaXidiC^oi.^ oluTO{ àpinvìiTcn y^gifxxc^ti^ xài àvoiyvuìfi^xi TJvàs, aOroù stti^ìixìvcì , au tò? juÈi' i(Ju>'^yj, 1cÙ5 5' sy^f»$ SBO avesse cantato di Ulisse, come di capo e duce di mol- li ,egli parimente voleva cantar Goffredo come capo di molli? Sebbene, acciocché la peripezia e trasrau- taziou di fortuna per la banda di Goffredo non riu- scisse in parte luttuosa, ed in parte felice, come ap- po Omero, il qual fece che Ulisse perde miseramen- te tutti i compagni, ma fosse ia dolmo felice ; e si- mile a quella dell' Eneide ^ saggiamente anco intro- dusse, che Goffredo non già fu infelice per la perdi- la de'compagni, ma che ben da ogni pericolo li fe7 salvi. Laonde, se pur Omero saggiamente scusò Ulis' se, quasiché i compagni non fossero periti per alci- na colpa di lui, ma ben per estrema loro stoltizà , avendo avuto ardire di mangiar i buoi del Soe; uondimeno più saggio consiglio fu questo di Tor- quato, il qual fece che i compagni di Goffedo , mercè la costui prudenza massima, favorita c^l cie- lo, venner tratti d'ogni infortunio e periglv: dove venne a far la peripezia del tutto perfetta , facendo che la trasmutazione di buona in rea forli'^^ cades- se tutta ne' nemici ( che così ricerca il pc^^^'t) poe- ma eroico), e di rea in buona negli amJ'; che son coloro alla cui felicità favorisce il oSli'O poema : che con tal seulimento appunto Arist^'lc diede ali Epopeja la doppia favola, intendend^per doppia fa- vola le due trasmutazioni di fortun-n^l modo det- to. Insomma ( per ritornar la donr- "i' son partito) io non so , come questi tali legga f^ j che Omero co- sì sovente chiami cotest'uomo, d^"' canta, TroXuTpo- n-ov ( che pur per la perizia di ^^ costumi peregri- nando apparati, e per 1' astuzi^i^/a'e}, e che nell'i- stessa proposizione avverlisc? eh egli andasse assai lungamente errando, e che f^o» errori o peregri- naggi furono dal partir di '^^J-* ( »1 c^e avverti anco saggiamente Plutarco 1 )- ^^_ ^"^1 tempo appun- to cVei predò Ilio ; e r> ardiscano di affermare e contendere, che solara^^^ quanto oprò solo, fosse \ì) Lib. de Hom. pa '^- DtSGOKSO SeCMNDO 211 argomento dell'Odissea. Quanto più saggiamente, giacché bramavan colorire, o pur magnilicare per eroico , ed esaltar l'argomento di Dante, arcbhon latto ad allif-rrarsi ad un altro pensiero; onde all'O-^ dissea di Omero, e ali Eneide di Virgilio avrebboa fatto apparire iu questa parte la Commedia di Dante maggiore? ed è, che siccome Omero della guerra trojana da altri cantata tutta, accortamente, per te- stimonio di Aristotile (1), elesse una particella, cioè r ira di Achille; così Dante, vedendo da Omero nell'Odissea cantar tante peregrinazioni e sì lunghi riaggi di Ulisse, e da Virgilio le tante fatiche ccl errori di Enea , ebbe per bene prender ad imitarne "- rappresentarne una sola, e questa nobilissima sopra itte,cioèil passaggio air Inferno e agli Elisj cani- le riducendo da un lato a più ampiezza la favola •^'imitazione di tale azione; e dall'altro, afiinchè più. Pretta ne divenisse, facendo che uno assolutamen- ^^ '^esse il gran viaggio ed eseguisse l'eroica azio- ^^" "ebbene, a dirne anche il vero, né Dante fu s^^^'tjuida, né per far opra eroica era necessario re- stnn^-gi ad uno assolutamente solo . E per questo anco >igio pensiero fu quello di Virgilio, di forma- re il s» ei'oe capo di molti, imitando in ciò (chec- che ne \j^[ alcuno ) Omero. Ma ottimo consiglio fu quelijji Torquato , giacché formò il suo eroe capo di^ijj jp guisa, che l'unità della favola ne riuscì pia gj illustre. Sicché in ciò non può omai Virgilio, ^joho meno Omero gareggiar col gran principe cle-jg^,jj^j poeti , Torquato Tasso . IVJa qua p^j jj vedere, che altri riconosca bene lai pertezion«j unità, confessando che in questa parte Torqua p^g^^ g debba anteporsi ad Omero e Virgilio insie,. ^^ ^^^^ ^^^^ desidera d'intendere, se olire 1 unica jj|,g circostanza e condizione si ri- cerchi nella makg ^ soggetto eroico, acciocché ne riesca per ogni {^^ perfetto. Perciocché, quando (i) Paragr, i'25. 214 DISCORSO SECONDO ciò fosse, giusta cosa sarebbe che, come s' è ricono- aciuta e paragonata l'unità, cosi anco si riconosces- sero e paragonassero l'altre condizioni^ nò si trala- sciasse cosa alcuna , la quale appartenga all'inven- zione e materia; ond'ecco che io spiegherò breve- mente due o tre altre circostanze, le quali senza dubbio sono di grandissima importanza , afiinchè l'eroico poema, per quanto tocca alla invenzione della materia ed azione ( che d'alcun' altre, le quali appartengono alla forma e perfezione, si dirà ad al- tro tempo), sia interamente perfetta; ed incammine- rommi al fine. Una condizione dunque, o circostan- za é, che la materia ed azione , la qual si prende a trattare o cantare, sia non già finta, ma derivata da istorie, ed insomma fondata ne' veri successi um? ni: la qual condizione cade benissimo tanto nell' ^ liade e Odissea, ovver nell'Eneide, quanto nella C" rusalemme liberata 5 in modo tale che in questa j^"' te non fia mestiero trattenersi gran fatto in pari^- nare i loro autori, scoprendosi in ciò uguali e^^" gni di pari lode; se però alcuno , supposto d^"^ parte la certezza di Gerusalemme per opra cfOi- fredo racquistata , e dall altra i sospetti di alc*'^ ^^ in particolare l' opinione di Uion Crisostomo' *!"/'" le ha per favolosa la guerra 0 espugnaziq t'Oja- na , non cercasse di ridurre a mera favol? azione dell' Iliade. Dal che verrebbe a porsi anco' dubbio il ritorno e la navigazion d'Ulisse: siccon^"*^^ "O^* dissimil concetto arebbe a farsi, quand"^"^^ (^co- me alcuno scrive ) fosse restato prigion^^ Ureci , e condotto da Neoptolemo in Macedonia ^^^^ avesse presa fuga, e navigato in Italia . M^^''"^ tanta chiarezza e consenso di lodatissimi ^^ici, non ta- cilmente porgiamo orecchie a tai so'^*^* ° contese. La seconda circostanza poi, per la f ^'^" ^^ '"a* leria a riuscir molto più atta pe''°'^o poema, è che contenga ed abbracci azione* T^"^' possa riu- scir sommamente grata e soave ?^^^^^ > ^^ quali il poema come domestico e nativ^^''^ ^" esser rice- yuio e letto: essendo cosa cerf'°'^' ^''^ ^^^^ ^an- DlSCUlisO SCCUKDO 21 y Xo 0 ragionamento può ferir l'orecchie umane più j« . o pure T^Kkixi di azioii tutta^ ovvero perfetta ; l'esser tutto, ovvero perfetto,]^er oxà ricerca termine e finità, (i) Parasi". 34>47 " 'M* DISCORSO TERZO 223 per così dire . Laonde cliiaroa tutto o perfetto quello, che ha 1 suol termini e Hai, siccome perap- puDlo aveva fatto Platone , che quando nel Parme- nide disse oXov, tutto dico, era quello o t>)v oìpviÌv av t'x*^ ''^' us'c-oi/. xdt( TtXéurkjv, che ha principio j mez- zo e fine (1); accennando pur anch' egli , che que- sto TfXfrCi o perfetto nasca dall'aver -fAo« ofine: sic- come pur d'Aristotile ristesso affermo Simplicio, ed avanti accennò Alessandro. Di maniera tale che tutto o perfetto per ora si oppone a quello, che non è rinchiuso da' termini j che in questo proposito è manchevole ed imperfetto, come sarebbe una linea o superficie, la qual procedesse jn infinito: o pure all'incontro una statua , a cui testa mancasse o piedi, la quale come statua senza dubbio sarebbe imperfetta. Giacché dunque Dio non con tal senti- mento di termini e confini ài dice o può dir perfetto, essendo e di sostanza ( con pace di molti Peripateti- ci) e di virtù infinito; ma per iperbole ed ecces- so , come va accennando Aristotile (2) , che vuol dire per superare ogni altra cosa in perfezione, anzi (come meglio dichiara la cristiana filosofia ) per es- ser oceano immenso di essenza, perfezione e virtù ; resta che Dio, tuttoché ei sia senza principio e fine, debba dirsi perfetto. Più difficile é quello che ap- partiene alla figura sferica e circolare , la quale da Aristotile ancora vien riputata perfettissima ; e non- dimeno le dà per proprio traile figure , che non ab- bia principio, né vi si ritrovi mezzo o fine. Nel che potrebbe alcuno, per sciorre il dubbio, attenersi a coloro, i quali all' incontro vogliono che tal figura non solamente non manchi di principio , mezzo e fine; ma eh' abbia in ogni parte, anzi in ogni pun- to, e principio e mezzo e fine; che di più reiteran- dosi, o trascorrendosi In giro più volle ristesse par- ti, più volte ancora si torni all' istesso principio, mezzo e fine. Potrebbe in olire seguire alcuni altri , ì quali vogliono che in tal figura il centro sia il ( I ) Cocl. cap. IL (2) V. Metaph. cap. de Perfect» Coiitrov. T. JF. ì5 224 UlìCOUSO TEBZO principio, e la circonferenza il fine ; che appunto il principe degli Accademici, per non dire de'dlosoli, Platone cosi va dicendo, mentre di sferica ligure adorna il mondo (1). Finalmente potrebbe ancora richiamarsi alT istesso Aristotile, il quale in tanti e tanti luoglii afferma ,che perfetto è quello a cui non si può aggiungere cosa alcuna ^ la ^ual definizione pare senza dubbio alla precedente molto contraria . Tanto più che ragionando egli del circolo, indi pro- va che sia perfetto, perchè né la linea finita può dir- si perfetta, potendo ricevere accrescimento^ né meno r infinita , mancandole il termine e fine. Insomma r istesso Aristotile», il quale fa che l'azione o favo- la sia una, allorch'è intera e perfetta (che vuol dire per aver principio , mezzo e fine), nella sua divina filosofia vuol che la linea circolare sia una, per es- ser tutta e perfetta (2). E pur se non ha principio > né mezzo, né fine ,come tante volle va dicendo, do- vrebbe argomentare e conchiudere, che sia imper- fetta. Per queste cause adunque, come anco perché questo termine di perfetto appresso Aristotile ha molti e molto varj significati , voglio io che mi sia lecito spedirmi di questo dubbio, con dire, che quan- tunque la proposta definizione — Tutto jOwer perfet- to è quelloj che ha principio j mezzo e fincj possa aver le sue eccezioni ; siccome pur d' avvantaggio ne ha qualunque altra definizione o descrizione, che di più ce n'abbia dato Aristotile. Nondimeno nel no- stro proposito è vera e chiara , sapendosi che le a- zioni umane o eroiche, propria materia deirepopeja, necessariamente hanno principio, nascendo dal con- corso del consiglio ed elezione umana^e che per gran- di che fossero, non possono in effetto essere infinite, cioè immense e senza termine alcuno: sicché, non potendo essere infinite, convien che per esser tutte e perfette, abbiano principio, mezzo e fine. E per- tantOj se il poeta nelT imitar tal^ azione esprimerà e (i) Plat, nel Tim.{}.) Lib. F, tex. 12, o<>>^ero cap.de Perfect, DISCORSO TERZO 22*5 principio e mezzo e fine, farà senza dubbio favola perfetta , perchè averà tutto ciò che nel suo genere può avere: che appunto l' istesso Aristotile disse an- cora , che allora una cosa era perfetta, quando ave- va quello che nella sua specie le conveniva (1). E ristesso dico, qualora il poeta, per meglio conseguir il suo fine(dl che si dirà più oltre), mutasse in qualche parte l'azione ^ ma però in modo, che avesse tuttavia e principio e mezzo e fine conveniente, e conforme all'aristotelico precetto. Ma lasciando ornai tutto ciò, rlcerchiam piuttosto che cosa intenda Aristotile per principio , mezzo e fine dell' azione, o favola^ perciocché, se si ragionas- se di un animale , com' è 1' uomo , il cavallo , il leo- ne, non fora difficile riconoscerne il principio , il mezzo e il fine; poiché chi è che non sappia , il ca- po nell' uomo esser principio, T altre parti estreme il fine, e le parti tra'l principio e fine trapposte es- ser il mezzo? Ma nelle azioni umane passa altrimen- ti; poiché queste, come quelle che per se stesse non son corporee, né si fanno oggetto dell'occhio, come r animale e cose tali , possono in ciò recar seco gran dubbio . Tanto più che 1' azion eroica , di cui è imi- tatore il poeta , è composta di tanta e tal moltitudi- ne e varietà di parti ,e di più è involta e distinta con tanti episodj , 1 quali son' anco per se stessi dif- ficili a riconoscere e distinguere dalle parti proprie dell'azione, o favola; che il voler discerner per ap- punto il principio, mezzo e fine, non pare se non malagevole. Ma siasi , che il tutto si potesse dlscer- nere , e riconoscere ; tuttavia ei non par vero, o pur necessario, che l'azione si rappresenti col suo prin- cipio, mezzo e fine, acciocché la favola ne divenga perfetta; perciocché noi sappiamo, che la guerra irojana ebbe il sito principio , il suo mezzo, ed il suo fine: e nondimeno altri, nel farne eroico poema, la prese a cantar tutta : altri, come Omero, una par- ticella , che fu l'ira d'Achille: e altri (come Dion (i) F. Metaph.-i cap. de Perfect» 226 MSCORSO TERZO Crisostomo 1 ) bramo , die al poema nel fine fosse stala aggiunta 1' espugnazion di Troja: quando pure, come Omero altrove scrive, alla raort« di Ettore co- tal' espugnazione fosse veramente seguita. E Quinto Calabro, quasi che l'istesso fine fosse manchevole, non ha dubitalo di aggiungerli molte cose, con darli fine molto diverso (2). Cosi parirtieote Omero, del- la navigazione e azion d'Ulisse fece principio il mez- zo ; e il mezzo, principio: siccome anco per appunto fece Virgilio della navigaziou d'Enea. Anziché quan- do l'ultima azione, o l'onorata morte con cui e U- lisse per leslimonio di Omero, ed Euea per teslirao- uio di Virgilio , chiuse la vita, si potesse o dovesse porte per line delle costoro azioni e favole,il fine an- co sarebbe stato trasportato; poiché non nel fine, ma avanti molt'altre azioni vien accennato, che questi colmi d'anni e di merli dovean felicemente chiuder la vita. Ollrachè Maffeo Vegio , poeta non infelice, o da sprezzare , all' Eneide (_ quasi che altro tlne se le dovesse ) non ha dubitalo di aggiungere un libro intero (3). Insomma la liberta de' poeti è tanta e ta- le, che qualor anco in una eroica azione si andasse scorgendo qual sia il vero principio, quale il mezzo, e quale il fine, par ch'èi sia in potestà del poeta tra- sportar le parti, con far principio da quello che è mezzo, e all'incontro por nel mezzo quello ch'è prin- cipio, ed il fine anco peravvenlura levarlo dal natu- rai suo luogo. E qui forse miro Orazio, ([uando scrisse: sic veris falsa reniiscetj Primo ne mediunij mtdio rw discrepet itnuni. Questi sono i dubbj, i quali mi occorrevano intor- no la dottrina di Aristotile , mentre vuole che l'eroi- ca azione e favola sia intera e perfetta . Ora cerclie- rò di spedirmene quanto prima mi fia possibile ; e tosto, se avvenga che ci resti sicuro e chiaro que- sto aristotelico precetto, passero a paragonar Tor- quato con Omero e Virgilio intorno a cotale integri-- tà; 0 perfezion della favola. ■ (i) Orai. XI. (i) Odiss.IF', * altrove. (3) Odiss. XI. ^neid. FL et XJL DlSCOaSO TERZO 22'? Conveiiieutlssiino , al parer mio, anzi necessario è Coiai precetto,* perciocché altrimenti in certa manie- ra fora mostro la favola ed il poema , e non legittimo e degno parto. Ditemi: se la natura producesse un animale senza capo o piedi , ovver anco pianta , la (jual fosse tutta tronco; non fora ciò mostro, e però parto indegno della natura? Si di certo. Or l' istesso avverrebbe senza dubbio dell'azione o favola , qua- lora o di principio mancasse o di tìne; giacché l'ar- te dee imitar la natura , ed in tanto fa elfetto conve- niente e perfetto, quanto s'attiene alle vestigia di quella . Ma tutto ciò concederà altri; ma però ricercherà che si mostri , come s'abbia a costituire o ricono- scere il principio, mezzo e fine della favola; giacché l'azione none a guisa di animale o pianta, sicché agevolmente possano disegnarsi e riconoscersi que- ste parli. Benissimo. Ma attendasi ad A.ristotile; che peravventura si troverà via da spedirsi di colai dub- bio. Principio (dic^egli 1 ) è quello, che non va necessariamente dopo altra cosa, ma ben ad esso al- tra ne segue naturalmente. Fine all' incontro è quel- lo, che naturalmente segue ad altra, e niente altro ha dopo. Mezzo é quello , a cui va avanti alcuna co- sa , e altra segue. Così nell'Iliade (quant' altri va dicendo) la discordia nata tra Agamennone e Achil- le, per Griseide e Briseida , è principio dell' azione ; poiché niuna cosa le va necessariamente avanti, ma ben essa naturalmente precede a molte cose; giacché indi si cagionarono i danni dell'esercito greco colla morte di Patroclo. Air incontro la morte di Ettore, colla restituzion del suo corpo e sepoltura, è veris- simo fine; giacché è necessariamente dopo altre co- se, come dopo la morte eh' egli diede a Patroclo, e la pugna eh' indi poi seco fece Achille. L' altre cose tutte , come le battaglie varie e i danni poscia da' Greci fino alla morte di Patroclo, sono mezzo, poiché seguono dalla discordia già detta, e precedo- (i) Paragr. 47. 2!2b OlSCUHiiO TF.R/,U no alla pugna ^ morie e restituzione dì Ettore. E iu questa guisa quello, ohe sono il capo e i piedi ucil'a- uimale, questo é principio e line nell' azione: e quello inoltre , che neirauimale sot» le membra tra '1 capo e i piedi interposte , queste sono il mezzo dell'azio- ne e favola. E per tanto , sebbene ,io non niego che più agevoi fia riconoscer il principio, mezzo e fi- ne nell'animale, e simili altre opere di natura , che neir opere di poesia ; tuttavia in queste ancora potrà riconoscerli , chiunque avrà la mira al bello inse- gnamento di Aristotile: convenendo discernere la tanta varietà delle parti colla propria norma ^ ripu- tando il poema in questa parte tanto reo o perfetto, quanto il suo principio, mezzo e fine consente, o re- pugna alla bella regola di Aristotile. Vero è, che gli episodj posson generar gran confusione o dubbio , essendo bene spesso difficile il discernere, quali par- tì siano proprie dell' azione , e quali tengano luogo di episodio ^ tuttavia di questo ancora da regole e iu- segnamenti Aristotile , come si dirà là dove si ragio- nerà e farà paragone degli episodj , siccom' anco do- ve andremo riconoscendo il nodo e la soluzione in ciascun de'poemi proposti. E se pur l'azione della guerra trujana fu in tanto diverse maniere presa e cantata , sicch'ei pare, che nò anco si possa dar la ciò regola certa , se però non vogliamo coutradirea- ^li esempi ^ Omero e d' altri poeti , i quali nel for- mar la favola hanno con Ogni libertà scemate, muta- le e trasposte le partì della proposta azione^ questa certamente, se pur fia detto ( che di ciò sì dirà or ora), non riuscirebbe in pregiudizio del bel precetto di Aristotile e dell'arte, ma delli non buoni artefi- ci: né proibirebbe, che noi non potessimo colla pre- detta regola andar paragonando il Tasso con Omero e Virgilio. Ma né anco è in efietto vizio e difetto, anzi prudenza e virtù del poeta il mutar luogo e tempo , ed insomma opportunamente un' azione, an- corché intera; perciocché, quantunque avesse e prin- cipio e mezzo e fine , tuttavia parte per esser bene spesso occulta quanto alle cause , o in tutto chiara DISCORSO TER/.O ì'i^ quanto al modo, ordine ed esecuzione; parte per trarne indi favola più maravigliosa, dilettevole e am- pia, com'anco murata e aflcttuosa , e soprattutto di bel nodo e maestrevole scioglimento , con ridurla a perfetta idea ed eroica maestà,* è lecito, anzi conve- niente alterare e variar 1' azione , e darle nuovo principio, e diverso mezzo e fine. Laonde, purché la favola, qualunque insomixia fosse T azione nel ceppo (per cosi dire) o massa dell'istoria , riesca di con- veniente e bel principio, bel mezzo e fine, poco o nulla rilieva che venga dal poeta mutala e rariata . Tanto più che è difficilissimo , e quasi impossibi- le che un' azione sia per se stessa e di grandezza e di maraviglia, e di tant'altre qualità e circostanze così ben accomodata e proporzionata per eroica fa- vola, che colla sola giunta e col semplice interponi- mento di alcuni episodj,e insomma senza alcuna mutazione delle parti, che essenziali vengono dette, ne riesca bella e perfetta favola. Sicché non disdice punto, che si dia alla proposta istorila azione nuovo principio, ovvero si vari! il mezzo o fine; o che alcu- na parte d'azione si riduca ad azione e favola intera: come per esempio avverrebbe della guerra trojana , qualor l'ira d' Achille , che pur nel corpo di tutta la detta guerra era menoma parte, coH'ajuto del poeta fosse stata ridotta ad ampia favola , sicché e di con- veniente principio, e debito mezzo e fine siscorgesse fornita. E pertanto la detta varietà dell' iliade, e sua azione cantata in tante e tante maniere; e, general- mente parlando, la libertà de' poeti (quando abbia la già detta convenienza e opportunità) non pregiu- dica punto. Sebbene , per quanto tocca ad Omero e Virgilio , se abbiano acconciamente alterata l'isto- ria ,e dato nuovi princlpj, mezzi e fini alT azioni, si vedrà non lungi. Benché, supposta la predetta rego- la e sua dichiarazioue , che cioè la libertà de' poeti nel mutar l'azione sia tanto ampia, quanto si è deti to , potrà quasi incontanente vedersi al tutto. Qui dunque, ritornando a quello che fu da noi propo- sto fin da principio, si faccia palese e chiaro, chi 230 DISCORSO TERZO abbia dato all'azione più conveniente principio, mezzo e fine, e con miglior industria ed arte ridotto a perfezione e integrità la favola, Omero, Virgilio, o pur Torquato; che di qua appunto >erremo anco a spianar ogni difficoltà, che più in particolare ci fos- se nata per occasione dell'Odissea , e di quel più che o Dion Crisostomo, o Quinto Calabro, o MalFeo Vegio, od Omero e Virgilio stesso, per qualsivoglia altra cagione ci tenesse sospesi e dubbiosi . E prima ei pare in ogni modo , che Omero nel- r Iliade si abbia eletta, o piuttosto sconciamente formata la materia e azione in modo tale, che non meriti di essere in modo alcuno riputata intiera e perfetta; perciocché s'ei fosse vero, che si propo- nesse di cantar la guerra trojana, l'azione manche- rebbe del suo principio e del suo fine. Del princi- pio, perchè tralascia non dirò per ora il giudizio di Paride, 0 rapina d'Elena, che pur furon la vera cagloa di tal guerra, ma l'adunanza o giuramento de' Greci in Aulide,o pur anco la navigazione del- l'armata, con quanto segui nell' arrivare a Troja : e pure alcuna di queste azioni, o altra tale fu il principio della guerra trojana,* e non già la pesti- lenza, 0 le preghiere di Crise per ricuperar la ra- pita Griselde; giacché questo fatto seguì dopo l'anno Ottavo dell'assedio d'Ilio,o guerra trojana. Del iìne, perciocché della presa dì Troja e suo eccidio colla ricuperazione di Elena, che fu lo scopo e propo- nimento , com'anco il termine e fine di cotal guer- ra, non se ne fa parola alcuna. Oltrachè non can- tandosi, se non quanto segui 1 uhim'anno (benché né anco intero), mancherebbe in buona parte del mezzo ancora . Laonde sarebbe appunto a guisa di uomo o statua senza capo , piedi e busto, sicché appena cosce e gambe vi si mirasse. Se poi voglia- mo, che la materia siano solamente i fatti dell' ultl- m'anno; contuttocciò resterebbe mostruoso poema, tralasciandosi (com'ho detto) la presa e assedio di Troja coir occasione di tanti eroi , ed il racquisto dì Elena. Laonde potrebbe dirsi con Orazio: UISCOBSU TERZO 231 Infclix operìs summa, qui ponere totani ISesciat . Olirachè il finir colla sepoltura ed esequie di Ettore, par clipei sia un dare all'azione fin molto alieno, anzi caricar la favola di nuovo fine, e eoa poca dignità de'Greci, a' quali nulla importava il chiudere il poema con nemiche esequie e pompe. Che perciò potrebbe non senza qualche ragione op- porsi pur con Orazio: amphora coepìt Institui, currente rota cur urceus exit ? Se finalmente co' più moderni si dica, che fu Tira d'Achille solamente, cioè lo sdegno e l'irà, onde l'afflitto e appassionato Achille e arse e pianse, ve- dendosi privar della sua amata Briseide 5 già sappia- mo, che tutto ciò ebbe il suo fine colla riconcilia- zione tentata da' Greci sì lungo tempo, e da loro contante ambascerie, doni e sommissioni, fin del ree principe dell'esercito Agamennone, ottenuta perfettamente . Laonde quivi, per esser giunta a riva l'ira d' Achille , e avuto il suo debito termine, che è la riconciliazione e pace, doveva terminarsi anco 1" azione e favola. Ozioso dunque fia tutto il restan- te; e perciò mostruoso il poema, giacché dopo il naturai fine seguirono molte e molt' altre cose. E se mi si dicesse, che mentre Achille se ne stava adirato con Agamennone e co' Greci per l'amata Briseide, fu sopraggiunto da nuova ira centra Etto- re per la morte del suo caro Patroclo: la qual' ira a guisa di chiodo, il qual sospinga e scacci l'altro, fece cessar la prima, e indusse Achille a combattere e ad uccìder Ettore; io (per lasciar che Achille al- lora per tal morte s' induce bene a piangere da Ome- ro, e non ad ira 1) opporrei, che in questa guisa ovvero foran due materie e azioni, o piuttosto il compimento della prima ira non sarebbe più il fine di tal' azione, ma mezzo per giungere al vero e ultimo fine, restando la proposiaionc fatta nel bel (i) Lib. XFIII; nel principio . 2^i2 DISCORSO TE?7.0 principio quasi del tJiUo vana p mendace ; giacché propone di cantar l' iri, che in Achille si desto nel venir a conlesa con Agamennone; che fu per l'in- volata Briseide. A questo si 'igg>«i«>ge, che sebbene Omero nella proposizione dà chiaro segno di voler cantar l' ira di Achille ; tuttavia, se si mira all'esecu- zione j e al fatto istesso che molto più dee rimirarsi, parche ogni cosa incammini all'espugnazion d'Ilio, e alla ricuperazione d' Klena. Laonde per questo stanno continuamente facendo consiglio i Dei , e dispulan- do sempre, se si debba permettere l'espugnazione: per questo vengono a contesa, combattendo da una parte e l'altra : per questo anco si combalte più vol- te fra' Greci e Trojan! ; e ( quello che vai per tulio ciò che si potesse addurre ) per questo si lenta e procura sempre la riconciliazione di Achille , veden- dosi che senza di lui non si poteva domare Pittore, ed espugnar Troja . Tantoché Orazio , maestro pur di quest'arte , riputò e chiamò Omero scrittore della trojana guerra. Ma che dico io di Orazio ? Virgilio slesso, il quale ne'sei ultimi libri assai scopertamen- te imito r Iliade, siccome ne'sei primi fe'quasi una latina Olissea, terminò il poema non solo colla morte di Turno, ad imitazione della morte di Rtio- re , ma ancora con l'incendio e impresa espugna- zione di Laurento, città regia di Latino, e difesa insieme da Turno: dove si vede, che l'espugnazione o conquista d'Ilio fu da Virgilio imitata e rappre- sentata, come fine e termine dell'iliade, o almeno fu riputata debita si, ch'egli ebbe per vizio il veder- la tralasciata da Omero. E se pur la città di Lauren- to non fu da Enea in tutto arsa e distrutta, anzi né anco interamente espugnata; ciò avvenne, perchè ritornando Turno a duello con Enea, questi (giacché uccidendo Turno reslava, conforme a'patti ,di Livi- aia marito, e della città e reggia paci6co erede) ebbe per bene di soprassedere dall' incendio e strage, sic- come anco da spogliar Latino del regno. E pertanto, o che l'azione dell' Iliade fosse la guerra trojana tutta, ovver parte, o l'ira d Achille; l'azione o favola nou DI&CUBSO TtR/O 233 si può riconoscere per Intera e perfetta. Ma non cosi avviene nel bel poema del nostro j^ran Torquato; po- sciache la guerra ed espugnazione , ower liberazio- ne gerosolinùtana , seguita sotto Goffredo, ha il suo naturai principio, e il mezzo e fine così proprio e na- turale, che non può desiderarsi azione più compita e perfetta . Laonde dal principio, che è l'elezione di Goffredo per capitano dell'impresa, per chiarissimi, debiti e proporzionati mezzi , che son la rassegna dell'esercito, l'iaviamentodeir istesso allaCittà santa, con gli assalti dati e le battaglie fatte co' nemici (che altre cose trapposte , come vedrassi , o son particelle e membra delle predette, o appartengono agli epi- sodj), si perviene al proposto e desiderato fine dell'e- spugnazione, e al scioglimento de' voli al sacrosanto Sepolcro. Insomma l' elezione fatta di comune con^ senso nella persona dì Goffredo, acciocché sia prin- cipe e capitano dell'impresa gerosolimitana , è prin- cipio COSI proprio e accomodato , che non solamen- te non segue di necessità ad altra cosa propria di colai' impresa ; ma da esso poi con molto acconcia maniera , e naturalmente ne nasce e deriva quanto poi segue tino all'espugnazione. All'incontro l'espu- gnazione e liberazione della santa Città , oltre non aver altro dopo di sé, segue così naturalmente e dal principio e dai mezzi proposti, che fin più accon- cio non può desiderarsi. Finalmente la rassegna, r inviamenlo , gli assalti , le battaglie vanno così naturalmente dopo il già detto principio, e avanti il proposto fine, che senz' alcun dubbio ne appajono ottimo mezzo. Anziché concorrendo a costituir^ Gof- fredo principe e capo dell'esercito ed impresa santa, e la divina provvidenza ed elezione, e il celeste mes- saggiero interprete e ministro della volontà divina, ed il concilio de' principi e capitani , col consenso e applauso dell'esercito tutto; questo principio riesce tanto più bello e nobile, quanto ch'egli ebbe tutto il concorso degli umani e divini favori . Onde non è poi maraviglia , che a così stabile e accomodato principio seguisse corrispondente e proporzionato 23'f DIRCOBSO TERZO fine. Né mi opponga alcuno , che Torquato non co- minci dal proprio e debito principio, giacché ( quau- t' alcun va dicendo ) erano ben sei anni che in Ghia- ramonte sotto Urbano^ per opera di Pietro Eremita, ebbe principio la risoluzione e disegno di far cota- le impresa 5 e clic perciò gli eserciti adunati in Cal- cedonia e di li passati in Asia, avanti di far l'im- presa di Terra-santa , avevano di già acquistato Ni- cea, con Aotiocliia appresso e Tortosa, e fatto mol- te battaglie e imprese: perciocché tutto questo risul- ta a favor di Torquato, ed a mostrar il suo fino e nobil giudizio nel formar ben l'azione. E questo per due eflìcacissime ragioni. La prima è, perchè qualor Torquato avesse cominciato a tessere il poema dalT adunanza di Ghiaramonte, o pur anco dal passaggio di Galcedonia in Bitinia, avanti di potere spiegar l'impresa e liberazione gerosolimitana, li sarebbe venuto addosso maggiore moie di azioni e di case, di quello che soffrir potesse un giusto poema: che per simil cagione appunto Aristotile (1) lodo altamente Omero , come quello che molto saggiamente aves- se eletto solo una particella della guerra trojana , e non tutta; essendoché altrìmente fora riuscito il poe- ma di troppo soverchia, anzi d'immensa grandezza, mancando l'opportunità di poterlo spiegar accon- ciamente , e con poetica ampiezza adornarlo, e ar- ricchirlo coir invenzione di belli episodj, come con- viene: la qual ragione cade maravigliosamente nel caso di Torquato. L' altra è, perchè né anco si por- geva occasione di far poema d' un' azione , sì per es- ser accorse molto diverse e principali battaglie ed imprese, e di più anco molti regj conquisti, de' qua- li ciascuno aveva la sua trasmutazion di fortuna di- stinta; come anco perchè Goffredo non era stato ca- po prima di questo tempo , nel qual si rivolser l'ar- mi alla gerosolimitana impresa. E per tanto, aven- dosi proposto Torquato di cantar 1' impresa geroso- limitana , conveniva che non d' altronde facesse (i) Paragr. iiS. DISCORSO TERZO 235 principio , die dall'elezione del capo ; polche quan- to s'era fallo avanti ^ non era impresa propria di Goffredo: né conveniva, anzi né anco senza incor- rere in qualche mostro si poteva tessere e unire il lutto insieme, se non peravventura quando i prece- denti fatti ed imprese si fossero con digressione ed episodio iniessute e trapposte. Sicché Torquato per far poema e d' una sola azione e di giusta grandez- za, e alto ad ornare e abbellir con episodj , non po- teva d' altronde comodamente far principio. In- somma r artificio della Gerusalemme liberata, per quanto tocca all'integrità e perfezione (che di que- sta disputiam ora), a me sembra così nobile e bello, ch'io non saprei immaginarmi , che né anco l'invi- dia trovasse agevolmente ove emendarlo: se però non dubitasse alcuno tuttavia, che l'ordine naturale ser- vato dal nostro Torquato fosse piuttosto proprio del- 1 istorico ,0 altro tale scrittore, che conveniente al poeta. Di che essendo stato da noi sopra tal cosa du- bitato già buona pezza, si dirà fra poco, mostrando che in ciò particolarmente il nostro Torquato è de- gno di molla lode: tanto è lontano, ch'ei non possa venir giustamente biasimato. Magia parrai di vedere, eh' altri ricorra all'Odis- sea, quasiché in questa eia materia sia evidente; sapendosi , che vi si cantano gli errori o peregri- naggi d'Ulisse; e l'unità sia chiara, essendo colali errori con beli' ordine dirizzati alla felicità; che poi dopo tanti travagli conseguisce in Itaca , e con- seguentemente l'azione e favola sia intiera e per- fetta , avendo il suo naturai princìpio, mezzo e fine. Sicché, qualunque giudizio si faccia dell' Iliade, l'Odissea (dirà alcuno) è quella, onde Omero re- sta non solo eguale, ma duce e maestro di qualun- que altro abbia formalo poema d' intera e perfetta favola. Ed io ( se vale a confessarne il vero ) temo grandemente, che appunto per questa istessa ragione Omero resti tuttavia al nostro Torquato inferior di gran lunga ,• posciachè né la proposta materia del- l'Odissea è così evidente e chiara ^ che non rassen^- 236 DISCORSO TEBtO bri di doppia azione e favola, siccome da altri è slato mostralo appunto nel precedente Discorso; né il principio o mezzo (se la dottrina di Aristotile dee ia ciò servir per regola e norma ) ritiene il suo na- turale e debito luogo: poiché, per lasciar i perc- grinag^gi di Telemaco, i quali ritengono pur luogo di principio, e principio poi assai aìnpio-, gli er- rori d' Ulisse son cantati in guisa , che i mezzani formano il capo della favola, e i primi all' incontro formano il busto, sicché appena il fine ritiene il suo naturale stato e debito luogo. Benché forse, a chi ben mira, né anco il fine riticn debito luogo: posciachè essendosi di già Ulisse ridotto a felicita , con dar la morte a' Proci, e ricuperar la consone, il figliuolo e la patria , colle sue tante ricchezze ,• a che di nuovo addurlo in nuovi tumulti e pericoli, sicché li sia forza prender tuttavia l'armi , e con tanto pericolo combattere e spargere 1' altrui san- gue? Né mi dica alcuno esser ben vero, che Aristo- tile ricerca nell' azione principio , mezzo e fine; con aggiunger , che principio sia quello, al quale se- guono naturalmente l'altre cose, ma non però ha di necessità avanti di sé alcuna cosa, con tutto quel- lo che già più volte si è divisato del mezzo e fané; ma che non per questo nega , che qualor sia fatta elezione di azione, fornita di debito e naturai prin- cipio, mezzo e fine, si possa poi nel disporre le parti andar mutando l'ordine, se così torni ad uso, siccome fece appunto Omero e Virgilio; perciocché Aristotile, dopo aver mostrato che cosa intenda per principio, mezzo e fine, il qual ricerca nell'a- zione e favola, quasi eh' ei temesse appunto ch'al- tri non restasse sospeso, o andasse cavillando, quan- to alla disposizione, soggiunse: Aa ot'pa t«« cwffrulxj TfXfUTÒLv, dwà K'Yfy'iC^^i Txii ìipyiuvjxi; ìh'xiii Bisogna dunque j che le favole ben composte non comincino da qualsivoglia parte, né in qualsivoglia parte ab- biano fine; ma che ben osservino le predette for- me. Dove mostrò che razione non solo in se stessa DISCORSO TERZO 137 (.sia*i ciò per natura del fatto, o per induslrla del poeta), ma per la disposizione ancora debba avere il suo naturale e debito principio, mezzo e line; e che insomma non si possa tessere o cominciar da aliru principio , né continuar con altro mezzo e fine, che col naturale, da lui ampiamente proposto e di- chiarato. E per questo anco rassomiglio l'azione, o favola, a bello e grazioso animale j il quale ben si £a , che qualor ci si offerisse in modo che il capo , o altro membro non ritenesse il suo naturale e })ro- julo sito, non bello animale, ma mostro rassembre- rebbe. Sicché in tante angustie ben si potrebbe alla ventura prender contesa con Aristotile^ giacché non solamente Omero, ma ancora Virgilio e altri molti pregiali scrittori si mostran contrarj a tal precetto, e si scostano dall'ordine naturale ^ ma che Omero, salva la dottrina d' Aristotile, possa nell' Odissea gareggiar d' integrità e perfezione di favola con Torquato, non fia mai vero. Ma passiamo ornai a paragonar in ciò il nostro Tasso con Virgilio; che al fin ritroveremo più ma- turamente^ se sia espediente Ciitrar nella già detta tenzone , ed eseguiremo quanto ci detterà il biso- gno . A me dunque pare in ogni modo, che in ciò Torquato resti superiore a Virgilio ancora; poscia- chè, sebben Virgilio nell* imitar l'Odissea accorta- tamente tralascio tutta la peregrinazione di Tele- maco; sicché dopo la proposizione, e dalli quattro primi libri, dove Telemaco ^e ne va peregrinando a Pilo e Sparta , e da molte altre parti dell' istesso poema , dove esso Telemaco ritorna ad Itaca , e opra molte cose per ridursi insieme col padre a felice sta- to, si guardò come da perigliosi scogli; fuggendo in ciò gr inloppi d'Omero , il quale insomma par che due azioni ci vada rappresentando , onde poi più principj e mezzi scoprendosi, la favola non ha debi- ta perfezione: contuitocciò ei par insomma, che per altra strada tornasse ad incontrare in altro simile scoglio . Perciocché, avendosi proposto d'imitar nel suo poema e restringere 1 Iliade ancora , come ha 238 DISCORSO TERXO fatto ne' sei ultimi libri, ha dato grand' occasione (come s'è anco accennalo da altri ) di sospettare, che 1' Eneide abbracci non una, mt ben due intere azioni i sicché poi, avendo ciascuna il suo princi- pio, mezzo e tìne , due integrità sarebbono nell'E- neide: ào\e che noi ci debbiam mollo ben contentar d'una sola. E sebbene io non dubito> ch'egli fin da principio ebbe proponimento e mira di far quanto più si poteva una sola azione*, e perciò nella prima proposizione rinchiuse e gli errori e le guerre d E- nea , e di più congiunse poi assai accoiiciaraente il fine degli errori coli' occasione delle guerre e vitto- rie, sicché in certa maniera il principio degli errori è il capo, il mezzo e fine degli stessi; com'anco l'ap- parato bellico col principio della guerra , è il mez- zo ; e i progressi della guerra, colle battaglie e in- cendio di Laurento , e morte di Turno, sono il fine : tuttavia ninno è il qual non vegga, che il princi- pio del settimo libro congiunge due molto diverse azioni ( che perciò abbia anco per bene di usar mol- t' ampia proposizione, e invocazione), e tali che Ta- na e r altra poteva porger assai ampio campo: tanto che, se pur siano unite, ben vi è stato bisogno del- l'ingegno maraviglioso di Virgilio; sebben contuttoc- ciò ei parve, che da molti presso ne venisse riputa- to e ristretto: poiché mentre andò aspirando a rap- presentar l'Odissea e l' Iliade insieme, cioè due am- plissimi poemi , e tutto ciò anco con gravità tale e tanta, che ninna cosa come prolissa o vana e leg- giera se li potesse opporre , siccome peravventura occorreva ad Omero, parve ch'egli avesse minore am- piezza di parole, che di cose. Insomma, quando anco l'argomento dell'Eneide per una sola azione venis- se accettato; tuttavia almeno in Torquato né anco vi è slato , 0 vi può essere di tal intoppo sospetto alcu- no. E per tal causa silmo io ch'ei lasciasse di cantar gli errori del campo cristiano fino a condursi in So- ria , com'arcbbe potuto fare con bella e maraviglio- sa invenzione e rappresentazione, se egli avesse avu- to per bene d'imitar anco i sei primi libri di Virgin DISCORSO TEBZO 259 Ho 5 e r Odissea . E sebbene potè ciò tralasciar anco per altre cause, come per fuggir la soverchia gran- dezza e mole del poema, per non aver le cristiane genti avuto per avanti un sol capo, o pur avuto al- tri che Goftredo, e cose tali ; tuttavia, perchè alla li- berazione gerosolimitana erano preceduti non solo viaggi, ma nobili vittorie e reg] conquisti, i quali per se stessi porgevano ampia materia di giusto eroi- co poema , egli per mio avviso tralasciò il tutto, per abbracciar azione veraaienle una, intiera e perfetta. E sebbene egli ebbe pur qualche pensiero di accen- nar anco nel Goffredo quanto segui avanti il sesto annoj tuttavia ciò disegnò di fare con un episodio solamente, cioè ( com'egli in alcun luogo va accen- nando ) descrivendo un padiglion da campo . in cui (ad imitazione appunto degli scudi di Omero e \ ir- gilio , e molto più dell'Ariosto) fossero storiati i detti successi: il che niun pregiudizio avrebbe reca- to all'unità e integrità della favola, la quale allor solo verrebbe perturbata, quando tali imprese vi fos- sero state intessute come azione. x\ questo si aggiun- ge che il fine del Goffredo è tanto naturale, che noa vi si può desiderare cosa alcuna , giacché coutiene una perfetta e felicissima trasmutazion di fortuna del campo cristiano : e quella appunto, la qual fu e da principio proposta per fine e scopo, e nel progres- so sempre cora'uUimo fine procurata;cioè di liberar dal giogo indegno di servitù la Città santa, e aprir li- bera e sicura strada al Sepolcro sauto di Cristo . E pur Virgilio parve che si proponesse, e nel progres- so come ultimo e bramato fine rammentasse il fon- dar una città, per cui risorgesse il trojan regno:del- la qual fondazione non si ha per sicuro, che alfin Virgilio si rammentasse , o che pur vi giungesse col suo poema. Sebbene, giacché son molti, i quali hanno l'ordine dell'Odissea e dell'Eneide per ottimo, anzi ne fanno lesse, escludendo anco l'ordine naturale , il qual solo par ricevuto da i^ristotile; piacciavi , vi prego, uditori cortesissimi , ch'io passi a disputare ed esaminare questa bella f[uestione , acciocché si Conlnw. T.lp\ 16 240 DISCOUSO TRRX9 vegga se pur almeno in questa parte resti il Tasso iuleriore a \ irgilio e Omero , o pur superiore e vit- torioso in questo ancora: che tosto poi me n'andrò camminando al line. Dunque due ordisii possiamo noi immaginarci per lo racconto e tessitura dell azione o favola: uno na- turale , ed è (|uello che prima racconta le cose pri- me, poi le mezzane, e l'ultime al fine, nel modo appunto clie Aristotile va dichiarando . 11 qual or- dine vien anco da alcuni chiamato isturico : e que- sto , perchè V istorico ancora dee seguirlo , riferendo i successi delle cose per ordine , come sono avvenu- ti. E per l'istessa cagione da alcuni vien anco detto tvui^ohg^ cioè dì buon metodo e via; essendoché chiunque dal principio cominciando, quindi passa al mezzo , e poscia al fine, segue buon sentiero e via commodissima e per lo racconto ,e per l' intelli- genza e memoria . All'incontro possiam anco imma- ginarci un alte' ordine, che da alcuno perturbato vien detto o commutato , e da altri a.^u.t'^oSof, cioè sen- z^ ordine e via, e da qualche altro (per non infa- marlo forse col nome, anzi per nobilitarlo, ed insie- me distinguerlo dal naturale ) vien chiamato artifi- ciale ; eà. è c^\xe\\o , nel quale il successo non si rac- conta col suo ordine naturale, ma con alcuna tra- smutazione delle parti. Orazio dunque nella sua Poe- tica ( eh' io per me da più alto principio non so rin- tracciare opinione tale) parve, che in ogni modo sti- masse e comandasse, che il poema dovesse usar que- st'ordine artificiale. Posciachè, sebbene aveva in ciò più volte commendato l'ordine, come allorch'ei disse: Singula quceque tocuni teneant sortita decenter, ovvero : Ordinis h(Bc virtus erit et x^enus, aut ego fallar , Ut jam mine dicati jam nane debenria dicij PlcrtKjue dijferatj et pri^sens in tenipus omittat; benché quivi parve, ch'ei cominciasse anco ad ac- cennare ed introdurre il suo mistcrio dell' ordine perturbato i tuttavia lodando poi Omero, così scrisse: Nec reditum Dioniedis ab intvritu Meleagri; DISCORSO TF.nzo 241 Nec gemino hellnni trojanum orditur ah ovoj Semper ad eventurn festinat; et in medias res Non secus ac notas auditorem rapit . Ne'quai versi , dopo aver ripreso Antimaco, o qua- lunque altro fosse , che cantando il ritorno di Dio- mede , fece principio dalla morte di Meleatjro , zio di esso Diomede: e coli' esempio di Omero vietalo , che nel canlor la guerra trojaua si cominci da alto o lontano , come dall' uovo di Leda , onde poi nacque Elena, per lo cui raiio segui la detta guerra ; loda e comanda che il poeta, ad esempio di Omero, si affret- ti agli avvenimenti e successi delle cose, anzi rapi- sca gli uditori alle cose del mezzo. Nel che potè ben aver riguardo all' Odissea, in cui par notissimo che Omero : in medias res Non secus ac notas auditorem rapit} ma però ebbe priucipal riguardo e mira ali Iliade, giacché ragiona della guerra trojana , lodando Ome- ro perchè non ab ovo Ledce cominciò la trojana guerra, ma ben si affrettò a' successi , e ci rapi nel mezzo. 11 che gli avvenne per mio avviso, perchè non giudicò egli , che sol l'ira d'Achille fosse argomen- to dell' Iliade 5 ma bene stimò , com' hanno fatto al- tri molli degli antichi, che proponimento di Omero nell'Iliade fosse di cantare la guerra trojana. Il che supposto, sarebbe verissimo che Omero 'si affrettò a' successi, anzi ci rapì alle cose mezzane, e vicino anco all'ultime, che furono i successi dell'ultimo anno. E con tal indirizzo cavano molti dall'Iliade ancora , ch'ei non si debba cominciare il poema dal- le cose prime e con ordine naturale , ma ben dalle mezzane e con ordine perturbato o artificiale. La qual'opinione fu poi molto ampliata e celebrata da un altro , ma moderno poeta, il quale con latino sti- le così cantò: Hnud sapiens quisquam^annales ceu congerat Ili Inchoat excidium iieteri pastoris ah usane ludicio, memorans ex ordine singula quicquid yid Trojani Argolicis eessatumest Heetote duro. 2'^S DISCORSO TEBtO Comenient potius propè finein proelia tanta Ordiri, atquc ^raves iras de virgine rapta Adversl jEacidoc prcBrnittere : tutu fera bella Consurgunt, tum pieni omnes Danaumque Phry- ^Uniffue Xantuscjue Simoisque inundant sanguine fossce: Huud tainc.n intcrea quce prcecessere silenduni, Auhde jìirantcs Danaos , vcctasque per asquor Mille ratesy raptunique HeleneSj et conjugis iras, Qiuequc novem Troja est annos perpessa priores (1 ). Cosi descrisse questo poeta, supponendo pure anch'e- gli , che la guerra trojaua fosse proprio argomento dell Iliade ; e che perciò Omero dalle cose di mezzo, anzi ultime quasi , fatto principio , indi poscia se ne fosse tornato alle prime. E l'istesso incontanente canto dell'Odissea , cosi seguendo: yitque etiam in patriani si quis deducere ad ortus Errantem La'értiadem post Pergania capta. Non illuni ideo solventeni è littore classeni Cum sociis primum menioretj Ciconesque subactosj Sed jani tum Ogygiain delatum sistat ad alta T^irginis, ammissis sociis , Atlantidos antra; Exin post 'varios Pheacdm in regna labores Inserat: hispositis denuini ipse Cmiserrima'.J mensis , Erroresque suos narret, casusque suorum. E l'istessa opinione fu anco assai scopertamente fa- vorita da Macrobio , il quale stimando che Virgi- lio (com'è anco in elfetto ) avesse nell'Eneide, ad imitazione dell'Odissea di Omero, abbracciato qua- si' ordine : Nec illuda die' egli , cuni cura magna re- laturus suni, licci, ut existimOj non omnibus obser- s^atuni: quod cum primo 2>ersu promisisset productu- runi sese de Troiai littoribus yEneani: Trojas qui primus ab oris Jtoliam fato profugus, Lavinaquc venit Li t torà ; ubi ad januam narrandi venit, vEnece classem non de Troia j sed de Sicilia producit : (i) Fidae, Poet. lib. Jf. DISCOUSO TIÌK/O 243 P^ix è conspectu siculce telluris in altum Vvla dahanl Iceti . Quod totani Honmricis filis intexuit. Ipse eniin vi- tans in poeniate historicorum similitudinein, quihus Ivx est incipere ab iuitio rerum, et continuam nar- rationem adjinein usque perducere; ipse poètica di- sciplina a rerum medio coepitj et ad iiiitiuni post rei'crsus est . Ergo Uiyssis errorem non incipit a trojano littore describere , sedfacit eum primo naui- gantemde insula Calypsonis^ et ex persona sua per- ducit ad Pheacas. lilic in convivio Aleinoi rczis narrai ipse, quemadmodum de Trojà ad Calypso- nem usque pervenerit. Post Pheacas, rursus Uiyssis navigationem usque ad Ithacam ex persona propria poeta describit . Quem secutus Maro, jEncam de Sicilia producit : cujus navigationem describendo, perdncit ad Lybiam . Illic in convivio Didonis nar- rai ipse jEneas usque ad Siciliam de Troia navi- gationem suam: et addidit uno versu, quod jam co- piose poèta descripserat : Hinc me digressum vestris Deus appulit oris. Cicerone ancora parve che approvasse tal ordine, quando rispondendo ad alcune proposte, confessò di cominciar dalle cose ultime, o mezzane, a guisa che fece Omero (1). Nel che Quintiliano ancora viene stimalo, per 1' uso di tal proverbio , a Cicerone con- forme (2) . L' islesso ordine vien osservato e com- mendato da Eustazio gran commentatore di Omero , ed insomma da altri assai più moderni . Benché tal parere in qualche maniera si potrebbe attribuire a Plutarco ancora^ posciachè , siccome pare eh' ei dia all'Iliade per argomento la guerra trojana , cosi va osservando che Omero ebbe per bene di far princi- pio da quei fatti , onde gli eserciti erano maggior- mente in moto \ siccome anco nell'Odissea dagli ul- timi errori (die' egli ) si fa principio. Ne per altra cagione avvenne forse, che Eliodoro nell' istoria di (i) Lib. L EpisLad ' Attic. Epis. XIF , prineip. {i) Quinti l. appresso il Cast, p . i ovvero XI TI in 55. 24'1 DISCORSO TKKZV Etiopia segui l'ordine pertuibalo , se non per Imitar Omero: siccom'anco ha fallo qualche altro poeta tanto greco, quanto latino, ed italiano. La ragione poi, ond^ pare che altri approvi tal ordine, è tanto, ac- ciocché la narrazione poetica sia dillerente dall'ìsto- rica, e per conseguenza la poesia dall'istoria; quan- to anco affinchè, mentre vengon tralasciate le prime cose, e si rapiscono gli uditori nel mezzo, gli animi di essi uditori restio sospesi e quasi cattivi , atien- deado più avidamente i successi, per intenderne an- co, quando che sia, le cause, l'ordine e lo stalo tut- toj «iccom'anco avvien poi, rintracciandosi dal poeta in progresso i principj delle cose e le cagioni. Ben- ché argomento principale in questa parte dee essere l'autorità di Omero e Virgilio, de' (|uali il primo nell'Odissea , l'altro nell'Eneide ha cosi scoperta- mente amato , e (per così dire) afFettato quest'ordine perturbato, che altri poi l'ha riputato legge, e come legge seguito. Laonde da alcuni Lucano vien levato dal numero de' poeti, sol perchè cominciando dalla risoluzione fatta da Cesare di passare il Rubicone, non l'ordine artificiale, ma il naturale abbia segui- to. Cosi dunque vogliono alcuni, che non d'altron- de nascesse il proverbio u^ripov Trpo'rfpov óu.j)p(KÙ;, cioè al contrario j e con ordine perturbato ad usanza di Omero , se non perchè colai ordine fosse celebre , e da'poeti come per legge ricevuto. (ìhè appunto Quin- tiliano chiamò anch'eglì quest ordine Omerico, sic- come ad altri giova di chiamarlo poetico; conchiu- dendo soprattutto, che nell'eroico poema l' àtx^io. sia e'jla^t'ot, l'ordine perturbalo , dico, sia ordine re- golato: e quegli debba riputarsi avere scritto cuacOo- ^'j?, e con buon ordine , il quale scrive 0Lut0o3u;«, e dall'ordine si diparte. Che più? avendo Aristotile avvertilo (1), che la narrazion poetica non debba es- ser simile all' istorica; perchè non giudicheremo noi, cha dell'ordine ancora abbia ciò inteso? Questo è quanto al presente mi occorre a favor dell' ordine perturbato ed artificiale . (i) Paragr. 124. DISCORSO TER/.O 2 't5 Diir altra parte , per l'ordine istorico e naturale, abbiamo primieraiiiente la dottrina ed opinione di Aristotile così viva ed espressa, e da'suoi inter- preti cosi senza alcun contrasto per aristotelica e chiara riconosciuta, che da uomo di giudizio non se ne può dubitare in modo alcuno. Tanto più che, mentre poi va osservando che la narrazion poetica debba essere dall'istorica differente, egli si dichia- ra in modo che non può lai precetto , se non a tor- to, trasferirsi all'ordine delle parti 5 mostrando egli, che la narrazion poetica debba esser differente dal- l'istorica , tessendo e spiegando una sola azione e non molte , come bene spesso avviene all'isterico: il quale, come quello che va seguendo il filo de' tempi , sovente anco abbraccia e spiega varie azio- ni , secondochè dal tempo se gli presentano. Ab- biamo ancora nell' Iliade 1' esempio di Omero, il quale se pur prende a cantare l'ira d'Achille, co- me al presente da molli e molti vien giudicato, e com' egli chiaramente propone , senza dubbio seguì l'ordine naturale, e non perturbato; giacché co- minciando dalla discordia ed ira d'Achille con Agamennone, eseguendo co' danni cagionati per tale ira nell'esercito greco, e di qua passando alla riconciliazione , fini colla pugna di Achille e morte di Ettore. Nel che si potrebbe anco addurre l'esem- pio ed autorità di molti altri poeti, come di Orfeo, ed Appollonio tra'Oreci, e Valerio Fiacco tra La- tini, i quali neir Argonautica non si dipartono pun- to dall'ordine naturale, anzi fanno principio fin dal timore che, per la risposta dell' Oracolo, di Jasone ebbe Pelia ; onde gì' impose il conquisto del vello d'oro, per cui poscia Jasone adunnti i compagni tiavigò in Coleo. Così anco e Lucano e Stazio e Si- lio, ed il Petrarca nell'Affrica, ed il Sannazzaro nel Parlo della Vergine, abbracciarono 1' istcsso ordine. Che di Lucrezio e Ovidio, mentre quegli cantò 1' o- pre della natura, e questi i giorni sacri e fasti dei Romani, non può dubitarsi: siccome né anco di Ovidio tuttavia, o di Virgilio^ mentre l'uno le tra- 246 DISCUTO EBi&O sformazionl, e l'altro r opre eir agricollura va nei suoi versi spiegando, veneud in questi poemi 1' or- dine atteso maravigliosamcnt. Ma non fa mesliero trattenersi naolto nell' aulorit, giacché ci si offeri- scono per questa opinione viv ed efficaci ragioni . £ prima, se 1 arte imita la matura , anzi tanto fa opra belle e perfetta, quanto /a seguendo le vesti- gia di questa sua nobil maes'a elguida; come fia vero, che «enza errore rilcna nell'eroico poema altr' ordine,che il naturale? Uè la poesia o favola dee esser simile a bello e gravoso animale ; chi non vede che la favola di ordine crturbato, non a bel- lo animale, ma a mostro riuso ibbe simile e rispon- dente? Oltrachè se la poesia on è altro (per così dire) che favellante pittura, «come la pittura al- l'incontro è mula poesia; coni fia mai che il poe- ta , contro ogni uso della pitira , formi figure con membra e parti perturbate, trasportate dal suo naturai sito e debito luogo PSi aggiunge, che la mente ed intelligenza umana, resentandosele favola disordinata, si confonde, e la lemoria si perturba e vacilla: dovecchè l'ordine n;urale ajuta maravi- gliosamente e l'intelligenza e i memoria, tanto di chi scrive e narra, quanto di ci legge ed ascolta. E certo, se l'epico venisse posi in necessità e stret- tezza di spedirsi in poche ore siccome avviene al comico e tragico , che azione e avola d'un sol giro di Sole ci rappresenta; si potrobe forse andar tolle- rando, ch'egli si affrettasse ali cose di mezzo, ed a' successi (sebbene nella conimdia e tragedia anco- ra vi è chi né anco per tale siiittezza di tempo si lascia distorre e disviare dall rdine naturale); ma avendo ogni ampiezza di temp, sicché azione di molti anni e molti lustri ci rapresenla, ei non par tollerabile in modo alcuno. Fialmente repopeja é differente dall'istoria per tan altre ragioni, che pur troppo sciocco fora colui , quale par tal cau- sa , per far dico il poema differnle dall' istoria , si desse a perturbar l'ordine, e cofonder la narrazio- ne. Certamente l'obbligo, il qale ha l'istoria, di DISCORSO TERZO 247 non fingere o d o'', come anco di non tralascia- re o dissimula -ero in cosa alcuna, dovrebbe esser bastante i 'la differente dalla poesia: tanto più non conven all' isterico la poetica imitazio- ne, ma ben la s ce narrazione. E pur vi è di più r elocuzione, 1 con altre cose molte (che di ciò si ragionerà di lente a suo luogo), per le quali vengono così st e e distinte, eh' ei non fia rae- stiero mutare, erturbare nella poesia Tordinej se però non vol questi tali col perturbare, anzi tor via l'ordiiiL urbare e tor via ad un tempo quello che è no dell'arte, fondamento della natu- ra, e sopralluti de'nobili componimenti e belle scritture. Ma < co io luce delle scritture? anzi (quanto vanno rando i più pregiati filosofi) è vincolo, forma „ileaza del mondo, senza cui al- tro non fora 1' unisrso, che mostro e caos, ed in- somma orrido . iso e deforme . Queste sono le ragioni , per le ci pare in ogni modo, che l'or- dine naturale > anteporsi all' ordine artificiale: se pur ordine jiamarsi quello', che vien tutto fondato nella sione e disordine j anzi (come s' è andato w.< do ) distrugge i fondamenti .^, principj dell a . :'^ Che diremo ciurjue; giacché per ogni parte ci si presentano ragion così vive e gagliarde^ e seguaci di tanta autorità < stima ? Io certamente udirei più volentieri il pn altrui , e bramerei che uomo di elevato ingegno no giudizio, attese le ragioni e fondamenti dell aa e l'altra parte, risolvesse il dubbio, che in orre in sì grave contesa il mio parere . Ma pò dopo aver io buona pezza schi- vata sì difficii ne, pur finalmente mi vi trovo respinto, né pi pedire il paragone proposto in- terno all'integ Iella favola, se prima non si ter- mina cotal tenzoi3^ ecco che io finalmente dirò quel che ne senio Stimo io. Signei, che 1' uno e 1' altr'ordine si possa con cert» r- ebila opportunità ritenere: e che perciò , patena r 1' una ed or l'altra strada pren- 246 t»I scorso lEE^ sformazìoni , e T altro l'opre delT agricoltura va nei suoi versi spiegando, venendo in (juesti poemi 1' or- dine atteso maravigliusamcnte. Ma non fa mesliero trattenersi molto ncll' autorità , giacché ci si offeri- scono per questa opinione vive ed efficaci ragioni . E prima, se larte imita la natura, anzi tanto fa opra belle e perfetta, quanto va seg-uendo le vesti- gia di questa sua nobil maestra elguida; come fia vero, che senza errore ritenga nell'eroico poema altr' ordine, che il naturale? E se la poesia o favola dee esser simile a bello e grazioso animale ; chi non vede che la favola di ordine perturbato, non a bel- lo animale, ma a mostro riuscirebbe simile e rispon- dente? Oltrachè se la poesia non è altro (per cosi dire) che favellante pittura, siccome la pittura al- l' incontro è muta poesia 5 come fia mai che il poe- ta , contro ogni uso della pittura , formi figure con membra e parti perturbate, e trasportate dal suo naturai sito e debito luogo? Si aggiunge, che la mente ed intelligenza umana, presentandosele favola disordinata, si confonde, e la memoria si perturba e vacilla: dovecchè l'ordine naturale ajuta maravi- gliosamente e r intelligenza e ia memoria, tanto di chi scrive e narra, quanto di chi legge ed ascolta. E certo, se l'epico venisse posto in necessità e stret- tezza di spedirsi in poche ore, siccome avviene al comico e tragico , che azione e favola d'un sol giro di Sole ci rappresenta^ si potrebbe forse andar tolle- rando, ch'egli si affrettasse alle cose di mez-zo, ed a' successi (sebbene nella conimedla e tragedia anco- ra vi è chi né anco per tale .strettezza di tempo si lascia distorre e disviare dall' ordine naturale)^ ma avendo ogni ampiezza di tempo, sicché azione di molti anni e molti lustri ci rappresenta, ei non par tollerabile in modo alcuno. Finalmente l'epopeja è differente dall'Istoria per lant' altre ragioni, che pur troppo sciocco fora colui, il quale par tal cau- sa , per far dico il poema differente dall'istoria , si desse a perturbar l'ordine, e confonder la narrazio- ae. Certamente l'obbligo, il quale ha l'istoria, di DISCORSO TERZO 2+7 non tingere o dir falso", come anco di non tralascia- re o dissimulare il vero in cosa alcuna, dovrebbe esser bastante per farla differente dalla poesia: tanto più non convenendo all' isterico la poetica imitazio- ne, ma ben la semplice narrazione. E pur vi è di più l'elocuzione, lo stile, con altre cose molte (che di ciò si ragionerà distesamente a suo luogo), per le quali vengono così separate e distinte, eh' ei non fia rae- stiero mutare, anzi perturbare nella poesia Tordinej se però non vogliono questi tali col perturbare, anzi tor via lordine, perturbare e tor via ad un tempo quello che è norma dell'arte, fondamento della natu- ra, e soprattutto luce de'nobili componimenti e belle scritture. Ala che dico io luce delle scritture? anzi (quanto vanno mostrando i più pregiati filosofi) è vincolo, forma e belleaza del mondo, senza cui al- tro non fora 1' universo, che mostro e caos, ed in- somma orrido , confuso e deforme. Queste sono le ragioni , per le quali ei pare in ogni modo, che l'or- dine naturale debba anteporsi all' ordine artificiale: se pur ordine dee chiamarsi quello", che vien tutto fondato nella confusione e disordine^ anzi (come s' è andato mostrando ) distrugge i fondamenti e principi dell' arte. Che diremo dunque; giacché per ogni parte ci si presentano ragioni così vive e gagliarde, e seguaci di tanta autorità e slima ? Io certamente udirei più volentieri il parere altrui , e bramerei che uomo di elevato ingegno e fino giudizio, attese le ragioni e fondamenti dell'una e l'altra parte, risolvesse il dubbio, che interporre in sì grave contesa il mio parere . Ma poiché, dopo aver io buona pezza schi- vata sì difficil tenzone, pur finalmente mi vi trovo respinto, né posso spedire il paragone proposto in- torno all'integrità della favola, se prima non si ter- mina colai tenzone; ecco che io finalmente dirò quel che ne sento. Stimo io. Signori, che l'uno e l'altr'ordine si possa con certa e debita opportunità ritenere: e che perciò, potendosi or 1' una ed or l'altra strada pren- 250 BTSCOSSO TERZO più navigare in Affrica; mi ancora d'Affrica ritor- nare in Sicilia; e con spingersi poi a Guma , trapas- sare all'Inferno, tilornando a Cuma , e quindi con ischivar le Sirene passare a Cajeta ; e trascor- rendo i liti di Circe, prender porto nel Lazio. 01- traché, ricercando in questa parte maggiore ampiez- za la rappresentazione fatta dal poeta ( posciachè cerca di porre avanti , come allor succedessero i fat- ti proprj dell' azione e favola ) , che la narrazione ( narrazion dico, e non azione ) fatta da altri, come da Ulisse stesso , o Enea , a' quali ( giacché narrano non le presenti , ma le passate eose ) convien restrin- gere i fatti ; se il poeta in tale stato di azione pren- desse egli a rappresentar le cose prime, e perciò re- stasse obbligato a tesser le seguenti tutte fino al fi- ne , il poema crescerebbe quasi in immenso; con- venendoli pur di porre avanti gli occhi, e trattar quasi come presente 1' azion tutta , e perciò usare ampiezza in ogni parie dell'azione e favola. E per- tanto se Virgilio un libro intiero ( giacché egli me- desimo faceva la rappresentazione) pose in ispiegar la navigazione di Sicilia in Affrica; con quanta mol- titudine di libri sarebbe stato astretto a rappresen- tar tante e tante altre navigazioni ? E pur quest'al- tre, giacché si dà carico a Enea di narrarle, vengo- no tutte in un sol libro ristrette ; non vi restando altro che il ritorno in Sicilia, colla navigazione di Sicilia in Italia: nelle quali poi , giacché il poeta stesso ripiglia carico di rappresentarle , veniamo trattenuti più di tre libri intieri. Ma che fora di O- mero , $e peravventura nel cantare i viaggi di U- lisse aviesse cominciato dalle primiere cose? per cer- to che né anco due Odissee, che vuol dir quasi cinquanta libri, forano slate bastanti . Ottimo dun- que ed unico consiglio fu di rapir tosto nel mezzo, anzi alquanto verso il fine quegli eroi: acciocché , dopo aver prima l'uno e l'altro poeta rappresentato alcuna menoma parie de' mezzani e quasi ultimi errori, e come se que' viaggi allora si facessero fat- tone ampia mostra; tosto variandosi 1' arliticio , gli DISCORSO TERZO 251 Stessi eroi gli anteriori errori e viaggi fin da prin- cipio ripigliando, e come passali brevemente espo- nendo, anch'essi con alternata narrazione dilettas- sero, finché di nuovo si cedesse al poeta il carico ed onore di chiudere il fine con nuova e pomposa mostra. E quello che si è detto de'lunglii viaggi, può benissimo intendersi de' lunghi assedj , o itera- ti assalti , 0 incontri e battaglie, ed altre cose tali : prendendo per regola, che dove l'argomento ed a- zione sia di tanti , e così uniformi fatti, ottimamen- te fa il poeta a rapire l'uditor nel mezzo. L'istesso direi , quando fosse ben variata, e non di parti u- niformi e tante composta 1' azione o favola ; ma pero il suo naturai principio fosse senza gran moto , anzi rimesso di affetti , convenendo che il princi- pio sia atto a generar grand'attenzione d animo , o gran maraviglia , o pur compassione, o altro iiobile e grave affetto . All'incontro, quando le parti dell'a- zione non siano né di gran moltitudine, né unifor- mi , o pur le prime non siano senza nobil moto ed affetto, io avrei per bene, anzi per necessario, di seguir l'ordine naturale, ed imitar l'ordine dell' I- liade, siccome ha fatto il nostro Tasso: poiché la regola di Orazio, che é generale, è nata, per mio av- viso , per aver egli stimato, che la guerra trojana sia la n)aleria ed azion dell'Iliade (nel qual caso fora verissimo, che il poeta ci avesse rapiti nel mez- zo, anzi fin verso il fine, e lungi dal naturai prin- cipio; sebben non fora poi ritornato alle primiere cose, come avvien nell'Odissea ed Eneide), non si essendo avveduto , che propria materia é piuttosto l'ira di Achille. Altramente ben sciocco saria slato Omero a tralasciare i fatti di Ajace , la venuta, le prodezze e la morte di Mennone e Pentesilea , e ( per lasciar molt'altre cose molto nobili di questa guerra) l'inganno e lo stratagemma maraviglioso di Sinone e del cavai trojano , e ( quel che vale il tutto ) l'espugnazione, incendio e ruina di Troja , colla ricuperazione di Elena ; giacché, secondo esso Orazio, questo era lo scopo e fine. E se intanto men- 252 DISCORSO TFRze tr'lo l'uno e l'altro ordine , benché in vario slato*, approvo e ritengo, alcuno mi opponesse gli stessi argomenti da me portati tanto contra l'ordine arti- ficioso, quanto poscia contra del naturale, io ri- sponderei in (juesla guisa. E prima ad Orazio, primo fautore , per non dir inventore dell'ordine pertur- bato , abbiamo detto a bastanza-, tanto più ch'egli dà bene il precetto, ma non ne rende ragione al- cuna j fondandosi solo nell'autorità di Omero, la qual poi in fatti si scopre a favore dell'uno e l'al- tro ordine . Sicché coll'autorità di Omero , a chi ben mira, si riprova quell' assoluto ( per così dire ) e general precetto di Orazio , e si conferma il pensier nostro . E questo può bastar anco, per rispondere a chi cotanto ampliò e celebrò la sopraddetta opi- nione di Orazio . Sebben non posso fare , che contra di questo tale in quest' istesso soggetto io non osser- vi un suo pur troppo grave errore , ed è che mentre scrive : Haudtamen interea quce prcBcessere silendunij u4ulìde Jurantes Danaos, vectasque per cequor Mille rateSj raptumque Helenes, et conj'ugis iras, Q^uceque novem Troja est annos perpessa priores ; volle persuaderci che Omero , dopo 1' aver tessute le «ose successe là verso il principio dell' ultim' anno, ritornasse a spiegar le cose primiere, tessendo i fat- ti delli nove anni passati . Il che è lontanissimo dal vero; posciachè Omero cominciò bene dall'arrivo di Crise e dalla pestilenza , onde poi spogliato Aga- mennone di Criseide , e Achille altresì di Briseide, sorse in campo l' ira d'Achille; cose tutte seguite verso il decim' anno: ma non ritornò giammai a tessere e spiegare i fatti delli nove precedenti anni; anzi se- guì a cantar quanto occorse dall' ira di Achille fino alla morte ed esequie di Ettore: il che tutto fu im- presa dell'ultimo anno. Laonde né ritornò a narrar che i Greci congiurassero in Aulide contra i Troja- ni ( che ciò fu ben rappresentato da Virgilio, ma da Omero nell'Iliade non già), né men come di Grecia facesscr vela le mille navi. E pertanto il cataloga DISC0B8O TEBZO 253 delle navi (che questo appunto è quello, onde alcu- ni hanno cercato di colorire si fatta opinione), ollra- chè non verrebbe a rappresentarci i fatti di nove an- ni , ma solo a rammentare alcuna particella de' fatti primieri , non si fa affìn di raccontar la partita del- l'armata greca per la volta di Troja, ma bene per far la mostra dell' esercito , allorché per ordine di Giove si accingeva a dar V assalto . Il che avvenne r ultim' anno, e appunto acciocché restando poi perditori i Greci, Achille (come quegli che con Aga- mennone e i Greci tutti era adirato e sdegnato ) prendesse di qua conforto. Laonde, siccome il Tasso ad imitazione di Omero fece anch'egli nel bel prin- cipio catalogo e mostra dell' esercito cristiano, non mirando già a rappresentarci qual fosse, quando sei anni avanti partì di Calcedonia , ma ben qual era tutt' ora che sotto Goffredo si spingeva contra Geru- salemme ; così Omero al presente stato mirò, e non già alla partita fatta nove anni avanti dell' oste gre- ca. Sicché il catalogo delle navi, e la mostra dell'eser- cito greco, con quanto seguì poi fin' alla morte di Ettore , e in una parola sino al fine dell' Iliade , tutto appartiene all'ultimo anno. Or mirisi, se con ragio- ne scrivesse questi, che Omero cantasse anco: Quwque novem Troia est annos perpcssa priore s, A Macrobio poi , se fosse lecito, dimanderei volen- tieri da qual lesgislatore o sotto quai consoli sia mai stata fatta quella sua legge; giacché così baldan- zosamente ha per legge de' poeti 1' ordine perturbato; o pur vuole che nella poetica disciplina, che insom- ma vuol dir poetico precetto e legge, tal ordine sia fondato. E quanto pur egli ci andasse stringendo coir autorità dell'Odissea, seguita così al vivo da Virgilio , io air incontro per l'ordine naturale op- porrei l'Iliade e Aristotile; ed in questa guisa l'astrin- gerei a venir meco a patti, e concedere che insomma e r uno e l'altr'ordine, ma con varie opportunità, possa usarsi. Che poi Cicerone abbia l'ordine per- turbato per omerico, non rilieva per quello che da noi si ricerca: posciachè , per lasciare al presente, 254 DISCORSO TERZO cVegli potè Intanto rimirare alla sola Odissea, egli non lo riprova, nò approva, ma solo se ne fa scudo , Mieulie ancli'egli vi trascorre. E ])er quest'anco di Quintiliano non fa mesticro dir altro, se non ch'e- gli mirò solo a stabilir l'ordine perturbato nella ora- zione, o parlare oratorio, qualor venisse ad uopo; ri- correndo, per meglio dichiararsi, ad Omero, per es- ser l'ordine perturbato della Odissea assai aperto e chiaro. E pertanto, mentr' egli non si stende in ap- provarlo 0 riprovarlo, ma solo,qual egli si sia, se ne vale per esempio, non voglio io che facciamo in quel suo óa-Jjpfxwj usTfpov vrporfpov maggior fondamento, ehe si facesse egli medesimo: massime (quello che il tut- to importa) avendo noi l'esempio d'Omero per l'or- dine naturale ancora. E se pur alcuno ne facesse as- sai maggiore stima , quasi che indi, come anco da Plutarco, si vada scoprendo, che l' Iliade ancora fos- se avuta per poema d'ordine artificiale o perturba- to-, che altro poss' io rispondere, se non che questo giudizio nascerebbe per supporsi intanto incauta- mente, che la guerra trojana sia il vero argomento, e la propria azione di quel poema? Oltrachè Plutar- co (1) (della cui autorità dee certo farsi gran conto) mentre va ricevendo per materia dell'Iliade la guer- ra trojana (sebben va pur confessando che all' ira , o fortezza, e a'fatti d'Achille miri principalmente): Cce- terum Poeta ( aggiunge egli) a nono demum anno exorsus est^quòd qu(B Acìiillis irani anlccesscrantj minus essent grandia (2). Dove, se pur ammette l'ordine perturbato nell' Iliade, ciò fa non perchè l'ordine perturbalo, e non il naturale sia proprio del poeta 5 ma perchè, qualor le prime cose siano umili, si debba ricorrere ad altre maggiori, per far uobil principio . Il che tutto sarebbe fondamento per la nostra sentenza : i quali in tal caso non ri- proviamo, anzi accettiamo e lodiamo l'ordine per- turbato. Che più? r islesse parole di Plutarco, per le quali par che tanto approvi l'ordine perturbato^ (1 ) Lib. de Hoiiì. pag. 2. (2) pag. 7 in fin. DISCOKSO TERZO 2')'> confermano il parer nostro : Primuni in arie locutn (die' egli) ohlinet i/ifpositio . Flanc Homerus per totarn Pocsitn ostentai , maxime autein initio opC" rum; non enim lorigè repetiit Iliadìs principium^ sed ah eo tempore j quo velie mentiores aciioncs ac frequentiores extiterunt. Quce vero languidiora erantj et antea gestUj ea alibi compendio recen- suit (1). Dove Lea si vede cliiaramente , ck'ei lodò tal disposizione, non perchè sia pro])ria del poeta ,• ma perché, per non cominciar da cose languide e nmili, anzi per dar bel principio , fosse stato espe- diente ricorrere a' fatti dell' ultira'aiuio, come quelli ì quali furon veementi, e pieni di moto e ardore. Sicché per la nostra opinione più chiaro testimonio e più nobile autore io non desidero. E per questo io non mi tratterrò né con Euslazio,nè con Eliodo- ro : tanto più che ne quegli porta per sé ragioni^ ma solo, per riputar la guerra trojana argomento df^ir Iliade (benché in ciò anco vacilla, parendoli pur talora , che l'ira di Achille almen sia principa- ic"^, va osservando l'ordine perturbato: e ([uesli ( se ])ur tra istorici dee annoverarsi ) si dipartì dal com- mun uso e" precetto dell istoria, la quale ha per leg- ge di seguire il filo d»/ leuìpi , ed a questo attenersi come a suo buon duce e custode. Laonde non così fece Livio, scriltor nobilissimo de'fatti Romani; per- ciocché , sebbene alle cose di mezzo e ultime, come di maggior moto , sentiva quasi rapirsi dall' aspetta- zione e desideri di molti : Fcstinanlihus ad hccc no- va, quihus jampridem prcevalentis populi vires se- ipsce conficiunt (2); nondimeno volle pure almeu ri- strettairiente ripigliare e narrar le prime. E dalle cose dette appare, che le ragioni contrarie ancora piut- tosto confermano la nostra opinione, che la distrug- gano \, posciachò non ha bisogno il poeta di attenersi all'ordine perturbato, per far dilferente la poesia dall istoria, giacché da tante e tante altre accomodate diiierenze, quante abbiamo accennate , vengono di- ( i) Plut. loco cit. (2) Lib. L Conlrov. T.IF. 17 ' 25(y DlSCOtSO TEEZO stiate*, nfc meno li fa mestiero addurre, anzi rapire gli uditori nel mezzo , quando le prime cose siauo veementi (come dice Plutarco) ed in moto, ed iu- iorama quando per la similitudine e uniformità, o per r umiltà delle cose , o altra causa tale, non vi sia pericolo di generar sazietà, ovvero usar principio mal atto a destar meraviglia ed alletti. Sebbene confessia- mo ancora, che avendo bene spesso le azioni umane varie cagioni o parli, delle quali altre siano alquan- to remote o raen proprie, altre più proprie e vici- ne, molto importi che il giudizioso poeta non co- minci dalle remote e men proprie (che tale fu l'uo- vo di Leda, o pur anco il giudizio di Paride, alla guerra trojana),ma dalle più prossime, come fu il giuramento de' Greci in Aulide , o piuttosto il pas- saggio a Troja. E con simil regola ( giacché dell'or- dine , tanto dell' Odissea , quanto dell' Kneide , e per conseguenza all'esempio di Omero e Virgilio si è detto a bastanza ) potrebbe anco farsi giudizio , se Lucano con qualche altro desse buono e conveniente principio al suo poema ^ ma di Lucano si ragionerà a più proprio luogo. E pertanto abbracci pur chi vuole senza proposito ala^t'a, e l'ordine perturbato} che a noi, ove alcun accidente de' sopraddetti non ci distornò, sol 1' ordine naturale diletta e piace. Tan- to più che Aristotile, nel proibire che la narrazioa poetica sia simile all'istorica, ben mostrò chiaramen- te , che non ragionava dell'ordine e disposizion del- le parti , ma dell' azione e materia : volendo , che la narrazione poetica abbracci non più azioni , come per lo più fa l' istoria , ma una sola 5 e che insomma imiti una sola azione (come s'è mostrato), e non mol- te . Ma giacché ci siamo difesi dagli argomenti por- tati per l'ordine artiiìciale, che direni noi agli altri addotti a favor del naturale? Certamente per non in- correre in Scilla, mentre schidam Gariddi, convien mostrare, che le autorità e ragioni addotte per 1 or- dine naturale non proibiscono , che ne' casi predetti ci serviamo dell' ordine perturbato e artiiìciale. Primieramente dunque, mcntr'Aristoiile dà regola DISCORSO TSR»0 2j7 cosi generale per l'orti ine naturale, rispondiamo, che il kgislalore non ha obbligo di accomodare la regola e legge agli accidenti , onde poi nascono l'eccezioni, ma ben a' fatti ordinar) e correnti, E pertanto, giacché noi non ammettiamo l'ordine ar- tilicialc , se non in alcuni^ straordinarj casi e pei? alcuni accidenti, i quali, se non si cangiasse ardine, renderebbono il poema languido (per così dire)« freddo, con recar sazietà e noja; e nel resto abbiamo per cosa necessaria il ritener e seguir il naturale; non crediamo di partirci punto dalla dottrina di di Aristotile. E tanto meno, quanto che insomma confessiamo, che il poema d'ordine artificiale 0 perturbato, paragonandosi al poema di ordine na- turale, resti (quando però l'altre cose siano pari neir uno e uelT altro) di alquanto più bassa lega , ed insomma se li debba piuttosto il secondo , che il primo luogo. E se Omero nelT Iliade seguì vera- mente l'ordine naturale, il qual noi tanto commen- diamo; ecco che nell'Odissea, giacché se li offeriva sì lunga schiera di navigazioni ed errori , ricorse all'artiiiciale e perturbato, lasciandoci esempio di poter con debita opportunità e occasione dipartir- ci dall'ordine Jiaturale . Più difllìcile è il mostrare, come l'arte meriti scusa, giacché coU'ordine pertur- bato si allontana da imitar la natura, sua nobile maestra e guida. Ma se è vero, com' è verissi no , che la natura in alcuni accidenti turbi l'ordine anch'es- sa, deprimendo le cose lievi e sublimi, e innalzan- do le basse e gravi per fuggir il vacuo, e con disu- sate maniere per altri simili accidenti e incontri operando; per qual cagione in simili occasioni non sarà lecito all'altre variar l'ordine , e per fuggir al- cuna deformità , cangiar costume ? Ma che diremo noi della similitudine e comparazione , la qual fa Aristotile dell'azione o favola a bello e vago ani- male ? Per certo voletido egli, che la favola abbia tal principio , mezzo e fine, che intera e perfetta si scorga , ed a guisa d'intero e bello animale riesca d'i bella vista, e renda vaghezza j nell'ordine per- 258 »!srnr<;o TERZO turbato non vi sarà tal bellezza o vaghezza , giacché il principio il (juale è sol quello , da cui natural- mente deriva il mezzo ed il (ine, quivi è trasposto ^ venendo in luogo di principio riposto quello che da altro deriva, e ali incontro assegnato per mezzo quello che naturalinf nle non deriva d'altronde. Or non è egli questo uu far di busto -capo, e di capo busto ? Ma si può rispondere , che qualor si mutino le parti simili e uniformi , come avviene nell'Odis- sea ed Eneide, ove le prime navigazioni sono fatte mezzane, e le mezzane prime; non cosi agevolmen- te si scorge la deformità , come si scorgerebbe se lieir animale , in cui le parli sono mollo dissiu\lli , il busto divenisse capo , e il capo busto. Cosi auco quando il principio per la languidezza o bassezza , ed insomma per esser mal atto , si tramutasse, non sarebbe error tale, qual fora se la natura desse al capo di beli' animale luogo di busto : e tanto meno , qisanto che l'incommodo, il qual riceve l'uditore p( r l'ordine perturbato , è di gran lunga minore dell' offesa , la quale schiva 5 giacché nell'eroico poema il principio umile e languido e senza af- fetti o maraviglia, o pure il principio e mezzo di tante parti simili e uniformi , porta al giudizio u- jnano intollerabile offesa , e tale che lo schifarla , benché con qualche uiulaziou d'ordine , può anco in parte parer virtù . Sebben insomma, giacché il principio é quello oude deriva il mezzo, non re- sterebbe la favola senza qualche imperfezione, o al- meno si andercbbe scostando dal sommo e perfetto, il che noi non nieghiamo: e perciò anco ad un poe- ma d'ordine perturbato non diamo il primo luoyo , come a quello di ordine naturale j ma il secondo, sebben non concediamo ch'egli sia mostro: e que- sto, perchè la similitudine d' Aristotile insomma è simililudinc , e questa anco teuuissima e lieve 5 non potendo negarsi, che fra un animale e un poema vi siano tante e cosi evidenti diQerenze e dissimili- tudini, che ben convenga attentamente fissarvi la mente , per riconoscervi convenienza , anzi ombra UISCORSO TRR/O 259 di slmililudide aloiioa. E pcrt-iò non si dee con lau- to rigore arguiie iuipeifeziooe nella l'avola , come nel! animale : tanto |jiù avendo noi per l'ordine perturbato i belli esenipj dell'Odissea ed Eneide, i (Tuali si per 1 autorità di Oinero e Virgilio, come anco per l'imitazion di molti, rileva molto. E per questo auco , mentre la poesia vien detta favellante pittura, non si dee prendere ciò r,on rigore, ma con certa similitudiue e proporzion solamente; sicché la perturbazione delle parli naturali nel poema ca- gioni ben qualche mancamento e difello, nxa non pe- ro generi mostro, com avverrebbe alla pittura, (jua- lora uno imponesse il busto al capo; perchè se negli esempj fora vizio ricercar perfetta corrispondenza e proporzioue; quanto più sarà disdicevole il ricer- carla nelle siuiilitudini o traslazioni? L'incommo- do poi dell' intelligenza e memoria non è tale , die coir attenzione non se li possa provvedere,- poiché sa l'occhio dell' insedino accortamente trascorrer le parti, •■', riconoscer qual sia mezzana, o prima ; mas- sime che buon poeta, acciocch' altri non si confon- da ed erri , non lascia intanto di andar accennan- do, e ([ usi riformando l'ordine, siccome fece Ome- ro nel line del duodecimo dell'Odissea , ove Ulisse tini di catitare a'Feaci 1 suoi tanti errori e viaggi da Troja fino a Galisso : accennando , che il viaggio seguito poi ultimamente da Galisso , ovver Ogigia, fino ad essi Feaci, non era mestier soggiungerlo , a- vendolo egli raccontalo fin da principio. El'islesso fece Virgilio, appresso il quale Enea, dopo avere, spiegato a Didone i suoi tanti e cosi lunghi errori da Troja fino in Sicilia, con un sol verso si ripose nell'ordine naturale, dicendo . Hinc me di^ressuni 'vestris Deus appulit oris; lasciando, che la sua navigazione e i travagli da Sicilia in Affrica ampiamente racconti , anzi come azione del poeta stesso poco avanti rappresentati, si riconoscessero per ultimi \ giacché ei mostra , che il passaggio di Sicilia inAiiVica e nei paesi di Didone,. allora veniva ad esser 1' ultimo errore . Nò rilieva il 260 DISCORSO T£B20 dire, che l'epico aljbia grand' ampiezza di lampo j perciocché s'ei non viene astretto a turbar 1' ordine per l'angustie del tempo, come talora occorre al tragico o comico, il qual perciò prende licenza di rapirci nel mezzo 5 almeno può venir a ciò indotto da altre cagioni, sicché meriti tanta .scusa , quanta li basti per ritenere il secondo luogo. E per «jucsta istessa ragione è degno deil'istessa scusa , mentre ei prova che non ha bisogno di ricorrere all'ordine perturbato, per esser differente dall' istorico : per- ciocché , sebbene è verissimo eh' altre differenze corrono tra'l poeta e 1 istorico , sicché non ha per- ciò mestieri di turbar l'ordine; nondimeno ne ha bisogno per fuggir altri intoppi e offese , come s'è andato mostrando. Laonde non vogliamo noi per 0- ra negare, che molte siano e importanti le preroga- tive dell'ordine, né disputar s' ci sia (come pur «' oppone ) forma e perfezione dell' universo : giac- ché il poema d'ordine perturbato per nostro avviso non aspira tanto a'I sommo e perfetto, che non ceda in qualche parte al poema di ordine naturale e perfetto. Dieiam, bene, che quando con ragione e giusta occasione si diparte dall' ordine naturale non distrugge in modo alcuno i fondamenti dell'ar- te ; ma ben per ischivar grave inconveniente ed er- rore , si afferra ad uno lieve e degno di scusa. Or da quanto si è detto , tre cose avvertiseo io bre- vemente, le quali, per dar buon fine alla nostra questione, fian di molto momento. La prima è, che avendo io fin quasi da principio del mio discorso dubitato contro Aristotile , mentre vuole che l'a- zione o favola sia intera , e perciò abbia il suo prin- cipio, mezzo e fine; e coli' autorità ed esempio d'Omero e Virgilio cercato di mostrare, che tal re- gola non sia necessaria : avvegnaché né 1' Iliade ( se crediamo a Dion Crisostomo e a Q. Calabro), né 1 E- neide, per giudizio di Maffeo Vegio, sia intera; e di più l'Odissea e l'Eneide non si rappresentino col debito principio, mezzo e fine; già si può in- tendere beuissimo, che dì questi dubbj (che per tal DI3COBSO TER70 861 causa appunto fin da principio turon da mr rimessi a luogo più opportuno) ninno getti a terra la bella regola di Aristotile 5 posciaclié l'Odissea e 1' Eneide per giusto accidente deviano dalla regola (che è pei* l'uggir gl'intoppi ed inconvenienti addotti), e non perohèdi ragione ordinaria il poema debba allonta- narsi dall'ordine naturale. L'Iliade poi , se ben si stimi, è veramente d'ordine naturale. E se Dione, o Q. Calabro non vi riconobbero il debito fine, ci» in questa parte avvenne loro per non avvertir bene, che argomento dell' Iliade piuttosto era l'ira di A- chille, che la trojana guerra. E se pur altri mi op- ponesse tuttavia .che in tal modo poco accomodata materia avrebbe preso Omero, o almeno l'avrebbe malamente trattata e formata ; giacché nel progresso ogni cosa , eziandio l' istessa ira di Achille , o piut- tosto la riconciliazione e termine dell' ira, s' indirizza all'espugnazione di Troja, con dar perciò occasione che tanti e tanti, ed in particolare Orazio, Dione, Plutarco, e Virgilio stesso abbia stimato, che la guer- ra trojana fosse l'argomento delT Iliade 5 questo sa- rebbe un mutare il dubbio e le stato della contro- versia o tenzone , e perciò non voglio io trattener- mi in ciò per ora, ma rimetter il tutto a più oppor- tuno luogo. L'altra cosa è, che grande ed intollera- bile errore abbiano preso coloro, i quali bramosi di accordar l'ordine dell'Odissea ed Eneide colla le- gola d'Aristotile, hanno detto che i viaggi ed erro- ri tanto d'Ulisse da Troja fino ad Ogigia , spiegati poi da Ulisse stesso a'Feaci così a dilungo, quanto di Enea pur da Troja fino in Sicilia , dal medesimo Enea raccontali poscia a Didone, siano episodj e non parte della favola; e che l'azione 0 favola dell'Odis- sea sia il solo ritorno da Galisso , ovver Ogigia, ad Itaca, e dell' Eneide da Sicilia al Lazio ; volendo per- ciò che Omero nell'Odissea, e Virgilio nell'Eneide abbia seguito l'ordine naturale, narrando prima le prime cose, e dappoi le mezzane ed ultime, con re- star perciò d'accordo con Aristotile: grand' error, di- co, è questo ed intollerabile 5 perciocché, per qua»" 262 DISCORSO TERZO lo lecca airOdisscfi, contraddicono piMmlcramentc ad Aristotile, il quale proponendoci il vero e spiegato argomento di questo poema , disse insomma che l'Odissea era un lungo sermone intorno a certo pe- regrino, il quale andò errando molli anni, e che pur finalmente, dopo esser rimasto solo ed agitalo da fie- re tempeste, si ridusse alla patria, ed uccise i nenii- ci , da'([uali i proprj beni gli venivano consumati. Laonde, se proprio argomento dell'Odissea fosse so- lamente la peregrinazione o viaggio di Ulisse da Ca- lisso ad Itaca, non direbbe che Ulisse peregrinò molti anni ^ posclaehè da (ìalisso ad Itaca si ridusse in meno di venti giorni . E pertanto è necessario di confessare , che intenda i viaggi tulli da Troja ad Itaca, e non quelle due ultime particelle. Il che tan- to più resta chiaro per le parole di Aristotile, quanto che dopo aver dello che questo era 1' argomento del- l'Odissea acciocché niuuo prendesse l' argoiriL-nio in quanto è misto anco d' episodj , soggiunge tosto : TÒ jxiv «v'ti^ov, TOJro. rà U olKXx ÌKHci)rx: Tallo (tar- sio à proprio dell' Odissea , V altre cose son episo- dj ; mostrando perciò, che 1 viaggi tutti siano proprj dell'azione o favola . Di più questi tali si dipartono apertamente da Omero , il quale nella proposizlo!ie invita la Musa a cantar quell'uomo, che tanto andò errando. Sciocca proposizione , se intendeva altri er- rori che quelli da Galisso ad Itaca; e se 1 viaggi da Troja in Tracia , AftVica , Sicilia , ed in tanti e tanti altri luoghi, quanti si son da noi spiegati avanti, non appartengono all' argomento ed azione. E perl'i- stessa ragione non occorreva , che Omero lo chia- masse TToAurpoToi, aggiungendo che aveva veduto i costumi di molte genti e molte città; posclaehè nel- la navigazione da Ogigia ad Itaca solo Tantro e li- to di Galisso, e Gorfù poi, aveva veduto. Dovecchò allincontro per occasione di tanti altri viaggi ben vide,0 almeno potè veder quasi lunuraerabili paesi e nazioni, e grandissima varietà di costumi. Gosì anco fuor di proposito fora il dire , che questo pere- grino usò ogni studio per salvar sé ed i compagni UI8C0BSO TBB70 263 insieme; ma clic questi per la lor colpa , per aver , dico, divorali i buoi del Sole, perirono; percliù da Calisso ad Itaca noti ebbe cotai compagni , ma hcn nell'altre predette navigazioni, nelle quali li ven- ner meno. Che più? 1' ìslesso Omero va dicendo così cliiaro nella proposizione, clic gli errori di que- st' uomo cominciarono nel partir da Troja, e quando ebbe predato Ilio, che il voler che solo il viaggio da Calisso ad Itaca sia l argomento , e non la navi- gazion tutta, è un far la proposizione falsa, e l'istcs- so Omero del tutto trascurato e mendace. Sicché, per accordare Omero con Aristotile nel proposto dubbio, opinione più intollerabile e strana non poteva in- ventarsi. Né io mi sai'ci trattenuto in riferirla ed oppugnarla; se non avessi veduto che pur molti au- tori e di non poco grido (tanta fu la brama , che ebbero di sottoporre ogni cosa a' precetti di Aristoti- le ) 1 abbracciano e difendono. E llstesso errore hanno preso in Virgilio , mentre vogliono che que- sti ancora, per quanto tocca alle navigazioni , pren- da per proprio argomento dell azione gli errori o viaggi di F.nea da Sicilia, donde appunto fa princi- pio, fino a fri ungere al Lazio; e che i viaggi da Troja fino in Sicilia siano episodj : opinione, la quale si getta a terra sì per la similitudine dell' Odissea (giacché gli errori di Enea sono ritratto degli erro- ri di Ulisse), come anco per la proposizione dell' i- stessa Eneide, dove Virgilio si propone a cantare un uomo, il quale errò da Troja fino al Lazio, e non da Sicilia solamente. E perciò anco disse, che andò mol- to errando, e fu sbattuto molto dalle tempeste. In- somma q'.iasi gli stessi argomenti, co' quali si è tan- to evidentemente riprovata la costoro opinione circa r Odissea , e' proporzionatamente vagliono per ripro- varla circa r Eneide . La terza ed ultima cosa , che è principale, con cui anco mi giova chiudere questo ragionamento , è j che essendo ordinariamente e di propria natura la disposizione e l'ordin naturale ac- comodato e proprio del poema; Torquato , il quale ha senza dubbio abbracciato e seguito l' oidiae a£i- 2fi1^ DISCORSO TEKZO turale, abbia anco ottimamente conservata l'integri- tà e perfeziou della favola. E pertanto per fuggire, cb'egli insomma di ragione non debba per tale in- tegrità e perfezion di favola anteporsi a Virgilio, e mollo più ad Omero, come da noi si è chiaramente mostrato, rea scusa (ia il dire, che non abbia usato ordine conveniente al poeta. Ed ecco. Signori) che avendo noi paragonato questi tre splendidissimi lumi di poesia intorno alla per- fezione ed integrità della favola; e mostrato, quanto in questa parte renda più vaga e bella luce il no- stro gran Torquato, mi converrebbe entrare nell' i- atessa tenzone intorno alla grandezza dell' istessa fa- vola; poiché insomma per l'amistà , la quale hanno insieme la perfezione e grandezza, ebbi per bene di propormi a ragionar dell'una e l'altra. Ma mi veggo tanto avanti del giorno, che mi diffido affatto di po- termi di ciò spedire in questo stesso ragionamento. Tanto più, che qualora io volessi andar divisando e spiegatamente mostrando quel tanto, che in ciò fora bisogno , temo che altri peravventura potrebbe di me dolersi; quasiché avendo io, già tempo, promesso d'incamminarmi al fine, ora il mio discorso riuscis- se più lungo dell' iliade d' Omero , o pur anco del- l'Odissea, giacché né anco questa in lunghezza cede di molto all'Iliade. E se pur col darmi fretta , e re- stringer le cose in breve, cercassi di tostamente spe- dirmi, altri poi all'incontro potrebbe agevolmente oppormi, che io avessi voluto a guisa di Virgilio re- stringere un gran gigante in angusto e picciol cer- chio: che tanto hanno stimato alcuni di questo nobil poeta,|mentrc nella sua Eneide cerca di restringere la vasta mole dell'Iliade e Odissea insieme. Dunque desiderando io d' imitare in questa parte il nostro Tasso, il quale abbracciando minor mole di cose che Virgilio, ed usando minor copia ed ampiezza di parole che Omero, schifò accortamente gli estre- mi ; ardirò, Signori , con vostra grazia , e confidato nella rara gentilezza vostra, di rimettere alla nuova adunanza quanto mi resta . Ho detto . DISCORSO QUARTO DELL' ACCADEMICO ASSETATO *ER QDAL CACIOTTE SI BICBRCHI AMPIEZZA O GRANDEZZA HEVV EROICO POEMA : E QUALE E QUANTA DEBBA ES- SER QUESTA GRANDEZZA ! E CHE IN CIÒ ANCORA II. TASSO SI SIA ACCOSTATO AL SEG50 MOLTO PIÙ DI OME- RO, E MEGLIO DI VIRGILIO . XNluno Stimi, che nel passato discorso, mentre an- Jai paragonando Virgilio ad uomo , il quale si sfor- ai di restringere in picciol cerchio mostruoso gigan- te , io mirassi a conchiudere e stabilire per cosa certa , che l'Iliade ed Odissea d' Omero ecceda di gran lunga la debita grandezza dell'eroico poema , ed all' incontro 1' Eneide di Virgilio non vi giunga a gran pezzo. Perciocché, sebben io veramente coH'im- magine del gigante rinchiuso in picciol giro intesi l'Iliade ed Odissea d'Omero ristretta nell' Eneide di Virgilio; tuttavia ciò feci, non tanto per quindi apportar pregiudizio a Virgilio ed Omero, quasi- ché nel formar il corpo e grandezza de'lor poemi, fossero incorsi in questi estremi, quanto per valer- mi a mio proposito di questo nobile e divulgato esemplo o immagine , vera o falsa che ella si fosse. Posciachè, qualora in tante angustie di tempo mi fos- si posto a paragonar questi tre gran poeti intorno alla grandezza della loro favola ed azione, sarei sen- za dubbio incorso in alcuno di que' scogli ed estre- mi , ne'quall giudicano alcuni (se a torto 0 ragione si vedrà poi ) esser incorso Virgilio ed Omero. E se pur alfine accennai, che il nostro gran Torquato a- vesse tra questi due, quasi tra Scilla e Garlddi , na- vigato felicemente 5 non perciò voglio o intendo io di aver la ciò stabilita cosa alcuna, nò aver fatto al- 2(j6 discorso quarto Giin pregiudizio ad Omero o Virgilio; ma ben dar- mi orn ad invesligar con ogni industria, per qual causa si ricerclii grandezza, o vogliamo dir lurjglicz- Z3, nell'eroico poema-, e sopra tutto quale e quanta grandezza , o lunghezza si ricerchi ; con passar po- scia a risolvere e mostrare , clii di iQro abbia me- glio formato e fornito di conveniente grandezza ed ampiezza il suo poema. Ed allora poi fia chiaro, se da alcuni col jeroglifico o similitudine prupu.sla giustamente venga l'Iliade ed Odissea notata di so- verchia grandezza , e 1' Eneide peravvenlura stimata alquanto angusta e ristretta. E per cominciar dagl' insegnamenti di i\ristolile(i); volle questo uobil filosofo e maestro di poesia, che '1 poema, oltre l'ordine e proporzioni delle parti , on- de diviene intiero , abbia grandezza. Di che dà anco non lungi bellissima ragione i^ 2)-, ed è, che la bellez. za consiste non solamente nell' ordine e proporzione delle parti , ma nella grandezza ancora . 11 che tutto va confermando coli' esempio del bello animale, an- zi di qualsivoglia cosa, la quale abbia titolo d'es- ser bella: volendo che, per esser tale, non solo abbia la proporzione e l'ordine già detto delle parti, ma la grandezza insieme . Della quale fa questo filosofo tanta stima , che ardisce di affermare e difendere , che nelle picciole cose , tuttoché nel resto di parti ben ordinale e proporzionate, non si possa trovar bellezza. E per questo anco volle, che picciol uomo possa ben per la proporzione e vaghezza delle parti, chiamarsi elegante e garbato , ma non già bello (3). Anzi, se ben si miri, passò anco più avanti (4) , vo- lendo che non solamente resti privo di bellezza l'a- nimale (e ristesso può altri eonchiudere dell al- tre cose), il qual nel suo genere manchi della dovu- ta grandezza; come fora il cavallo, il quale tuttoché vago nel resto , e di parti benissimo proporzionate , fosse di picciola statura; ma ancora quando abbia e (i) paragr. 'ò\ e aUroi>e, (2) par. jf). (3) IV. Eth. (4) /, Rhet. DISCORSO QUARTO 2()7 la debita proporzione delle parli, e la grandezza do- vuta al suo slato e genere; ma pero tal grandezza BOn porga convenienle soddisfazione e diletto all'oc- chio di chi lo mira (1). Quasiché una cosa, per es- ser btdla, debba aver grandezza tale, che non pur sia convenientemente grande e compita nel suo gene- re, ma ancora proporzionata all' occhio di chi la mi- ra ; fed in guisa tale , che 1' occhio in rimirarla possa benissimo discernere, e distinguere la varietà delle parti: e questo anco non in brevissimo tempo, sicché il piacer di mirarla ben tosto si dilegui 5 ma in tan- to tempo, che nel contemplarla , il piacere (poiché per esser bella, dee recar piacere a chi la mira) abbia qualche diuturnità o durazione (2) . Insomma , sic- come quell'animale , il qual fosse così vasto ed im- menso (dic'egli), che dall'occhio non potesse mirar- si tutto , non meriterebbe titolo di bello ; così né an- co queir animale, o altra cosa, nella quale l' occhio in rimirala si confondesse per la minutezza delle parti, e trascorresse subilo il tutto . E certo se quel famoso figliuolo della terra Tizio , noveni cui Jiigera corpus Porrioiturj o ( come va discorrendo Aristotile ) un animai di die- ci mila stadj non fora slato degno eh' altri lo ripu- tasse bello; essendoché occupando sì vasto spazio O luogo, l'occhio umano non potrebbe ad un tempo mirarlo tutto, e riconoscerne e la proporzione e la grandezza insieme: così all' incontro una formica, un'ape, una farfalla, tuttoché nel suo genere di giu- sta e ben proporzionata grandezza, non meritereb- be d'esser annoverala tra' belli animali , non rice- vendone l'occhio in tanta minutezza di parti il pia- cere e diletto che si pretende . Questa è la cagione, per la quale Aristotile ricerca grandezza nell'eroico poema , volendo , che per generar diletto, e venire stimato bello, sia necessaria . Or qui non voglio io , che per ora noi ricerchia- (i) Paragr. 48. {1) par. ^S,epar. \2^, S63 fiiocor.so 'JPArto rao come Ha vero, che la bellezza consista nella pro- porzione delle parli j giccchè la bellezza delle cose corporee e mortali, anzi di tutte lo cose create , è una certa participazione della bellezza incorporea ed increata j e pur questa è simplicissima , e senza tal varietà di parti: se però alcun non giudicasse, che ritrovandosi in Dio eminentemente tutte le perfezio- ni, in questa eminenza di perfezioni si potesse andar peravventura riconoscendo, ovver (giacché nd inge- gno umano più non è lecito) di lontano adombran- do proporzion di parti (parti , dico, spirituali e di- vine); il che per non esser tempo di sì alta contem- plazione , volentier tralascio per ora . Né eneo vo- gl' io , che prendiam contesa con Aristotile, o alme- no andiam più sottilmente esaminando se le cose, siansi di qualunque grandezza o picciolezza , possa- no giustamente spogliarsi di titolo di belle, tutiavol- ta che abbiano debita proporzion di parti, e giusta grandezza nel suo genere; parendo che si faccia of- fesa alla natura, anzi all'Autore della natura, il qua- le ha create le cose tutte siccome in peso, numero e misura, cosi anco buone tutte, anzi nel suo genere perfette e con sapienza ammirabile, e tali insomma che l'uomo ha cagione di stupirsi eziandio contem- plando l'artifìcio di una formica , ed altro menomo animale: e pur delle pieciole cose non meno, che delle grandi uno è l'Autore. Oltreché in questa gui- sa (stante, dico, l'opinione di Aristotile ) il mondo ancora, o il cielo (che pur dall' istesso Aristotile in più di un luogo fu riputato animale, ed in somma vien giudicato uno) resterebbe per la sua tanta gran- dezza privo di cotal onore; giacché l'occhio umano, nel rivolgersi ad oggetto cosi ampio e quasi immen- so , non può ad un tempo riconoscer la grandezza e proporzione delle parti, e perciò fora astretto a ne- garli titolo di formoso e vago . Il che tanto meno par ben detto di cosa,laqual viene stimata colma di bellezza, quanto che piuttosto forse arebbe ciò a sti- marsi difetto dell'occhio , che dell' istesso mondo : parendo insomma strano, che per non potersi da noi DISCORSO QUABTO 269 COSÌ in un tempo comprendere la grandezza e prò- porzion di cosi ampia mole , se le possa contendere quel titolo ed onore di Lellezza, che ogn' altro ia eccellenza le dona. Anzi quando anco si ragionasse di donna, o altro nobile animale, il quale peravven- tura non giungesse in grandezza alla mediocrità, po- Ircbb' alcuno opporli , che ninna specie abbia forse termini o di grandezza o di piccolezza così limita- ti e certi, che qualor vaga e ben proporzionata don- na fosse di alquanto mediocre grandezza , non po- tesse o dovesse riputarsi e stimarsi bella : tanto piìi vedendosi pure, che non solamente non confonde la vista 0 giudizio altrui, ma genera sovente il piacere, che r istesso Aristotile ricerca negli occhi, anzi ani* ma di chi la mira. Certamente Platone nel Convivio ebbe per bello Amore, ancorché picciolo •, né pnrve che tanto si fondasse nella grandezza , quanto nella proporzione e vaghezza delle membra e de' colori. La qual' opinione fu anco del principe della romana eloquenza in più di un luogo (1): anzi con simil in- dirizzo appunto transferì all'orazione la bellezza, quasiché la bella orazione abbia la sua proporzione delle parti , i suoi colori , e '1 suo splendore (^2) . Né discorde peravventura fu Galeno, riponendo insom- ma la bellezza '(benché dell' umana parlasse solo) nella debita corrispondenza delle parli e membra, e nella vivacità de' colori . Per lasciare, eh' ei non par cosa punto verisimile, che la bellezza consista quasi in un punto, ma ben abbia larghezza (per co- si dire) o varietà e gradi: siccome ha il caldo , il freddo, il colore, e (quello eh' è alla bellezza molto corrispondente) il temperamento, e la complessione umana , e peravventura la sanità: le quali cose han- no varietà e gradi, in modo tale che il mancamen- to di una perfettissima grandezza non avrebbe a levare il pregio ed onor di bella a colei, nella quale concorresse la proporzione delle parti , la vivacità e vaghezza de' colori , e se altro si ricerca , per ripor- (i) //". Tus(i..ct. I de Officiis. (2) ad Brut, 270 DISCORSO QUARTO tar fama e titolo di beltà. Queste cose, dico , ed al- tre tali voglio io che Iralasciam per ora 5 posciaclié a noi insomma non fa mestiero di ricercar più sollil- laente indie consista la bellezza : non polendo ornai dubitarsi, se nel poema eroico si richieda grandez- za 5 e questa, se non per cagione di bellezza (che pur per jjuesta ancora si ricerca, a chi bea mira), almeno affinchè prenda corpo (per cosi dire) e forma . Oltre- ché, dovendo avanzare in lunghezza ogni altro poe- ma, e di più rappresentar azione formala di molle e molte parti; ben resta chiaro, che non può stare senza conveniente grandezza . Piuttosto ( per renire ài ristretto della nostra questione) ricercherò, quale e quanta insomma sia la grandezza ^ la qual ricerca Aristotile nella favola . Al che rlspond'egli appun- to, dicendo p-iì tj^j^ov : il che vuol dire, che non qua- lunque grandezza dee esser ricevuta , o quella che a caso resultasse dal formarsi il poema. Ma io non cerco per ora qual non debba essere, e se piuttosto per elezione, che a caso si debba prendere ; ma cer- co qual debba essere per appunto , cioè di quale e quanta grandezza debba formarsi. E se pur vuole ( che così mostrò per gli esempi tanto del vasto e sproporzionato, quanto del proporzionato e bello animale), che né picciola sia la sua forma, né ecce- da in grandezza; bramerei, che ornai un sol passo si spingesse avanti, spiegando qual e quanta in- somma sia nell'eroico poema quella forma, che nò in grandezza, né in piccolezza ecceda. Due regole dunque da Aristotile. Prima è, che sia di tanta grandezza, ovver lunghezza (che questa per ora è la larghezza del poema o favola), quanto possa como- damente conservarsi a memoria: di che rende anco ragione. Ed è, clic siccome negli animali couvien che la grandezza sia tanta e tale , che possa facil- mente mirarsi e comprendersi dall'occhio; cosi nel- le favole la lunghezza possa comodamente conser- varsi a memoria. Regola certamente molto conforme a' fondamenti della bellezza; poiché la grandezza , la qual vieo ricercata per la bellezza; appunto dee. DISCORSO QUARTO 271 esser tale^che non ecceda la facoltà dell' occliìo , che per ora nel proposito nostro tuoI dire l'intelligenza e memoria. Che se pur tuttavia si opponesse alcuno, volen- do insomma che la bellezza debba stimarsi noi^ dalla facoltà e proporzion dell'occhio, ma per se stessa, e dalla sua propria natura e perfezione ( seb- ben della bellezza corporale, qual'è quella dell'ani- male, r occhio e giudizio umano è pur giudice; on- de poi dalla proporzione ancora di tal bellezza all'oc- chio, e sua facoltà può giudicarsi); almen tal dubbio poco caderebbe nel poema, il quale come parto del- l'ingegno umano, e tutto inventato e rivolto all'u- so dell' uomo, ha per giudice di sua bellezza il giu- dizio umano. Sicché la debita grandezza o lunghez- za del poema giustamente può stimarsi anco dalla proporzione, ch'egli ha colla memoria umana. E sebbene la perspicacia e menvoria umana è molto varia, sicché alcuni sono ottusi e tardi, altri acuti e veloci ; tuttavia come della vista , generalmente parlando, vi è mediocre e conveniente termine, o mediocre e quasi comune acutezza e bontà; così an- co per grandezza della favola si dee prendere quel- la lunghezza , che comunemente da mediocre e conveniente memoria e capacità vien compresa e ritenuta . E perchè altri potrebbe dire, che sebben può ri- levar alcuna cosacche la lunghezza si tragga dalla capacità della memoria umana, o (per meglio dire) dalla proporzione, la qual colla memoria umana ha detta lunghezza -^ nondimeno sia convenevole insomma, che per se stessa ancora , e no4J perla sola proporzione alla memoria umana , si riconosca e stimi ; siccome per se slessa ancora può alla ven- tura giudicarsi la bellezza . Per questo, acciocché tal lunghezza per se stessa ancora si riconosca , ag- giunge, che quanto spazio di tempo suol verisi- milmente, o pur necessariamente correre per fap Contrsu. T.jr. lH 272 DISCORSO QUARTO trasmutazione di fortuna , tanta debba essere la Ina- ghezza della favola ^ dì maniera tale , che quando una favola compisca il suo passaggio e trasmuta- zione in tanto tempo, quanto paja che ragionevol- rtiente ad una tale trasmutazione sia conveniente ed accom(Hla!o , un cotal tempo costituisca la debita e conveniente lunghezza della favola. Questa è la sentenza di Aristotile: la quale, quand'ogni favo- la dovesse formarsi dell' istessa grandezza, né si po- tesse venire a più parlicolar determinazione di tem- po , potrebbe forse parer accomodata ed ingegno- sa . Ma convenendo che la favola epica superi di molle e molle parti l'altre favole, non pare che la sopraddetta dottrina , la qual si scopre comune ad ogni poema o favola , ferisca il segno . E tanto meno, quanto che l'ingegno ed industria del poe- ta può esser cagio7ie, che ora più ed ora meoo di tempo bisogni per far la trasmutazione , di cui parliamo. Laonde uon mancano favole , che per es- sere state tratte da poeti di genio o ingegno dissimi' li , sono riuscite in lunghezza mollo diverse , come per esempio è avvenuto dell' Argonautica . Ma vo- glio io , clic le sopraddette cose, giacché dà Aristoti- le per occasione della tragedia furono scritte, alla tragedia e commedia (poiché nella grandezza quasi vanno di pari) si convengano,- tuttavia all'epopeja non par che si possano in modo alcuno adattare. Contutlocciò, perchè pur al fine i precetti della trage- dia , per quanto tocca alla costituzione della favola , da Aristotile vengono accomodati anco all'epopeja, ed in particolare quello della grandezza, scrivendo egli (1): A e longitudini s qitidem tcrminus sujjicicnx diitus cstj debct eniin esse talis, ut simul conspici possit principìuni et finis (che insomma è quello, che aveva deito (2) della tragedia); anzi di più va soggiungendo alcuna cosa per occasion particolare della lunghezza epica : vediamo di grazia se ciò va- (i) Parag. 124 {^)piii'. 128. Discoaso (jviÀaTO 273 leaae p«r liberarci da tanti duhbj , e servisse a no- stro uso . Quel che eì soggiunge, acciocché ia passo mollo difficile si ascolti in suo linguaggio, è questo : LTi S' tti/ looio, i< Twv juiv apj(^a si muti anco e faccia diversa la tavola : il che solo può intender- si delle parti essenziali, e non dell episodiche^ le quali seilza muiazion della sostanza della favola si possono alterare e variare; e l' istesso par che si possa dire, mentre per occasioue dell' integrità va dimostrando ^ che cosa sia principio ^ irie/;zo e iine); perciocché, sebben e vero peravventura, che Aristo- tile prenda talot* la favola con multo proprio e ri- Stretto sentimento, cioè per la composizione e tes- situra delle parti essenziali, come sembra irt quesio luogo; nondimeno è ailco verissimo, che bene spes- so prende l' islcssa don sentimento più ampio, Che è per la composizione di tutto il poema ; siccom' ap- punto fa , mentre oppone la favola al costume, e al- tre simili parti, tra le quali numerando 1' appara- to e il canto, che non sou parti così principali j avrebbe anco avuto a numerargli episodj , se non avesse per la favola inteso tutta la composizione del poema . Glie perciò anco, méntre defluisce la favola, composizione, e imitazion dell' azione , intende di tutte; sebben principalmente delle essenziali , poi delle accidentali i e con tal sentimento, dico, am- pio e generale , fa menzione dell' azion per entra la deOnizioue della tragedia , mentre la chiama imitazion d'azione illustre e perfetta, 6 [ayetite grandezza ; perciocché, non potendo intendere pei' azione avente grandezza, se non azion di grandez- za perfetta , che ( come s' è per tanti altri luoghi mostrato ) vuol dir quella che il poèma acquista coir aggiunta degli episodj ; sarà anco necessario, che per azion perfetta e intera ( acciocché l' istessa azione in tal definizione in un istesso tempo non si prenda in tanto diversi sentimenti ) iutendd tut- to il poema i E pertanto > sebbene essendo le parti essenzial foadamento dell' azione ^ « le episodiche accre- 294 UISCOBSO QUABTO scimento, parve ad Aristotile (e eoa saggio con- siglio) andar componendo la favola e azione pri- ma di parti essenziali, e poi delle accidentali: e perciò anco può sembrare, che l'unità e integritii ancora e perfezione prima si formasse di parti es- senziali, poi scie dessero gli episodj; pnde noi ab- biamo nel ragionar dell' unità e integrità avu- to particolar riguardo alle parti essenziali : tutta- via la lunghezza del poema fu sempre considerata da tutto il poema, non vi nascendo necessità o ra- gione, onde nel costituir la lunghezza si debba at- tendere dalle parti essenziali, e non dal poema tutto . Ma passisi omai ad un altro dubbio non meno Im- portante de'passati, e impongasi line al discorso. Ma- raviglia certo può recare quello che nel fine intorno airaccrescimento deirepopeja scrive Aristotile (1) , volendo che 1' epopeja abbia ampio campo di po- tersi allungare, e quindi acquistar magnificenza con dilettare insieme. Il che (die' egli) non così avviene alla tragedia: e questo, perchè 1' epopeja (come quella che è narrativa) può nelT istesso tempo imi- lare e condurre a fine molte parti ; ma la tragedia , (come quella eh' è drammatica) non può ciò fare, non ftotendo imitar altro che una parte, che è quella a qual per mezzo degl' istrioni si va tuttavia atteg- giando in palco. Or questo par veramente falso ^ perciocché non è vero che 1' epopeja possa in un i- stesso tempo rappresentar narrando più d' una cosa: laonde Virgilio mentre racconta il lamento di Bi- done , e soggiunge come si uccidesse, non ispiega nell'istes^o tempo altro fatto, convenendo che si accomodi alla necessità , lasciando di ragionare e di Enea, il quale andava navigando, e d'ogni altra cosa . Così all' incontro , mentre descrive e narra la fuga o partenza di Enea^ non può attendere à'iameu' (i) f'aragr, 129, «ISCOBSe QUARTO 295 ti di DidonCjO ad alcun altro fatto. Come avvien dun- que , che il poema eroico abbia privilegio e com- modilà, sopra la commedia e tragedia, Ji rappresen* tar e condurre a fine in un istesso tempo varj e dì- versi fatti i* E se dicesse alcuno, ciò avvenire per- chè l'epico suol egli talor porre quasi avanti gli oc- chi un'azione, come se allor seguisse; come allor- ché induce Darete ed Entello a combattere , o Dl- done ad uccidersi ; e talor narrarne un' altra come già per avanti successa , siccome fa raccontando l'o- rigine e occasione de'sacrificj , che ad Ercole face- vano gli Arcadi : per certo che né ciò può far l'epl. co ad un istesso tempo, sicché e Tuno e l'altro fatto si narri insieme; né insomma di tal privilegio, in qualunque maniera ne goda 1' epico , vlen privato il comico o tragico: potendo il tragico o comico e rappresentar per mezzo degl' istrioni un fatto, come succedente allora, e indurre anco bene spesso alcuno degl' istrioni a raccontar antichi e passati succes- si jOvver anco fatti , i quali altrove si facciano tut- tavia . Anziché in ciò il drammatico ha molto avvan- taggio ; poiché il poeta tragico o comi» o induce re^ ramente gli attori, e fa che essi trattano e conducono a fine le azioni , celandosi in tutto la persona di es- so po<;ta , non che le parole e discorsi : dovecché il poeta epico veramente non cela , o nasconde mai la sua persona . Poiché, sebben talora non tanto colle proprie , quanto coli altrui parole ragiona , onde pare che sovente induca altri a ragionare; tuttavia nel vero egli dell'altrui parole, e non della persona si serve: restando al drammatico 11 privilegio d'in- durre insieme insieme la persona e le parole altrui. Sicché se in questa parte vi corre vantaggio alcuno , questo é del drammatico , e non dell' epico e nar- rativo . Né rilleva il dire, clie se pur il drammatico nar- ra anch' egli , come allorché induce un messo , una nutrice, un servo o un soldato a raccontar fat- ti o per avanti successi , 0 che tuttavia si esegui- 29tì DISCORSO QUARtu Scoilo in altra parte, sì veste della persona, e traila a guisa di epico o aarraiivo: poiché, se per la rico- gnizione^ per lo sciogli mento, come anco per 1' in- troduzione della favola , e per simili occasioni , si raccontiao molte cose tanto passate e antiche, quan- to presenti, e che tuttavia si trattano ed eseguisco- no altrove; ciò fa il drammatico per proprio ofiìcio e carico; massime che il tragico e comico, come quello che è astretto a compir la favola in un giro di sole o poche ore (che in fatti poi è in quattro o sei ore), ha estremo bisogno di ricorrere a far nar- rare le cose passate, per congiungere i successi colle cause, e spiegar 11 tutto chiara e sufQcientemente . Laonde niuna tragedia o commedia troverassi , in cui noti sia raestiero o di repigliar i ragionamenti di cose passate, o di raccontar alcun fatto successo nel palagio, o caso in altra parte avvenuto , o allra cosa tale . Che più? il poema drammatico^ come quello eh' esprime o rappresenta i fatti co' gesti ancora^ e non a guisa dell epico colle sole parole, può ad un tempo introdurre un istrione, il qual parli, ed un altro o più, i quali tacendo facciano varie e diverse cose; sicché nell' istesso tèmpo uno col parlare, un negozio , e altri co'gesti e fatti, un altro 0 più negozj menino a fine. Ed ecco che in questa guisa ben il poema drammatico avrebbe la commodità , che Aristotile li niega ; ma il narra- tivo, al quale Aristotile 1' attribuisce, ne resterebbe privo. Per lasciare che gì istrioni, appresso gli an- tichi , con soli gesti talor rappresentavano tanto al vivo un'azione, che senza l'uso delle parole cou- ducevano felicemente a fine varie parti dell' a- zione . Or veggasi se il drammatico poeta ( giacché molti istrioni introducendo, e varie cose parte col parlare, parte coi gesti e fatti eseguendo, può menar a tìns ad un tempo molte cose) sia in ciò inferiore all' epico, il quale di tal uso e commodità è privo. Questo è il dubbio, col quale non avendo io per ora che ri- DISCOASO QUARTO 297 spendere per sufficiente difesa , o dichiarazione di Aristolile, conchiudo anco il presente Discorso ; pre- gandovi,uditori generosissimi, che vi piaccia scusar tanto più volentieri 1' imperfetto di questo , o del- l'altro mio ragionamento, quanto che dopo di me verranno altri , i quali (come spero) e con eloquen- za, e con abbondanza di dottrina seguiranno l'in- cominciata comparazione e impresa. Ho detto. INDICE DFiL VOMJMK QT'\RTt> n- r.t E CON'TROVF.USIE SULLA GEHUSALE.MIWK LIRJiHATA Lettera di Mario Zito al Cardinale Carlo Barbe- rino • . . . . Pag. 3 La Bilancia Critica di Mario Zito : in cui hilancia- ti alcuni luoghi, notati come difettosi, nella Gcrw salcniaie liberata del 'L'asso, Irovansi di giusto peso, secondo le Pandette della. Lingua Italiana. 7 Comparazione di Omero , Virgilio e Torquato; ed a chi di loro si debba la palma nelV eroico poema: del quale si vanno anco riconoscendo i precetti; con dar largo conto de' poeti eroici , tanto Greci , quanto Latini ed Italiani ; ed in particolare si fa giudizio dell' Ariosto i43 Discorso Primo dell' Accademico Nomista: che Tor- quato Tasso nel suoGofJredo abbia rappresentato molto pili nobite e perfetta idea di valoroso capi- tano ed eroe yche Omero e Virgilio ì/\^ Discorso Secondo , dello stesso : che il Tasso nel suo Goffredo abbia conservata l'unità della favola molto meglio di Omero e di Virgilio; e che insoni - soma neW invenzione debba all'uno e all' altro anteporsi jj;^ Discorso Terzo dell' Accademico Assetato; che Tor- quato, assai meglio di Omero e Virgilio, abbia espressa V integrità e debita grandezza della favola • . 221 Discorso Quarto, dello stesso; per qtial cagione si ri- cerchi ampiezza o grandezza nell' eroico pi» ma ; e quale e quanta debba esser questa grandezza : e che in ciò ancora il Tasso si sia accostato al segno molto più di Omero, e meglio di Virgilio . \ . 7.G5 ♦ PQ ^636 Al 1821 V.21 Tasso, Torquato Opere p. PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY